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Alessandro Manzoni e la narratologia: che cosa possono suggerirci sugli eventi parigini del 13 novembre 2015?

Da Straker
Alessandro Manzoni e la narratologia: che cosa possono suggerirci sugli eventi parigini del 13 novembre 2015?
La narratologia è per lo più considerata disciplina arida e noiosa. In parte ciò è vero, tuttavia, forse per serendipidità, essa si rivela utile non solo nell’analisi di molti testi letterari, ma pure nell’esplorazione dell’attualità.
Consideriamo solo due aspetti naratologici per rapportarli agli episodî parigini del 13 novembre 2015: la focalizzazione multipla e la caratterizzazione antropologica. La prima implica la relazione dello stesso accadimento secondo l’ottica di due o più testimoni: è quanto si verifica nel momento in cui il “fatto”, così come è occorso, è subito filtrato dai media ufficiali che propongono ed impongono la propria narrazione, mentre osservatori spassionati ed indipendenti ricostruiscono o provano a ricostruire quanto davvero è accaduto. Così la versione fittizia di regime è contraddetta e corretta dai cronisti e dai ricercatori. Nei “Promessi sposi” il mercante dell’osteria di Gorgonzola riferisce i tumulti di San Martino con l’assalto ai forni per opera di una popolazione inferocita ed affamata (11 novembre 1628), sulla base della sua ideologia piccolo-borghese, radicata in una mentalità classista, sino a trasformare il mite Renzo in un feroce sedizioso. L’autore, invece, dipana le vicende milanesi con obiettività, evidenziando l’atteggiamento ingenuo ed avventato del protagonista, di cui, però, mette in luce l’indole pacifica, la sua innata ripugnanza per ogni atto violento. Così, nella focalizzazione multipla, verità e menzogna collidono.
E’ quel che succede nella disamina degli eventi parigini con le narrazioni convenzionali in stridente contrasto con una verità che stenta ad emergere a causa dell’inebetimento generale e dell’egemonia detenuta dai potenti mezzi di disinformazione.
Consideriamo ora un'altra circostanza: le reazioni dei parenti delle vittime. Senza scomodare la programmazione neuro-linguistica, che comunque si può rivelare giovevole nelle nostre indagini, è sufficiente ricorrere ad un altro potentissimo strumento della narratologia, vale a dire lo studio della caratterizzazione. La caratterizzazione è l’insieme delle note che rendono un personaggio verosimile, realistico, accattivante. Sempre nei “Promessi sposi”, Manzoni, ancor prima di dedicare un ampio ritratto a don Abbondio, descrizione da cui emerge l’indole di un sacerdote pusillanime, opportunista e stizzoso, già definisce il curato, raffigurandolo mentre “bel bello” rientra in canonica, compiuta la sua consueta passeggiata serale. La raffigurazione antropologica (l’insieme delle glosse che dipingono il modo di camminare, di gesticolare e di ammiccare) rivela da sola l’indole oziosa e superficiale del curato: il linguaggio del corpo tradisce la sua natura di uomo abitudinario, mediocre e pacioso.
Mutatis mutandis, ci sembra che i genitori di Valeria Solesin nella gestualità, nel tono della voce, nel movimento oculare lascino emergere una certa affettazione, una commozione appena percepibile e comunque studiata, come studiate paiono le frasi, addirittura con quel cedere la parola e con quel lapsussiamo andati a letto, a dorm…” su cui Freud, se fosse vivo, si potrebbe sbizzarrire. La sincerità sembra controllata, il controllo pare appena velato da un tentativo di veicolare emozioni: ne risulta un pàthos gelido e retorico, un turbamento imperturbabile, come di una fiamma che non scalda.
Naturalmente non tutti reagiscono alle disgrazie allo stesso modo: alcune persone non piangono, non si disperano. Nondimeno i lati antropologici e neurolinguistici deporrebbero a favore di un’incongruenza fra la condotta dei genitori e la sventura piombata loro addosso. E’ un’incongruenza cui si aggiunge il carattere nazional-letterario di Valeria Solesin, più simile ad personaggio con un suo ruolo preciso, l’eroina animata da nobili valori, che persona in carne ed ossa.
E’ ovvio che le nostre sono ipotesi, benché fondate su osservazioni non di poco conto, tra l’altro suffragate da numerosi altri riscontri ed acquisizioni. In ogni caso, non ha torto lo scrittore Giorgio Manganelli ad affermare che la “letteratura è menzogna”, soprattutto la letteratura dei media mainstream, chiosiamo noi.
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