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alessia e michela orlando: CHE CI FACEVA IN UN VICOLO DI NAPOLI IL 12 MARZO 1787 UNA FROTTA DI RAGAZZI RIUNITI E SEDUTI IN TONDO CON LE MANI STESE VERSO IL SUOLO?

Creato il 24 agosto 2010 da Gurufranc

alessia e michela orlando: CHE CI FACEVA IN UN VICOLO DI NAPOLI IL 12 MARZO 1787 UNA FROTTA DI RAGAZZI RIUNITI E SEDUTI  IN TONDO CON LE MANI STESE VERSO IL SUOLO?

Sopra questa spianata perfettamente liscia vidi con mia sorpresa una frotta di piccoli straccioni, che accoccolati in giro, tenevano le mano stese verso il suolo, come per riscaldarsi…raggruppati nella posizione…di un circolo perfetto.

Napoli,12 marzo 1787.

Goethe

I VICOLI DI NAPOLI

Angoli sconosciuti e spesso dimenticati rivivono,

lungo un itinerario ideale e reale al tempo stesso,

nel centro storico della città

 

Luigi Argiulo

NEWTON & COMPTON EDITORI

Luigi Argiulo, deceduto da poco, fu giornalista e saggista. Ha diretto Azione Politica, La Riscossa del Sud e Cronache della Provincia. Ha collaborato ai quotidiani II Mattino, II Giornale di Napoli e il Roma. Ha scritto i libri Marano di Napoli e Mugnano di Napoli. Ha collaborato con svariate riviste, tra le quali II Cerchio e Iniziativa Meridionale. È stato consigliere comunale di Napoli e presidente dell'Assostampa Napolinord.

Dalla seconda di copertina:

I vicoli rappresentano il cuore storico e popolare di Napoli. Luigi Argiulo, profondo conoscitore della città e delle sue tradizioni, offre qui un'analisi sintetica ma esauriente del "ventre di Napoli". I mille mestieri, l'artigianato povero, gli ambulanti, le imprevedibili forme dell'arte di arrangiarsi: tutto il pittoresco e variegato mondo, insomma, che da' vita alla cosiddetta "economia del vicolo".

Accompagnato da Matilde Serao, Eduardo De Filippo, Benedetto Croce, Giuseppe Marotta, Totò e molti altri, Argiulo disegna un itinerario ideale e reale nel centro antico della città, intrecciando le esperienze di vita vissuta di questi grandi personaggi ad una vera e propria visita guidata.
Il libro orienta così il lettore in una passeggiata tra i vicoli più belli e suggestivi della città, ne esplora la storia e le bellezze artistiche, ne mette in luce angoli sconosciuti e spesso dimenticati.
Questa guida, dopo la grande espansione conosciuta dalla città di Napoli, risulta oggi particolarmente utile e preziosa.

IL LIBRO

Per capire la realtà dei vicoli bisogna partire da lontano, dal reticolo originario della città, su cui nel tempo si sono sovrapposte le tante città che formano Napoli: in un gioco meraviglioso che, a giudizio unanime, ne fa una delle più belle città al mondo. È sulle arterie di questa città che s'innestano i vicoli: come in alcuni quartieri di Marsiglia, di Genova, di Algeri, di Atene. Un microcosmo che una sua economia, i suoi personaggi, una sua vita quasi autonoma, che si svolge essenzialmente in quello che è il punto focale del vicolo: il "basso".

Partiamo, dunque, dal nucleo originario, la Napoli greco-romana: una pianta a scacchiera, geometricamente perfetta, divisa da tre decumani tagliati ad angolo retto dai cardini. Il centro di questa struttura, l'agorà, era l'attuale piazza San Gaetano, dove oggi si trova la chiesa di San Lorenzo. Ogni decumano aveva alle sue estremità una porta.

