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Alcune riflessioni in tema di sicurezza nazionale

Creato il 13 ottobre 2012 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR
Alcune riflessioni in tema di sicurezza nazionale
Premessa

Parlare oggi di sicurezza nazionale (SN) significherebbe innanzitutto porre dei distinguo di ordine contenutistico, storico e di geopolitica. Come noto, infatti, l’accezione data a tale espressione è risultata esplicativa di significati anche molto diversi per uno stesso paese, in dipendenza delle diverse priorità delle minacce percepite nel corso del tempo, eccezion fatta per l’obiettivo connesso alla difesa da minacce di natura militare o terroristica. Si segnala inoltre come i più recenti contributi di studio sulla materia facciano in particolare risalire definizione delle minacce potenziali, nonché priorità e tempistiche degli obiettivi di policy che ne conseguono, a concetti e criteri propriamente afferibili alla nozione di interesse nazionale (IN) e – più in specifico – di interessi strategici nazionali. Ma tale orientamento di ricerca è ancora in parte controverso, dato che per taluni studiosi non è ancora definitivamente stabilito se la nozione di sicurezza debba caratterizzarsi, nella prassi operativa, in relazione ad una sfera di interessi prevalentemente “individuale” o “nazionale” ovvero “internazionale”1.

Inoltre, volendo affinare anche se di poco tale analisi, non si può non accennare brevissimamente ai tre principali filoni della teoria delle relazioni internazionali che proiettano in chiave storico-sociologica la nozione di interesse nazionale. Basti accennare, in ordine di sviluppo temporale, alla corrente di pensiero più nota, cosiddetta del realism/neo-realism che, a partire da Hobbes, Machiavelli e Rousseau – per arrivare a H. Morgenthau e a K. Waltz – individua nella sopravvivenza della Stato dalle minacce di natura internazionale o interstatale l’obiettivo fondante delle politiche di sicurezza nazionale.

Un’altra e più recente corrente di pensiero, quella riferibile al neo-libeal institutionalism, oltre a criticare come restrittive le assunzioni della tradizione del realismo politico, propone di orientare il focus dell’analisi anche sui nuovi fattori emergenti nello scenario mondiale, quali la globalizzazione. Da qui l’importanza attribuita all’interesse reciproco degli Stati nella gestione dei processi della globalizzazione e – data la matrice di idealismo storico che la connota – la rilevanza conferita ad attori istituzionali operanti a fianco degli Stati, come gli organismi sovranazionali (ad esempio ONU, UE, WTO, ecc), quali mediatori dei conflitti internazionali ed attori della co-operazione internazionale2.

Infine è doveroso accennare anche alla corrente di pensiero in letteratura nota come social constructivism, che sposta il focus sulla capacità di gestione dei processi cognitivi a livello internazionale. Pur riconoscendo la rilevanza dei principali elementi distintivi delle due accennate correnti di pensiero, i socio-costruttivisti intendono enfatizzare il valore da attribuirsi ai fattori cognitivo/persuasivo. Le argomentazioni di sociologia politica alla base di tale corrente di pensiero assumono che le strutture sociali internazionali si fondano sulla condivisione di conoscenze, capacità umane, oltre che su risorse materiali. Ne discende, secondo A.Wendt3 uno dei principali sostenitori di tale corrente di pensiero, che il security dilemma su scala internazionale viene ad essere definito come una struttura sociale fondata su intenzioni e capacità di comprensione che risultano a loro volta plasmate da valori collettivi, identità culturali e norme sociali.

