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Alcides Ghiggia e il Maracanà maledetto

Creato il 06 aprile 2014 da Pablitosway1983 @TuttoCalcioEste

“Non sei né giovane ne vecchio ma è come se dormissi dopo pranzo sognando entrambe queste età”

W. Shakespeare, ‘Misura per Misura’

“Voi, giocatori, che tra poche ore sarete acclamati da milioni di compatrioti. Voi, che avete rivali in tutto l’emisfero. Voi che superate qualsiasi rivale. Siete voi che io saluto come vincitori!”. Così parlò il generale Angelo Mendez de Morais ai circa 200.000 spettatori del Maracanà di Rio de Janeiro prima dell’inizio della decisiva gara del Mondiale 1950 fra Brasile e Uruguay. Il caldo era opprimente e i festosi e carnevaleschi gridi di giubilo dei brasiliani squarciavano il cielo sudamericano. Non potevano sapere che un uomo, Alcides Ghiggia (classe 1926) avrebbe rovinato in maniera apocalittica quel pomeriggio carioca. Cresciuto nei poveri quartieri di Montevideo, Alcides, ragazzo gracile e mingherlino, si fece le ossa in squadre di medio-livello locali quali i neroarancio del Sud America e i giallorossi del Progreso, alternando gare tra seconda e prima divisione.

Sport. Football. circa 1950. Alcides Edgardo Ghiggia, Uruguay. He scored the goal that won the 1950 World Cup when Uruguay defeated Brazil in the Maracana Stadium, Rio de Janeiro in front of an estimated 200,000 fans. Born 22nd December 1926; 12 appearanc
Ma fu a partire dal ’48 che iniziò la vera carriera di Ghiggia. Venne acquistato come ala destra nell’importante club del Penarol dove primeggiavano giocatori del calibro di Schiaffino e Miguez e contribuì, sebbene nei primi momenti fece fatica ad entrare titolare in campo, alla vittoria del campionato di Primera Division nel 1949. La sua velocità e i suoi assist fulminarono gli occhi di Juan Lopez, allenatore dell’Uruguay tanto da convocarlo a partire dal mese di maggio per i successivi mondiali di Brasile 1950. Ghiggia, ancora poco conosciuto in ambito mondiale, a 24 anni era già un fuoriclasse e vantava di giocare in una buona formazione, anche se non trascendentale.

Era in ogni caso il Brasile di Costa il superfavorito per la vittoria finale. O quasi. L’avvio fu fulminante per i giocatori di Lopez che affrontarono nel Girone 4 la sola Bolivia dopo i ritiri della Scozia, della Turchia e quello forzato dalla Fifa per quanto riguardava l’India, abituata a giocare a piedi scalzi, contro il regolamento del mondiale. Contro i boliviani il risultato fu uno schiacciante 8-0 che vide tra le reti una doppietta di Schiaffino ed un gol quello finale di Alcides. Grazie a questa sola partita l’Uruguay subentrò nel girone finale della competizione assieme a Spagna, Svezia e ai carioca. Contro gli spagnoli il risultato fu 2-2, con una segnatura di Ghiggia. Con gli svedesi invece la formazione di Lopez vinse la seconda gara del mondiale con un bel 3-2 (un altro gol di Ghiggia, il terzo).

Sport. Football. circa 1950. Uruguayan football hero Alcides Edgardo Ghiggia poses for the camera with a group of fans in Montevideo. Alcides Edgardo Ghiggia, Uruguay. He scored the goal that won the 1950 World Cup when Uruguay defeated Brazil in the Mara
Il Brasile invece si comportò meglio con due vittorie secche su Spagna e Svezia con il massimo dei punti, 4, fino a quel momento. L’Uruguay invece con un pareggio iniziale ed una vittoria era momentaneamente a 3 punti. Tutto il mondiale si giocò perciò nella partita conclusiva contro il Brasile. Il giorno prima della partitissima i brasiliani sapeva già che avrebbero vinto. Chi puntava tutti i propri averi sul trionfo carioca, chi festeggiava già nelle piazze di Rio. I giornali locali parlavano già di vittoria e i mercatini di strada vendevano maglie sulle quali in caratteri cubitali stava scritto Brasil Campeao 1950. Dopo le delusioni dei mondiali precedenti, compresa l’umiliante sconfitta subita in semifinale contro l’Italia nei mondiali di Francia 1938, il Brasile credeva di aver già in pugno la ghirlanda della Fama. Ma si sbagliava di grosso.

