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Alcol e battone per Rourke...

Creato il 03 maggio 2011 da Omar
Alcol e battone per Rourke...
Barfly è una pellicola del 1987, scritta da Charles Bukowski e diretta dal regista franco-americano Barbet Schroeder. Il film, prodotto nientedimeno che da Francis Ford Coppola e dallo stesso Schroeder, vede la partecipazione di Mickey Rourke nel ruolo di Henry Chinaski (alter-ego diBukowski), di Faye Dunaway e dello stesso scrittore in un cameo come cliente di un bar. La storia può considerarsi una summa della consueta, grottesca linearità che sorregge l'universo del celebre scrittore losangelino: lui beve perché non trova di meglio da fare ma ha la vocazione per la scrittura. Lei, disillusa e vistosamente alla deriva, beve un po' per dimenticare, un po' per il gusto perverso di farlo. Sarà amore al primo bicchiere...Barfly, in gergo, sta per alcolista, beone («mosca da bar», appunto!) e Rourke - all'epoca in formissima per quanto sull'orlo di un perenne tracollo divistico ed esistenziale - seppe calarsi nel personaggio con misurato istrionismo. Faye Dunaway interpreta invece il suo sgradevole personaggio dal di dentro, portandosi appresso una sorta di disperazione compressa che a tratti traslittera quasi in un'ammirevole forma di serenità. Se Marco Ferreri nel 1981 non era riuscito a rendere in maniera incisiva la poetica del vecchio «Zio Buk» nel suo infelice Storie di ordinaria follia - con un ridicolo Ben Gazzarra gaio e sornione in mezzo ai barboni - biAlcol e battone per Rourke...sogna invece ammettere che Schroeder ha saputo calibrarne e dosarne gli eccessi in maniera assai verosimile, talvolta persino toccante, forse proprio perché ha potuto lavorare partendo da una sceneggiatura dello stesso Bukowski. Ecco allora che la rinomata morra di episodi autobiografici dello scrittore (come la prima pubblicazione su una rivista) si mescolano ad aneddoti di fantasia un po' surreali in questo Barfly, nel tentativo (in parte riuscito) di elevarne la caratura filmica a paradigma in negativo dell'american-dream (magari con qualche eccesso arty) mostrando una porzione sottoproletaria, cinica e violenta degli USA, raccontata però con lucido sarcasmo (non da un voyeur, ma da un uomo di strada); come una favola cavalleresca scritta da un autentico paladino degli sconfitti, un po' sbruffone e un po' patetico. Bukowski scriveva per sé (per lo meno diceva di farlo, ma non gli si può credere pienamente!), lo palesa il fatto che abbia incontrato il pubblico - soprattutto quello dei giovani, ribelli e spesso sconfitti per antonomasia - raccontando sempre la medesima storia in mille varianti ora tristi ora divertenti. Un film decisamente non per tutti i palati, non tanto per la complessità o l’impegno che vantano solitamente i film d’essai, quanto perché la pellicola in sé, decontestualizzata, potrebbe risultare completamente priva di senso. Chi conosce (e ama) Bukowski non può non apprezzare la giusta trasposizione in immagini del suo mondo, chi si confronta con Chinaski in totale ignoranza rischia solo di annoiarsi.curiosità: nel romanzo Hollywood, Hollywood! (Feltrinelli), l'autore racconta tutti i problemi della realizzazione di questo film, ridicolizzando l'ambiente cinematografico (e con grande ironia anche sé stesso).

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