Tutto ciò premesso, ad avviso dello scrivente una delle migliori definizioni di National Security rimane tuttora quella citata nel libro dello studioso americano di intelligence Joseph J. Romm4, scritto nei primi anni successivi alla fine della guerra-fredda: “Our greatest security lies in the best balance of all instruments of foreign policy, and hence in the coordinated handling of arms, diplomacy, information and economics; and in the proper correlation of all measures of foreign and domestic policy”. Anche se le vicende degli anni a noi più vicini hanno notoriarmente portato ad enfatizzare la rilevanza relativa delle componenti connesse all’information ed all’economics, in quanto aree di sviluppo delle attività di intelligence protese al monitoraggio dei rischi più immediatamente rilevabili anche da un non esperto: quelli di natura cibernetica, delle minacce connesse con la finanza internazionale, con il commercio e le politiche di approvvigionamento energetico. E in proposito giova anche considerare come le minacce terroristiche recentemente emerse – di matrice anarco-insurrezionalista – sembrano trovare una qualche radicazione nell’involuzione della attuale crisi economica, se è vero che alcune cellule di tali gruppi che si autodefiniscono “informali” risulterebbero sensibilmente offese persino dalle forme di ostentazione della potenza nazionalistica – e ad un tempo di bad policy a loro giudizio – simbolicamente associabili alle spese per armamenti e persino a quelle per i giochi olimpici.

Nel seguito si fa cenno a due modelli per così dire paradigmatici nella impostazione delle politiche per la SN: per ciò che concerne la definizione degli assets per la SN di un paese avanzato si farà sintetico riferimento agli USA, mentre – a titolo esemplificativo dei tentativi della misurazione del suo raggiungimento – si presenterà le interessanti esperienze del National Security Index dell’India. Infine, nelle conclusioni, si darà uno sguardo anche al nostro paese.

Un cenno alle recenti direttrici della politica della sicurezza nazionale negli USA

Il riferimento agli USA appare per qualche verso scontato, in relazione al fatto che la prima potenza economica e politica al mondo da molti decenni ha notoriamente sviluppato una efficiente organizzazione di tutela della propria sicurezza nazionale, capace d’adeguarsi con prontezza alla mutevolezza delle minacce sullo scacchiere mondiale. (Si pensi che il National Security Council fu istituito a Washington sin dal lontano 1947, come organo interdipartimentale, con la missione istituzionale di fornire suggerimenti alla Presidenza sulle generali tematiche per la sicurezza nazionale)5.

Inoltre, limitando l’indagine agli anni più precedenti, si trova conferma in primo luogo di come al multiforme ed agguerrito apparato statunitense di gestione delle direttive politiche contenute nel documento presidenziale del National Security Strategy fosse richiesto di perseguire in tutto il mondo l’intera gamma di obiettivi (politici, economici, sociali e militari) in cui fossero coinvolti – direttamente od indirettamente – interessi americani, ed in particolare laddove le informazioni “aperte” non risultassero adeguatamente disponibili. Se poi si dà uno sguardo alla composizione degli obiettivi di interesse nazionale da perseguire, risulta che, accanto alla storica difesa militare attiva dalla minaccia terroristica di Al-Qaeda, si riscontra il riferimento ad assets strategici afferenti la sfera sociale ed ambientale della comunità nazionale, quali la lotta alla droga, la sicurezza ambientale ed energetica e quella economica.

Se la sicurezza energetica è andata nel tempo scemando di importanza relativa, anche in relazione al fatto che oggi gli USA si avviano a divenire il principale produttore mondiale di gas naturale, la crisi del 2008 ha imposto un forte riorientamento di focus su temi economici. Significative le seguenti frasi tratte dall’Intelligence Community Annual Report Threat Assessment, del direttore della National Intelligence ai tempi di Bush Jr, Dennis C. Blair (12 Febbraio 2009):

“The primary near-term security concern of the United States is the global economy crisis and its geopolitical implications. The crisis has been ongoing for over a year and economists are divided over whether and when we could hit bottom..….
Time is probably our greatest threat. The longer it takes for the recovery to begin, the greater the likelihood of serious damage to US strategic interest (ns corsivo)……
The widely held perception that excesses in US financial markets and inadequate regulation were responsible has increased criticism about free market policies, which may make it difficult to achieve long-time US objectives, such as the opening of US capital markets and increasing domestic demand in Asia. It already has increased questioning of US stewardship of the global economy and the international financial structure”(ns corsivo)