Quel 16 luglio 1950 da festa che era si trasformò nel celebre O Maracanaco o in quello che i giornali intitolarono il giorno seguente, Nossa Hiroshima (la nostra Hiroshima). Il celebre discorso pre-partita del generale Mendez era una miccia in una mare di dinamite. La formazione carioca di Costa che vedeva in campo grandi campioni come Zizinho, Jair e Ademir iniziò con fatica la gara grazie ad un bel lavoro difensivo dell’Uruguay e alle incursioni killer di Ghiggia e Schiaffino che impensierirono non poco il portiere Barbosa. Il primo tempo si concluse 0-0, un pareggio basterebbe a portare il Brasile a 5 punti e quindi sul tetto del mondo ma lo strafare dei verdeoro volle farsi sentire dai milioni di tifosi a tutti i costi. Il secondo tempo si accese come una scintilla nel buio: al 2° minuto arrivò il gol di Friaca. Il Maracanà e i suoi 174 mila spettatori paganti più altre decine di migliaia ammassate sulle gradinate dello stadio esplosero di gioia. Non c’erano più dubbi, il Brasile avrebbe conquistato il mondiale. Ma Alcides non si arrese e con una straordinaria azione in cui partecipò Perez, un tiro di Schiaffino dopo venti minuti dal gol di Friaca fulminò la porta carioca. L’1-1 ghiacciò le schiene dei tifosi verdeoro iniziando a decadere psicologicamente. Influenza nefasta anche per i giocatori brasiliani che tentarono assalti alla porta della squadra di Lopez ma senza risultati positivi. A dieci minuti dalla fine il caldo pomeriggio di luglio divenne gelo antartico.

Alcides Ghiggia Is Honored At Maracana's Walk Of Fame

due piedi nella storia

Ghiggia, con una progressione micidiale sulla fascia, infilò la porta di Barbosa portando l’Uruguay sul 2-1. La gente sugli spalti cominciava a star male ma non fu nulla in confronto a quello che accadde dopo il fischio finale dell’arbitro inglese Reader. L’Uruguay diventò campione del mondo per la seconda volta, dopo i mondiali del 1930 e fu il disastro allo stadio: gente che morì di infarto, suicidi, risse. Anche lo stesso Ghiggia ci stava lasciando la ghirba al seguito di un’aggressione da parte di facinorosi tifosi che gli costò mesi fuori dai campi. Jules Rimet, allora presidente della Fifa, che aveva già preparato un discorso di elogio tutto portoghese si trovò a stracciare il foglietto e ad accogliere freddamente i giocatori uruguayani nella cerimonia di premiazione. Il portiere brasiliano Barbosa fu maledetto per sempre, come se appartenesse alla stirpe di Atreo e si dice pure che nessun ministro andò ai suoi funerali nel 2000, tragica occasione che per alcuni fu una sua “seconda morte” dopo quella del Maracanaco. “In Brasile la pena più lunga per un crimine è trent’anni di carcere. Io, da quarantatré anni, pago per un crimine che non ho commesso” disse il povero portiere brasiliano. L’Uruguay divenne la bestia nera per il Brasile, una specie di uomo nero dal quale tenere lontani i bimbi. Ancora oggi è vista, seppur in maniera attenuata, una specie di demonio da esorcizzare. “Lei è quel Ghiggia?” disse tempo fa una hostess durante uno sbarco in Brasile di Alcides. “Sì sono io ma sono passati tanti anni…” fu la sua risposta che prevedeva sotto le righe una probabile ribattuta da parte della donna che fra l’altro, in modo scontato, avvenne. “Non per noi, ci fa ancora male…”. 

