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Alla grandeur

Da Peolaborghese @mesosbrodleto
Alla grandeur

Maxischermo strategico in place de la concorde

La grandeur è la componente fondamentale di ogni cerimonia. E’ una parola francese e indica quanto francese è l’oggetto a cui si riferisce, perché i francesi sanno fare benissimo una sola cosa: vendersi. Non si può ridurre al marketing, intanto perché è inglese, e poi perché il marketing è in realtà una truffa beffarda. Con il marketing ti appioppano cose di cui poi maledici il venditore perché si rivelano inutili. Anche i francesi ci vendono inutilità, ma noi, al contrario, la adoriamo. Unica eccezione la cerimonia di apertura delle olimpiadi di Londra: non l’hanno fatta i francesi ma è stata epocale, chiusa da sir Mc Cartney, uno che in Francia non nascerà mai.

Alla grandeur

Sagan, probabile futuro cannibale, sugli Champs Elisées

Esempi di grandeur sono il Tour de France, la tappa finale sugli champs élisées, Parigi. Qualsiasi uomo, vero uomo, sogna di arrivare lì a braccia alzate. Milioni di persone da tutto il mondo si riversano lungo le strade di Francia per tre settimane, fino ad arrivare al culmine nella ville lumière. In realtà il Tour non è la corsa più bella del mondo, il Giro d’Italia è di un altro livello, l’Italia stessa è di un altro livello. La più prestigiosa, però, resta la corsa francese. Perché loro hanno la grandeur e noi no, non possiamo farci nulla.

Alla grandeur

Riposo ai Jardins du Luxembourg

Parigi è una città che strabilia chiunque ci passi, anche per sbaglio: ogni boulevard offre qualche scorcio mozzafiato, poi c’è la Senna, i parchi pieni di verde, la vita, gli artisti, i locali. Sembra perfetta, anzi è perfetta. Anche i trasporti sono una meraviglia, dalla celebre metro fino al nuovo Velib: enorme ed efficiente servizio di bike sharing, dal costo esiguo e comodo oltre ogni aspettativa. Ogni trecento metri c’è una stazione (1700 stazioni per 23mila biciclette)  da cui poter prendere una bicicletta e girare per Parigi, godendosela tutta dalla superficie.

Alla grandeur

Fenomeno che palleggia su un lampione di Montmartre

A fare il gioco delle differenze con la nostra città, ci si rimane male. Ad esempio se per tornare da Parigi si atterra a Pisa, si può fare un confronto rapido: lungo l’Arno non ci sono spiaggette come sulla Senna, ma pantegane. I giardini Scotto non sono come i Jardins du Luxembourg, qui c’è meno prato e più tossici. Per non parlare del girare la città in bici, le poche piste ciclabili sono occupate da auto, pronte per partire e uccidere il maggior numero di ciclisti. Il giochino è impietoso, fino a quando la differenza più grande non viene all’occhio: Parigi è finta. Pisa, come qualsiasi altra città italiana, rispecchia la gente che ci vive. La gente è sciatta, la città è sciatta. Parigi non rispecchia i parigini, è una immensa eurodisney progettata per nutrire il mito. I francesi sono Zidane e Le Pen, altro che il panorama da Montmartre. Viva l’Italia, dunque, perché fa schifo ma non lo nasconde.



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