In realtà, quanto lamentato da D. Blair nel 2009 covava già dai tempi della presidenza Clinton, da quando cioè l’attività di intelligence economica era andata conformandosi ad un approccio operativo di natura offensiva, oltreché passiva6. Esempi di un approccio interventistico in tale direzione se hanno, però, da un lato contribuito ad ampliare il controllo delle minacce di natura economica derivanti dall’estero, hanno per converso concorso a minare irreparabilmente uno dei principali pillar a sostegno della sicurezza nazionale, vale a dire quello della stabilità economica. Ed è lecito assumere anche che un siffatto atteggiamento, fortemente assertivo ai fini del diretto coinvolgimento dell’intelligence federale nell’economia a sostegno della libertà di movimento delle corporations, sia risultato proattivamente confacente con quella politica di deregulation in campo finanziario (inapplicazione delle norme regolatorie della C.Dodd – B.Frank law ad esempio) che tanti danni ha causato e continua a causare appunto alla stabilità dei mercati finanziari non solo negli USA, bensì in tutto il mondo. (Per un maggiore approfondimento di tale aspetto si veda la parte conclusiva dell’articolo).

Il 26 Maggio 2010 B. Obama, licenziando il nuovo programma di National Security Strategy, ridefinisce e rimodula sostanzialmente la filosofia degli interventi rispetto al predecessore Bush. Se da una parte reitera come prioritari obiettivi quali la non proliferazione nucleare, i cambiamenti climatici, la minaccia cibernetica, tende dall’altra a sottopesare solo apparentemente l’attenzione al sostegno dell’economia nazionale. Ma una ragione c’è, e si chiama costo dell’intervento, come emerge dalle parole stesse di Obama quando, memore della recente esperienza di Bush, esclude il ricorso ad attacchi preventivi: “While the use of force is sometimes necessary, we will exhaust other options before war whenever we can, and carefully weigh the costs and risks of action against the costs and risks of inaction”. Quando necessario, aggiunge, “we will seek broad international support”.

Dunque l’agenda della nuova strategia appalesa, ma in forma implicita, il supporto indiretto che la riduzione del budget militare può produrre ai fini dello sgonfiamento dell’enorme debito pubblico statunitense, che a sua volta può rappresentare una minaccia per la potenza della nazione, oltre che un vincolo al perseguimento di altri obiettivi strategici. Ma la minaccia scaturente dalla enormità del debito pubblico statunitense, quale rischio per la stabilità economica della nazione, è stata invece successivamente palesata dal segretario di Stato signora H. Clinton nel corso di una sua conferenza alla Brooking Institution.

La tutela della sicurezza nazionale in India

Va da sé che l’accostare alle esperienze di definizione delle strategie di sicurezza nazionale della massima potenza tecnologica e militare del mondo quelle di un paese ancora in transizione verso il completo sviluppo – quale l’India – non è certo dipeso da una qualche ragione di omogeneità, ma voluto invece proprio allo scopo di fornire una visione fortemente alternativa a quella statunitense, e non tanto in tema di composizione degli assets strategici – come è logico attendersi – quanto piuttosto per il tentativo, compiuto in India, di misurazione della incidenza complessiva di tali assets, ai fini di un indicatore sintetico della sicurezza nazionale.

L’India è da tempo entrata a fare parte del consesso delle grandi potenze economiche e politiche, data anche la sua partecipazione al G-20, e tutti siamo consapevoli dei grandi progressi in passato registrati in termini sia di sviluppo economico sia di sviluppo umano. Ma attualmente sta vivendo un momento di crisi economica, che si spera congiunturale. Il recentemente annunciato tasso di crescita del PIL del 6% annuo – rispetto a quello superiore al 9% che fino a poco tempo fa andava registrando – sembrerebbe sospingerla nuovamente verso il sentiero di crescita cosiddetto “Hindu”, che in anni passati permetteva al paese di fare fronte senza danni agli effetti dell’accrescimento demografico, senza però incidere positivamente ai fini anche dello sviluppo umano. Per la più grande e complessa democrazia mondiale le minacce interne ed esterne non mancano: da quella storica con il Pakistan per il predominio militare del Kashmir, agli attentati dei ribelli separatisti maoisti, alle lotte intestine di matrice religiosa, al non sopito rischio di possibili nuovi attentati terroristici riconducibili all’estremismo di Al-Qaeda. Il paese è riuscito e riesce comunque a fare fronte a queste minacce ed ai grandi contrasti interni di natura anche socio-economica ispirandosi al detto ghandiano dell’unità nella diversità, tanto che l’establishment governativo indiano è da tempo perfettamente consapevole della imponente influenza esercitabile con la sua potenza, sia militare sia politica, sugli equilibri geopolitici dell’Asia.

