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All’ombra dell’ulivo con Antonella Manni

Creato il 09 aprile 2014 da Cultura Salentina

All’ombra dell’ulivo con Antonella Manni

9 aprile 2014 di Augusto Benemeglio

All'ombra dell'ulivo 2
1-La bambina

In Barnum, Alessandro Baricco narra del bambino che da grande voleva fare il benzinaio. “Il benzinaio? Che stupido, pensavi. E invece no. Era un poeta e in modo incomprensibile a noialtri, il meno stupido di tutti.Era uno che, ancora con le braghe corte, già sapeva annusare il profumo del mito. Lo vedeva, là dove noi vedevamo solo un distributore, e puzza di benzina e mani sporche. Lui vedeva il mito”.

Io non so che cosa avrebbe voluto fare da grande,quand’era bambina, Maria Antonia (Antonella ) Manni da Melissano, – piccolo centro sito nel leccese, a cinquantanove metri d’altura su di un dosso presso il margine occidentale delle Murge Salentine -, autrice del volume di liriche e racconti brevi “All’ombra dell’ulivo”. Ma scommetto che fin da allora anche lei, tra i panni scuri stesi e le mura marrone rosate della sua corte, già sapeva vedere il mito con occhi sgranati di stupore e innocenza, fin da allora il suo piccolo cuore già vibrava di commozione e di grande tenerezza. Anche lei, come lo stemma del Comune, era una piccola ape circondate da tre carrube, pianta tipica della campagna circostante; anche lei già allora produceva, inconsapevolmente, il miele, come le sue antiche ave, il suo miele era la poesia.

 

2-Melissano

La denominazione del paese natio di Anontella fa riferimento proprio all’abbondante presenza della melissa e alla produzione del finissimo miele che nei tempi remoti era la caratteristica

peculiare del paese leccese. Ma Melissano ha dato i natali anche a illustri personaggi come Luigi Corvaglia (1890-1966), scrittore, saggista e filosofo che scrisse un romanzo ambientato a Leuca, “Finibus terrae”, Leuca la bianca, con le sue ville che sembrano ancelle in preghiera, ed ebbe soprattutto il grande merito di rielaborare e documentare le teorie del grande filosofo taurianese, Giulio Cesare Vanini, condannato per eresia, arso vivo a Tolosa, nel 1619, come era accaduto a Giordano Bruno nel 1600, a Roma. Ma Melissano – quasi per contrapposizione – ha dato i natali anche a un santo come don Quintino Sicuro (1920-1968), l’eremita di S. Alberico, nell’Appennino romagnolo, che io conobbi, appena ragazzo, a Roma negli anni ’60, quando dormiva sulle panchine del quartiere Latino-Metronio, tra porta San Sebastiano e la cattedrale di San Giovanni in Laterano, un uomo dalle profonde risonanze interiori, un santo francescano dei nostri tempi, morto d’infarto sul Monte Fumaiolo, dov’è posta una croce di ferro e la sua falcata d’amore.

All'ombra dell'ulivo 1

3. Casalinga e poeta

Moglie del mite onesto e laborioso Claudio, madre della fanciulla Aurelia, casalinga con modesti studi alle spalle, disordinata autodidatta che ruba ritagli di tempo alla cura della famiglia e delle faccende domestiche, per leggere,studiare o comporre versi sciolti, all’alba, nottetempo, tra un primo e secondo piatto, quando e come può insomma, Antonella è una donna che ha “faticato” la sua esistenza, una creatura che ha molto sofferto, ma non è poeta per questo, se mai è poeta perché sente,soffre più di altri e ha una grande capacità di sognare.

Salentina di ceppo “saraceno”( o forse berbero?): piccola, magra, minuta, ambrata-pallida, come le olive immature dei giardini della sua Matino, con gli occhi accesi, febbrili, roventi, con una inquietudine sofferta angosciosa che la pervade tutta, come l’onda di un ricordo notturno che si frange sugli scogli, o il lampo che illumina e ferisce, tutto materiale dell’anima che dentro le si fa voce, grido, sussurro, colore, calore, odore, sentiero, deserto, paesaggio, poesia insomma. La poesia le scorre nelle vene come un flusso inarrestabile, le batte

furiosamente alle tempie, la invade tutta, la fa traboccare, la fa entrare in crisi; è come un’ossessione. Deve lasciare tutto, prendere un foglio bianco, inserirlo nella sua portatile, coi tasti sconnessi, il nastro usurato, il tabulatore che non funziona, ecc. e giù a pigiare, pigiare i tasti sul foglio bianco, sul foglio nudo…Ma no, così non va bene…Riflette, pensa, si concentra finchè – eureka!- ha trovato – : “La chiave di tutto è dentro di noi..”. Eccola battere faticosamente i tasti della vecchia olivetti 22 per farne uscire quel primo verso che sembra suggerito da Novalis in persona (Dentro di noi/ o in nessun altro luogo /stanno i regni dell’eternità…) Ma non illudiamoci, nè vantiamoci per aver azzeccato un verso, perchè ben sappiamo che “il primo verso lo forniscono gli dei“.

