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Alice nel paese dei giornalisti

Creato il 05 novembre 2012 da Dallenebbiemantovane

Confesso che ero molto indecisa su come intitolare questo post.

Avrebbe potuto essere “La Fornero e le parole”. O “Una micidiale gaffeuse”. Oppure “Le parole sono pietre”. O ancora, troppo volgare, “Ma ci è o ci fa?”

Il senso finale non variava, trattandosi sempre, alla fine, del rapporto tra politici, comunicazione e media.

Un rapporto che, in questo momento storico, in Italia, è subordinato alla temporanea sospensione della democrazia che, come ben sappiamo e vediamo, ha portato al potere un gruppo di tecnocrati – uso il termine nell’accezione più neutra possibile – provenienti dai mondi finanziari, imprenditoriali e universitari.

Già, universitari: come Elsa Fornero, appunto. Quando avevo appreso della sua nomina, pur non avendo mai letto nulla di suo, avevo gioito. Finalmente una donna competente, assunta non per la sua giovane età né per la freschezza della sua pelle né per la simpatia né per presunte liaison più o meno imbarazzanti, ma solo e soltanto per la competenza maturata nel pluriennale studio del welfare e, in particolar modo, del sistema pensionistico.

A un anno dalla nomina, che cosa constatiamo? Che il ministro Fornero, persona (presumo) abituata a parlare in privato o, al massimo, davanti a folte platee di studenti e colleghi, si sta lentamente rendendo conto che la comunicazione politica non è, come quella, diretta, ma filtrata e resa a un pubblico di destinatari di secondo livello (i fruitori dei mass media) dai mass media stessi. I quali, se si escludono più o meno brevi video postati sui social network, tendono per loro natura a condensare, sintetizzare, spesso sparare con titoli ad effetto.

E non posso non stupirmi dello stupore del ministro. Anzi: della lentezza con la quale ha infine recepito la situazione, stupendosene infine come un’Alice nel paese dei giornalisti.

Già, perché questa dolorosa presa di coscienza è maturata dopo una lunga incubazione fatta di micidiali gaffe (ultimo il “choosy” dei giovani troppo schizzinosi) che mi facevano provare una gran pena per il ministro, così evidentemente indifeso... ma possibile che non potesse assumere un addetto stampa, un p.r. in gamba, che rilasciasse le dichiarazioni al posto suo? Che le tappasse la bocca ogniqualvolta compariva un microfono? Possibile che soffrisse di quell’incontinenza verbale che, talvolta anche in politici navigati, fa perdere il senso del luogo e del tempo finendo per esporsi al ridicolo? (Benché, ritengo, nessun politico italiano di professione, escluso forse Giovanardi, sia mai arrivato a certi livelli di autolesionismo)

Possibile, soprattutto, che una persona della sua esperienza specifica, non capisse che il Paese soffre ed è diventato estremamente suscettibile ai temi del lavoro, della cassa integrazione, della sottoccupazione giovanile, della perdita di speranza nel futuro? Che non conviene toccare i nervi scoperti di un animale ferito?

Ma chi la consiglia, mi sono spesso chiesta.

Probabilmente, nessuno. Il ministro Fornero ha l’età e la maturità per parlare a proprio nome, senza prestavoce. Il guaio è, appunto, che non solo è abituata a parlare a proprio nome, ma anche a dire quello che pensa, senza filtri.

E adesso - troppo tardi, a mio parere - sta lentamente realizzando che, nel momento in cui assumi un ruolo politico, non solo non puoi più permetterti di dire tutto quello che pensi nell’esatto momento in cui lo pensi (già Sally lo rimproverava ad Harry in tempi non sospetti, e lui non era neanche un politico), ma devi munirti di armi retoriche che la Fornero non possiede, o se le possiede non è abituata ad usarle. Armi purtroppo indispensabili come la simulazione e la dissimulazione, non ignote a Sun-Tzu o, anche solo restando dalle nostre parti, a Machiavelli.

E pensavo, allontanandomi da queste alate riflessioni sulla retorica, a un ottimo film tv appena visto su Rai Tre, Game change (Usa 2012), imperniato sulla campagna elettorale del duo McCain-Palin del 2008. Dove la tesi sostanziale, abbastanza convincente, è quella di una Sarah Palin incoscientemente e frettolosamente reclutata per recuperare voti tra donne, giovani e ultraconservatori, ma rapidamente tracimata e andata a male a causa degli stessi difetti che ne facevano una star: l’eccessivo entusiasmo, l’eccessiva fiducia in se stessa, l’immodestia unita a una spaventosa ignoranza, la propensione alla gaffe. E, si sa, coloro che Dio vuole perdere, li acceca.

Ah, dimenticavo: le interpretazioni di Ed Harris, Woody Harrelson e soprattutto Julianne Moore sono fantastiche.

Non credo che la Fornero abbia gli stessi difetti della Palin, se non altro per livello e provenienza culturale. Né credo che un rapido corso di tecniche di comunicazione con i media le servirebbe granché; credo, anzi, che lei stessa abbia focalizzato il punto critico e, con lodevole concretezza, abbia pensato al modo più efficace per estirpare il problema alla radice: non far più ascoltare ai giornalisti i suoi interventi pubblici. Sentiamo, a riprova, che cos’ha detto il 5 novembre ad un convegno torinese, dopo aver invano cercato di lasciare i giornalisti fuori dalla porta:

“Saranno gli errori a fare i titoli, perché succede sempre così: tu parli per 40 minuti e dici cose sensate e positive. Poi ti scappa una parola e basta quella per fare il titolo, basta quella per determinare dibattiti che durano settimane. E questo è uno stato del mondo, ed è inutile lamentarsene.”

Ma, benedetta donna, invece di lamentarsene adesso, non poteva pensarci prima?


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