Ed è proprio in ossequio al criterio della valutazione sinergica ed intertemporale dell’insieme delle componenti determinanti il National Power indiano che presso l’apparato governativo del paese è andata sviluppandosi da tempo una apprezzabile sensibilità alla mission della sicurezza nazionale e alla sua misurazione7. Il concetto di sicurezza nazionale, se appariva indissolubilmente legato al suo insorgere a quello di potenza militare – e nucleare in particolare – presso le elites politiche e militari del paese, risultava ciononostante connotarsi per un set di componenti molto variegate. In India il National Security Council (NSC) è stato istituito nel 1998 al fine di supplire a carenze di coordinamento fra le varie risorse dedicate al tema della sicurezza. Il suo presidente Satis Chandra dichiarava infatti nel 1999: “The NSC was intended to be geared towards a more holistic view of National Security that included issues like good governante, health, water, management, environment, technology or even the economy (ns corsivo) in addition to conventional topics such as insurgencies and law and order, terrorism, foreign policy, etc..”

Gli interessi di studio in tema di SN hanno peraltro costituito l’ oggetto della rivista collegata al segretariato del NSC, dal titolo: India Nation Security Annual Review (INSAR) che sin dalla sua nascita (2000) tendeva a focalizzare l’attenzione editoriale sui temi della geopolitica. Mentre l’altro concetto-base per la definizione – anche metodologica – dei criteri con i quali il NSC ha voluto cimentarsi nella misurazione della SN, è stato quello connesso al National Power- Ancora Chandra: “The difference between National Power and Security is that the notion of National power tends to take a short term view of International relations, while security provides a long term perspective of international relations, psychologically speaking”. Il frutto più apprezzato della attività di ricerca e di studio condotta dal NSC è risultata la definizione di una misura sintetica della SN, che – sempre secondo K Hwang – era andata ispirandosi a precedenti esperienze in materia condotte in Giappone ed poi in USA (legg. Rand Corporation e Tellis Approach), ma – soprattutto – ai contributi del cinese Wang Songfen della Chinese Academy of Social Sciences (CASS). Songfen aveva identificato 8 principali componenti rappresentativi del National Power, attribuendo loro un coefficiente di ponderazione percentuale normalizzato:

FACTORS Weigthed coefficient

Natural Resources 0,08

Economic activity capability 0,28

Foreign economic Activity capability 0,13

Scientific and technological capability 0,15

Social development level 0,10

Military capability 0,10

Government regulation and control capability 0,08

Foreign affairs capability 0,08

A loro volta ciascuno degli 8 macro-fattori risultava dalla combinazione ponderata di micro-fattori attinenti il complesso della vita sociale e culturale della Cina.

L’approccio della NSC indiana alla stima sintetica della SI è andato inizialmente differenziandosi da quello Stato-centrico cinese, privilegiando una impostazione metodologica più sensibile alle esigenze del singolo. In un momento storico nel quale le impellenze di conflitti interstatali apparivano scemate, mentre assumevano rilievo i pericoli di rivolte e conflitti interni, l’intento è stato quello di misurarsi con l’esigenza di coniugare “domestic stability and security with human development”. E da questo punto di vista il tentativo indiano di misurazione sintetica della SN in quanto espressione dello sviluppo umano si raccordava peraltro con quanto l’UNDP andava preconizzando già fin dal 1994. Quando veniva definito l’ambito dell’Human Security come costituito da: a) economic security, b) food security, c) health security, e) environmental security, f) personal security, g) community security e, h) political security(8). Ma risultava di tutta evidenza che le iniziali aggregazioni degli indicatori dello sviluppo umano non potevano che portare ad un annacquamento del concetto originario di sicurezza nazionale, quale proxy del potere di una nazione, anche se ne rappresentavano un necessario punto di riferimento.