È, questo, l'affascinante e pregevole incipit. Perché pregevole: è un veloce, ma pertinente, richiamo alle essenze, alle suggestioni, alla cultura, che si respirano; è una sintesi delle origini della città, capace di disegnare una geografia essenziale, non come mero esercizio stilistico, ma per capirla, per capire quella che ancor adesso è. Averla in mente, come schema portante, utilizzare le strade con una visione colta e consapevole, fa godere appieno ciò che resta sul piano archeologico. E non solo: è un modo concreto per collocare istanze culturali in contenitori di pregio che, siano essi le chiese, le strade, i sotterranei, i vicoli, consentono di far rilucere ogni cosa; e tutto torna ad assumere gli antichi fasti. Vale lo stesso per i luoghi non fisici, cioè per la mente, anzi per le menti, giacché sono  molte anche le stesse opzioni culturali con cui occorre confrontarsi: Napoli è stata ed è multietnica.

Infatti, l'Autore prosegue: L'antica topografia di Napoli ricorda chiaramente il piano secondo cui furono edificati il Pireo ad Atene e la città di Turio in Italia. È la teoria di Ippodamo di Mileto, il grande architetto vissuto nell'età di Pericle (sec.V a.C), celebre per aver tradotto in canoni precisi un sistema urbanistico corrispondente alle forme di governo ed alla vita sociale del suo tempo. Questa struttura sta a ricordare che Napoli ha una grecità mai perduta nel corso dei secoli. Per uno strano scherzo del destino, Napoli è la città che, ancor più della stessa Atene, conserva l'antico tracciato greco. Ed è su di esso che, nel corso dei secoli, si sono sovrapposti quartieri, murature, vie palazzi, chiese, monumenti, acquedotti, fognature, che contrastano, certamente, con l'antico ordine ippodameo, ma che creano un unicum che fa strabiliare i visitatori.

È così che prosegue questo libro, all'insegna della chiarezza. Ci pare di essere condotte per mano nella riscoperta di una città che puoi sentire tua nella pelle (è cosa più profonda che nel sangue, come ci insegnano i cugini francesi), fino in fondo, nella coscienza come nel subconscio, eppure può straniarti e sorprenderti, lasciandoti il dubbio di non averla capita, di non aver capito nulla della sua vera identità. È lo sconcerto più totale, ma è anche la consapevolezza che hai ancora tanto da apprendere, mille aspetti di scoprire-riscoprire, mille angoli da assimilare per dire ancora che non la conosci. È questa la sua ricchezza: non ti annoierà mai Napoli, se vorrai coglierne tutta la complessità, la sua universalità. E tutto ciò è anche la ricchezza della umanità napoletana, segnalata anche da autori e grandi viaggiatori che napoletani non erano, non sono.

Proseguendo, continuando a tenere la mano di Luigi Argiulo, come fosse ancora qui, tra noi, scopriamo la Napoli di Guglielmo I (gli ampliamenti e Castelcapuano); la Napoli federiciana (l'Università degli Studi; le nuove mura); la Napoli angioina, quella aragonese, quella catalana, la genovese…tutti quartieri ispirati concezioni urbanistiche affatto diverse e contrastanti con l'impianto originario, quello greco-romano. Naturalmente l'Autore non si esime dal mostraci il rimarchevole decadimento sociale ed economico del periodo vicereale, quando formò la classe "dei lazzari", che possono essere considerati gli antenati di quel sottoproletariato urbano che ancora oggi alligna in alcuni quartieri di Napoli. Ma fu anche allora, tra il 1532 e il 1553, che il vicerè, don Pedro Alvarez De Toledo, estese notevolmente la murazione cittadina, inglobando Santa Lucia e Porta Capuana.

È, come si sa, la nascita dei quartieri spagnoli. Ci sarà, poi, il grande sviluppo demografico che farà dire a Stendhal: Napoli è la sola vera capitale d'Italia; ma è comunque la Napoli dei sotterranei, delle cavità pericolose; la città dai contrasti clamorosi, dai cieli cobalto e il mare verde, del Gambrinus dove D'Annunzio scrisse 'A vucchella, della Serao, di Curzio Malaparte, dle Boccaccio, del Petrarca, del Montesquieu, del Goethe, della Madame de Staël, dei fratelli Goncourt, di Jean Paul Sartre che scrisse: Vi giunsi dal mare un mattino di settembre e lei mi accolse da lontano con dei lampi polverosi; passeggiai tutto il giorno in strade diritte e larghe, Corso Umberto, via Garibaldi, e non seppi vedere, sotto la pomata, le piaghe sospette che quelle strade hanno ai loro fianchi. Verso sera mi ero arenato ai tavolini del Caffè  Gambrinus, davanti ad una granita che vedevo sciogliersi malinconicamente nella coppa di smalto…Girai la testa, vidi, a sinistra, via Roma che si apriva, scura come un'ascella. Mi alzai e mi ingolfai tra quelle alte muraglie. Ancora una delusione: quest'ombra calda, vagamente oscena, non era che un sipario di nebbia che si attraversava con pochi passi…