Ghiggia Roma

Il dopo mondiale di Ghiggia fu ancora esaltante dal punto di vista professionale e non solo. Nel ’51 un altro campionato col Penarol e dopo una maxi squalifica al seguito di un forte litigio in campo con tanto di botte nei confronti di un arbitro uruguayano, l’ala destra che fece piangere il Brasile salutò la patria e partì per l’Italia, fortemente voluto dal presidente della Roma Renato Sacerdoti. Con i giallorossi Ghiggia fu una delle star della Seria A degli anni ’50 assieme a fuoriclasse assoluti quali Sivori, Nordahl e lo stesso Schiaffino che militava nel Milan. Assieme a compagni di ottima levatura tra cui Angelillo e Da Costa (che dirà di lui “Gli bastavano 6 gare con la Roma ogni anno per confermare il prolungamento del contratto”), Alcides fece impazzire le difese avversarie con la sua velocità sulla fascia destra e i suoi assist da urlo. “Era un eccezionale uomo d’assist, gli mancava solo il gol” ribadì tempo dopo il compagno di squadra Losi. La nazionale di Biancone lo vuole in squadra e presa la cittadinanza italiana Alcides gioca due anni (dal 1957 al 1959) con gli azzurri come oriundo senza però successi, anzi col fallimento di non essersi qualificati per i mondiali di Svezia 1958, caso unico nella storia della nostra nazionale. Con i giallorossi Ghiggia non vincerà mai il campionato che in quegli anni era dominio di Milan e Juventus ma grazie a lui e all’innesto dell’ex compagno di squadra Schiaffino la Roma conquisterà nel 1961 la Coppa delle Fiere (la ex Coppa Uefa) contro il Birmingham, unico trofeo europeo per i giallorossi.

Con i baffi alla Clark Gable e col suo naso semi-storto, Ghiggia se la spassava nei bar della capitale, talvolta restando alzato fino all’alba a bere e a conoscere belle donne. Lui, farfallone della dolce vita romana, rischiò anche la galera pesante dopo alcuni atti osceni in luogo pubblico con una quattordicenne che poi mise incinta. Per il gesto scandaloso gli fu tolta la fascia da capitano della Roma, perdendo pian piano credibilità calcistica in Italia. Nel 1962 fu la vittoria del campionato con la maglia del Milan, seppur non da protagonista in quanto giocò solo 4 gare, ormai troppo vecchio per occupare il posto di giovani giocatori fra cui un esordiente ma già campione Gianni Rivera e Jose Altafini. A 42, anni, nel 1967, si concluse la carriera di Ghiggia con la maglia del Danubio, squadra della sua città Montevideo, un ritorno in patria senza infamia e senza lode di uno dei giocatori più importanti della storia del calcio che con una sentenza storica, che pare un ipse dixit di Aristotele in versione napoleonica, ha posto definitivamente la sua traccia nella linea del Tempo: “Solo tre persone hanno azzittito il Maracanà: Sinatra, papa Giovanni Paolo II ed io”. Con la morte nel 2009 di Juvenal ora Ghiggia è l’unico reduce di quel 16 luglio, giornata cardine per la storia sudamericana recente, giorno di gioia e di morte dove anche i giocatori di Lopez piangevano per la sconfitta del Brasile. Tranne forse Ghiggia che tra i lividi e gli anatemi brasiliani ancora oggi ha sul comodino del letto un suo libro autobiografico che spolvera ogni giorno e che probabilmente si porterà fino alla tomba dal fatale e cattedratico “Un gol per l’eternità”.

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