Nelle versioni del NSI indiano successive a quella iniziale del 2002, infatti, sono emersi fattori di criticità che hanno riguardato due componenti: l’economia e la popolazione. In quanto la numerosità della popolazione, a seconda delle implicazioni (ad esempio sanitarie, educative, ecc.) può risultare un fattore di debolezza più che di forza, ai fini della SI. Ed analoghi criteri di ribaltamento di valore possono naturalmente applicarsi anche al significato di crescita economica. Comunque, la decomposizione delle macrovariabili costitutive dell’indice della sicurezza nazionale è risultata la seguente nel corso degli anni9:

Componenti 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008

NATIONAL SECURITY (%) 73,33 73,33 65,00 — 85,00 97,00 —–

Economy 33,33 33,33 25,00 — 25,00 28,00 —–

Military 20.00 20,00 25,00 — 25,00 25,00 —–

Technology 20,00 20,00 15,00 — 15,00 15,00 —–

HUMAN SECURITY (%) 26,67 26,67 35,00 — 15,00 3,00 —–

Education 13,33 13,33 7,50 — 7,50 3,00 —–

Health 13,33 13,33 10,00 — —– —– —–

Poverty —– —- 7,50 — 7,50 —— ——

Ecology —– —- 10,00 — —- —— —–

A loro volta le componenti dei macrofattori risultavano decomponibili in sub-componenti di dettaglio, oggetto di misurazione o stima statistica. Ad esempio, all’interno della componente “Economy”, la sub-componente principale risultava essere la variabile Gross National Income (GNI), a sua volta misurato sulla base della composizione di due indici: il valore assoluto del GNI e quello del suo tasso di crescita. Mentre il macrofattore “Military” risultava in gran parte attribuibile alla variabile “Defense capability”, a sua volta misurata in base all’incidenza delle sub-componenti: “Defense expenditure at official Exchange rate” e “Size of Army in terms of personnel”. Alcuni rilievi critici del NSI hanno riguardato proprio la componente military dell’indice. In quanto è stato giustamente osservato che, nel mondo attuale, anche un esercito potente ed una robusta economia non compensano deficit di sicurezza ascrivibili alle minacce di un terrorismo non adeguatamente contrastabile. Anche se, ancora nel 2006, significativa appariva la dichiarazione dall’11^ presidente indiano A. Pakir Abdul Kalam: “I have a THIRD vision. India must stand up to the world. Because I believe that unless India stands up to the world, no one will respect us. Only strength respects strength. We must be strong not only as a military power, but also as an economic power. Both must go hand- in –hand”.

Importa sottolineare inoltre che, sulla base di tale indice composito della SI, il NSC indiano sia giunto ad effettuare per alcuni anni anche una comparazione internazionale dei livelli stimati di sicurezza nazionale, pervenendo alla seguente graduatoria9 nella quale, ai più elevati livelli di SN, primeggiano nell’ordine gli USA e la Cina.

2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008

USA USA USA —— USA USA ——-

Giappone CINA CINA —— CINA CINA ——-

CINA Giappone Giappone —— Norvegia Norvegia ——-

S. Corea S. Corea Svezia —— India Russia ——-

Germania Svezia Finlandia —— Giappone India ——-

Francia Russia Russia —— Russia Giappone ——-

Russia Germania Canada —— Arabia S. S. Corea ——-

U.K. India S. Corea —— U.K. U.K. ——-

Israele Francia India —— Germania Germania ——-

India U.K. Germania —— S. Corea Francia ——-

In conclusione si sottolinea come l’esperimento di elaborazione dell’indicatore sintetico NSI abbia rappresentato un encomiabile tentativo di valutazione e misurazione di una concezione e – ad un tempo – del significato pratico della sicurezza nazionale. Naturalmente le tecniche statistico-economiche adottate hanno prestato il fianco a vibranti obiezioni di natura metodologica attinenti in particolare alle modalità di aggregazione di variabili di natura quali-quantitativa in una economia in forte transizione nel tempo. (E’ stato già osservato, ad esempio, come nel 2006 appaia poco plausibile la collocazione della Norvegia al terzo posto tra le potenze mondiali in tema di sicurezza).