4. Un futuro migliore è dentro di noi

Ora viene il difficile, bisogna andare avanti, stendere sulla carta tutto l’empito che hai nel cuore, tutto ciò che ti brucia dentro. Forza, dài, Antonella! Cuore non tremare, tempie non scoppiatemi adesso, placati ansia, cervello non temere, ce la faremo:vedi quel fascio di raggi concentrici che fanno brillare il foglio ed è come se il foglio vibrasse sul carrello della macchina da scrivere, lo vedi? Certamente. Io so che “un futuro migliore è dentro di noi”. E’ riuscita a tradurre in parole ciò che le “voci” suggerivano in una lingua segreta, piena di curiosi segni enigmatici?.Non lo sapremo mai fino a quando i versi non saranno letti da altri. Letti? No, no, nooo!, i versi non si leggono, vanno “re-citati”, “ri-vissuti”, come se fossero nostri e ci appartenessero da sempre e ognuno di noi fosse una sorta di attore-sciamano (chissà perchè mi viene in mente Carmelo Bene?) in grado di penetrare il segreto e portarlo alla luce con la ritualità…Ma basta! E’ il momento della revisione. C’è un sacco di materiale confuso, un mucchio di parole senza significato, forse addirittura delle sgrammaticature, o errori di ortografia…Cerca di essere essenziale, scegli la parola che sia più carica di significati espressivi, che abbia un valore più connotativo che denotativo, e poi attenta all’uso figurato. Che cos’è quella, una similitudine, una metafora o una sinestesia? “Ma che ne so, io! Ho fatto la terza media appena! Mi scoppia la testa. Basta, basta!”… E il ritmo? Deve essere più lento, o forse più veloce? E gli effetti fonici ( hai a disposizione allitterazioni, assonanze e consonanze…). E con la metrica e la rima come va? “Oh, Dio mio, che tortura! Mi scoppia la testa! Ma perchè scrivo poesie? Straccio tutto. Via, tutto nella spazzatura. Riuscirò mai a scrivere una poesia veramente bella, come ce l’ho dentro, nel cuore, nella mente, nelle orecchie, negli occhi, nel naso, nella gola, nei nervi?…Certe volte mi ci sveglio la notte…Mi sembra di essere trasportata in paradiso, in una chiesa barocca nobiliare, con la scalinata in pietra leccese e la calce bianchissima dell’intonaco che rifrange…Che versi stupendi che mi vengono in mente! Poi mi alzo, vado a metterli sulla carta…. Uno schifo! “Ma…sst!, che succede, ora? S’è fatto silenzio intorno a lei, ora il mondo non esiste più, ora Antonella può finalmente liberamente comunicare con il suo io, non ha più nessuna preoccupazione tecnica, nessuna paura di fallire, ecco che l’azione si fa più leggera e fluida, può lasciarsi trasportare dolcemente dalla malinconia del ricordo, che stempera la sofferenza, il dolore, la privazione, l’infelicità del vivere: ecco il fantasma luminoso del padre :

Era un marinaio mio padre/un antico marinaio di vetro

che solcava felice/i mari della mia fanciullezza

…ora è la /che si dondola triste,/sul respiro antico di/un mare di cemento”

All'ombra dell'ulivo 3
5. Un arcipelago di luce

Ci sei riuscita, Antonella! Brava!… Ma perchè dici che tuo padre era un marinaio di vetro? “Perchè il vetro è terso, trasparente, leggero, puro, indifeso, prezioso, delicato, fragile ed è come tutte Le cose a noi care /(che) hanno la fragilità/assoluta del vetro,/tanto temiamo di perderle.Tra tanti episodi di ordinaria “violenza” della cronaca quotidiana che affliggono la nostra esistenza, la soppressione della lingua berbera (forse la lingua dei tuoi avi, Antonella?) è caduta sotto silenzio. Eppure il berbero è per antonomasia la lingua della solidarietà, la lingua “dell’altro”. Eccola Antonella-occhi febbrili, con il chador, nella tenda nomade, in pieno deserto del Sahara servire il tè, attraversata da un’onda lirica: Si ritorna sempre sui luoghi amati/ma il tempo ci ha battuto,/ ha portato tutto con sè.Eccola che guarda salire al cielo senza fine il lamento dolcissimo del muezzin. Eccola alla costante ricerca di quella sua lingua evocativa, ancestrale che è forse Il vero amore (che) non muore mai. Antonella s’affaccia dal balcone della sua casa di Melissano, è diafana come la luna, è fatta di malinconia, d’insoddisfazione e d’eterna inquietudine, sa che non avrà mai pace, perchè la sua vita dovrà sempre ri-scriverla perchè possa provare a sè stessa che l’ha vissuta veramente. Come fa con la sua infanzia che forse non c’è mai veramente stata, ma viene trasfigurata nei suoi ricordi e nelle sue visioni, crea i miti e simboli del padre marinaio di vetro, va oltre la barriera del pudore confessando e testimoniando le sue dolenti ore di abbandono, di tristezza, di disperazione, la mancanza di certezze nel futuro, l’angoscia di vivere. E tuttavia riesce a trasmettere anche sentimenti di speranza e di ottimismo, quali la compassione, la pietà sincera e la solidarietà vera, autentica, vitale che è quella che ti fa gridare se pestano il piede ad uno sconosciuto. Sa che una vita senza amore non è degna di essere vissuta. La su poesia è semplice, elementare, essenziale, e tuttavia, – negli esiti più felici, – è come un arcipelago di luce, è il paradiso che ti viene incontro a ti fa provare un “brivido di passione o commozione che è amore”. Del resto, volente o nolente, l’amore è l’unica /schiavitù a cui l’uomo/non sa sottrarsi.


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