È così che Sartre scopre i vicoli dai muri cinerei e le donne con i loro stracci, che camminano a gruppi di cinque o sei, strette le une alle altre. Tutto sommato tristi.

I vicoli che l'Autore descrive sono anche quelli degli uomini famosi che vi hanno abitato, come nel caso di Benedetto Croce: …abitava nel Palazzo Filomarino, al n. 12 della parte iniziale della via chiamata dai napoletani Spaccanapoli. (…) Il Palazzo Filomarino vanta origini trecentesche. Inizialmente appartenne a Giovannello Brancaccio, detto "Guallarella", perché afflitto da un'ernia piuttosto vistosa. Poi passò ai Sanseverino di Bisignano, che soffersero vicende movimentatissime al tempo degli Aragonesi, perché sostenitori del partito francese degli Angiò. Infine, il palazzo divenne proprietà del principe Tommaso Filomarino della Rocca, uomo di gran pregio. Il fratello, Giovan Battista, frequentava il Vico, che abitava poco più avanti, e arricchì il palazzo di biblioteca e pinacoteca.

Un altro Vico, di cui ci che ci ha affascinato leggere, è quello del Fico al Purgatorio: …con i classici panni stesi al sole, ma anche balconcini ingentiliti da vasi e fiori. È la dignità degli abitanti dei vicoli, ai quali la vicinanza coi borghesi, coi nobili, trasmette la rassegnazione di vivere in dignitosa povertà. A Napoli ci sono molti vicoli che fanno riferimento al fico (…).Toponimi che testimoniano non solo la presenza, una volta, di alberi di fico, ma anche il grande amore per questo frutto dei napoletani. (…)Una volta se ne producevano di molto saporiti nelle campagne al Vomero e di Posillipo, soprattutto della varietà detta "troiana", prima che la colata di cemento invadesse queste amene colline.

Riporta anche i versi di Del Tufo.

…la fico eccellente

deve sopra il piede

collo 'mpiso e veste di pezzente;

però gli si richiede

un'altra condizione napoletana:

lagrime di puttana.

L'ultimo Vico descritto è quello Tre Cannoli, che allude a due fontane pubbliche. È nella zona del quartiere Porto e va dalla traversa Nuova Manna a via Porta di Massa.

Finiamo con la descrizione che di Napoli fa il Goethe in data 12 marzo 1787 nel suo Viaggio in Italia, riportata da Luigi Argiulo a pagina 51:

Oggi ho percorso la città, osservando qua e là secondo il mio costume per poterla a suo tempo descrivere un po' diffusamente…Ero arrivato in un largo, in cui le grosse pietre del lastricato sembravano accuratamente pulite con la granata. Sopra questa spianata perfettamente liscia vidi con mia sorpresa una frotta di piccoli straccioni, che accoccolati in giro, tenevano le mano stese verso il suolo, come per riscaldarsi…raggruppati nella posizione…di un circolo perfetto.

Seppi così che un fabbro del vicinato aveva arroventato in quel punto il ferro di una ruota, seguendo questo metodo: il cerchio di ferro vien collocato a terra e, al di sopra, si accumulano tanti trucioli di quercia che bastino a renderlo malleabile come si conviene. Il legno finisce di bruciare, il cerchio vien rimesso intorno alla sua ruota e la cenere viene accuratamente spazzata. Subito questi piccoli Uroni approfittano del calore rimasto nella pietra e non se ne vanno via senza aver prima goduto l'ultimo riflesso del tepore.  

  

 

La foto: copertina del libro I VICOLI DI NAPOLI. 

    

 



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