L’Italia e l’Eurozona

L’esempio dell’NSI indiano per i governi di una nazione quale l’Italia scarsamente potrebbe rappresentare un paradigma metodologico, qualora anche da noi si decidesse di stimare in forma sintetica il grado di SN, in ragione delle grandi diversità declinabili non solo e non tanto in termini di sviluppo umano ed economico, ma anche di differenziata tipologia delle minacce percepite. Si tratterebbe pur sempre di un esercizio teorico, sicuramente capace di stilare una graduatoria di livelli di sicurezza comparativamente ad altri Stati, ma poco pregno di rilevanza per il grande pubblico10.
Ma in questo specifico frangente in Italia, se si circoscrive il giusto grado di importanza attribuibile ai rischi di un anarco-terrorismo di nuova estrazione politico-sociale, alle minacce derivanti dal cyberspazio ovvero connesse con la criminalità organizzata o con il degrado ambientale, l’elencazione di quelle strategicamente rilevanti per lo sviluppo economico-sociale del paese si restringerebbe ai pericoli di deterioramento del contesto socio-economico: vale a dire alla limitata o azzerata possibilità di ascesa sociale per le giovani generazioni e, soprattutto, all’incombente rischio di perdite di benessere e di capacità di risparmio connesse con l’esplosione della speculazione finanziaria sui mercati11. Inoltre la circostanza di appartenere all’area dell’Euro aggiunge alle minacce sopra indicate anche quella di doversi fare carico dei maggiori squilibri economici di altri paesi membri, costituita in particolare dal dilagare del contagio da rischio sistemico.

E’ di tutta evidenza allora che la tutela della SN in un questo mutato contesto sociale come quello che stiamo vivendo non dipende assolutamente da variabili connesse con fattori quali la potenza militare, quanto piuttosto dalle capacità di una intelligence economica in grado di intuire ed anticipare le mosse della speculazione finanziaria, approntando con la dovuta tempestività i necessari scenari di contromisure istituzionali e di governance politica, adeguate alla stimata probabilità di accadimento delle minacce individuate. Tanto che in tal caso sarebbe forse più opportuno definire tale operato come quello tipico di una contro-intelligence geopolitica. Anche se potrà apparire come una proposta tardiva, sarebbe opportuno ad esempio affidare ad un nucleo di siffatta intelligence economica il compito di definire – con metodiche quantitative – una rete i cui nodi rappresentino rischi di natura specificatamente economico-finanziaria, con evidenziazione di possibili strutture interne cosiddette “mesoscopiche”, ovverosia caratterizzate da interconnessioni più elevate di altre12 come peraltro già avviene per l’identificazione di minacce più generalmente ricollegabili ad economia, ambiente, tecnologia, società, ecc. (Ma anche affidandosi, ad esempio, a tecniche econometriche adeguatamente sofisticate13 si sarebbe stati in grado di prevedere già a fine 2010 – a parere di chi scrive – l’evolversi anomalo dello spread per i paesi cosiddetti PIIGS diversi dalla Grecia, che invece rappresenta il paese-focolaio). Riuscire a capire in anticipo e monitorare – sulla base di questa od altre metodiche di analisi, “quando” la combinazione di squilibri nei fondamentali macroeconomici – così come di altre variabili connesse con la grandezza del debito pubblico del nostro e di altri paesi dell’eurozona – accresca il grado di vulnerabilità relativa e sistemica dell’Italia al punto tale renderla oggetto di pericolosa speculazione, rappresenterebbe un fondamentale contributo ai fini non solo della tutela della stabilità – e quindi della sicurezza nazionale – ma anche della politica economica dell’intera area euro.

