L’amore può essere tanto un’appiccicosa strategia per soddisfare il bisogno di non essere soli, quanto la condivisione della pulsione di morte che santifica le notti allucinate di una coppia di tossicomani. L’amore può dar vita a intenti diversi: impeccabili, nobili, appassionati, incondizionati al punto da nutrirsi del solo profumo dell’incenso. Quando non corrisposto, tuttavia, l’amore può generare dei mostri. In questo caso lo chiamiamo Odio e preferiamo trattarlo come l’opposto dell’amore: l’odio deve essere un’altra cosa, perché non è accettabile che santi e mostri provengano dallo stesso ventre e abbiano succhiato il latte della stessa amorevole mammella. L’amore è comunque e sempre una strategia della vita per incentivare l’evoluzione di se stessa. Tutto il resto è roba nostra: mistificazioni più o meno raffinate del bisogno biologico e psichico di affetto, calore, sesso. Ci possiamo scrivere sopra tutte le poesie che vogliamo, possiamo dipingerlo, raccontarlo, aggettivarlo con quanto di più sacro esista al mondo: nella migliore delle ipotesi produrremo arte; nella peggiore, il miglior fantasma della collezione, quello che nutre l’insaziabile e insana fame d’infinito che ci accompagna dai tempi della gioventù, quando ci piaceva masticare, digerire, vomitare e poi masticare ancora i nostri sentimenti, fino a trasformarli in quel bolo scintillante che sfama la corte di assenze al seguito del nostro sentire. L’amore è un giogo imposto col primo abbraccio della madre. Sì, un giogo, senza il quale la vita non scorre più sottotraccia, si libera del ferro che fa pesante lo zoccolo ed esce dal recinto; galoppa libera nella prateria fino al tramonto, per condurci poi, stanchi e senza una meta, lungo il crinale che divide il sogno dalla follia: una sottile linea trasparente dalla quale è facile cadere, precipitare negli abissi del brodo primordiale in cui tutto nasce e tutto muore.
L’amore piega lo spazio-tempo come un foglio di carta fino a farne coincidere gli angoli opposti, finché la tensione fa scoccare la scintilla che accende le luci dell’arena. Lui la guarda, Lei sorride; un gesto d’intesa e prende vita il Paso Doble che la natura ci ha insegnato ad eseguire.
Lui torero, Lei muleta, danzano insieme per sconfiggere il toro; per trafiggere il mostro della solitudine con la spada del piacere. L’amore è comunque e sempre una portante verso una nuova vita: forse migliore, forse no; ma non importa, perché è comunque vita che continua, cambia, si rinnova nel desiderio di esserci, risveglia l’anima dal torpore del quotidiano sopravvivere.
Apriamo le danze: una bella mano di cerone e via, dentro l’arena. Sia liberato il Toro.
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