Ma l’aver toccato da ultimo l’importante tematica dei rischi per il nostro paese connessi con la speculazione finanziaria in atto non può non sollecitare qualche ulteriore riflessione proprio sul significato della Sicurezza Nazionale in relazione agli approcci definitori inizialmente esposti. Dato che le tematiche in discussione ora appaiono fondamentalmente rappresentate dal nuovo rapporto instaurantesi tra:
- sicurezza nazionale e sovranità sovranazionale di stati funzionalmente federati, come sembra preconizzarsi per molte nazioni dell’eurozona da una parte, e dall’altra,
- l’invasivo ruolo dei mercati finanziari e quello storicamente attribuibile all’operato dei governi nazionali.
E’ di tutta evidenza come nel primo caso potenzialità e limiti di una politica per la sicurezza nazionale dovrebbero venire analizzati sulla base degli strumenti interpretativi propri della corrente di pensiero del neo-liberal institutionalism. In considerazione delle rilevantissime implicazioni di natura istituzionale e sovranazionale che avrebbe per il nostro paese. Mentre ben diverse considerazioni dovrebbero attenere al secondo caso, date le distinte modalità con le quali si estrinseca il rischio che grandi organismi finanziari possano influire sulle decisioni governative: o direttamente, a motivo del contrasto alla speculazione, ovvero indirettamente, nell’ambito di uno scambio di favori a fini regolamentari, di emanazione prettamente lobbystica.

L’economista Robert Locke14 ha recentemente provato a fornire una esemplificazione delle diverse modalità con le quali tale diversa influenza risulta estrinsecarsi, dimostrando come siano da ascriversi al ruolo cruciale esercitato in ogni mercato e in ogni paese dal fattore culturale. A titolo esemplificativo Locke presenta la differenziazione di matrice culturale susssistente tra due grandi blocchi egemonici sul piano economico: quello anglosassone, e statunitense in particolare, e quello germanico, dei paesi a tradizione culturale prussiana. Citando testualmente: “British people and especially Americans have a real problem with the state. Government is perceived not only as the enemy of freedom but as corrupt and inefficient…..The study of classical and neoclassical economics grew up in a world beset with these ideas. Government was replaced by markets and the invisible hand in economic calculation. Even in the twentieth century, when visible hand of management (Chandler) replaced the invisible hand as an arbiter of economic efficiency, the antigovernment view persisted because the new managerial hierarchies were in private sector corporations and the schools that trained their management were privately funded, private institutions… that primarily served private interest. While the mystique of the new visible hand of private sector management grew, a litany of attacks on regulators and civil servants has continued to make government the essence of ineptitude in American minds”. Mentre: “Clausewitz lived in a semi-autocracy that was a Rechtsstaat (a state administered by law). The monarch, his generals, and civil servants did not rule by caprice but through a system of laws and regulations, designed by them to further the well-being and strength of the monarchy in its struggle for survival and advancement in great power politics. Prussian civil servants seldom thought that private businessmen and industrialists were more than special interest groups, and, therefore, not to be trusted with looking after the public interest. That was the job of the state led by a generals class….. that was especially trained to this task. … Nonetheless a Clausewitzian view of the state is very different from the American or British, and the difference greatly affects the moral environment in which neoclassical economics have recently functioned(nostro corsivo)… The chief immediate postwar issue was the firm governance, what the Germans call… codetermination …… The concept is alien to Americans who have a proprietary conception of the firm….” Locke si dilunga anche sull’esame delle implicazioni di natura psicologica connesse a tale differenziazione, identificandole sinteticamente nel diverso approccio manageriale di chi da una parte tende a privilegiare la teoria statica della allocazione ottimale degli assets, per dati costi-opportunità e livelli di produttività rispetto a chi (imprenditore Clausewitziano) ricerca invece creativamente le modalità operative per l’aumento della produttività.

Va da se che la digressione ora proposta sulle valenze antitetiche indicate da R Locke ha un significato unicamente strumentale. Consente infatti di sottolineare come nel nostro paese una politica della sicurezza nazionale, mirata ad esempio alla tutela da rischi di natura sistemica, ovvero connessi ad eventuali tentativi di prevaricazione dei mercati sui governi – come quelli attualmente percepiti – andrebbe invece realizzata nell’ottica della ricerca/composizione delle maggiori omogeneità ed identità culturali tra paesi Euro e non Euro, che sono oggetto dell’analisi socio-costruttivista alla tematica della sicurezza.


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