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Ampsicora e la resistenziale sarda

Creato il 22 settembre 2013 da Albertomax @albertomassazza

sardiPersonaggio quantomai controverso della storia e della mitologia sarda, di volta in volta considerato come il primo patriota della RESISTENZIALE SARDA, come un protagonista periferico di una guerra tra invasori a cui i sardi veri furono indifferenti o come pura leggenda funzionale alla glorificazione della Repubblica, Ampsicora ha comunque conquistato un ruolo di primo piano nell’immaginario identitario sardo. A lui sono state intitolate vie e piazze pressoché in tutti i centri abitati dell’isola; a Cagliari, portano il suo nome la più antica polisportiva cittadina (con prestigiosi risultati ottenuti nella ginnastica, nell’atletica leggera e soprattutto nell’hokey prato, in cui risulta la squadra più titolata d’Italia)  e lo stadio (e per estensione, il quartiere adiacente) in cui il Cagliari di Gigi Riva vinse lo scudetto nel 1970. Ma tutto quello che sappiamo di lui, lo si deve a uno storico romano, Tito Livio (ripreso decenni più tardi da Silio Italico), vissuto due secoli dopo i fatti e che, con la sua opera scritta dalla prospettiva  dei vincitori, intendeva dare fondamento alla Repubblica romana.

I fatti che lo videro protagonista si situano nel panorama generale della II Guerra Punica. L’occupazione romana del 238 a.C., conseguenza indiretta della vittoriosa I Guerra Punica, era resa precaria nel centro e nel nord dell’isola dall’ostilità delle popolazioni sardo-puniche. Con la II Guerra Punica e la trionfale marcia di Annibale in Italia, si crearono i presupposti per far rientrare l’isola nell’orbita cartaginese. Così, nel 215 a.C. Ampsicora e Annone, possidenti di cultura sardo-punica con importanti cariche politiche rispettivamente delle città di Cornus e Tharros, organizzarono una rivolta antiromana. Ampsicora chiese ed ottenne il sostegno di Cartagine, che inviò una flotta di sessanta navi, sotto il comando di Asdrubale il calvo. Inoltre, si recò personalmente in ambasciata presso i principi sardi dell’interno, denominati dai romani, con vago senso dispregiativo, Pelliti per la loro abitudine di vestirsi di pelli, cercandone il coinvolgimento nella rivolta. Durante la sua missione, il comando per la difesa della città di Cornus venne affidato al figlio Hosto (o Iosto).

I romani, avuta notizia dei preparativi della rivolta, si organizzarono prontamente e inviarono un cospicuo contingente sotto il comando del console Tito Manlio Torquato, veterano delle spedizioni d’occupazione della Sardegna. Avendo saputo dell’imminente arrivo dei rinforzi da Cartagine e delle trattative per il coinvolgimento dei sardi pelliti, Tito Manlio Torquato marciò senza indugio verso i territori insorti. Lo scontro avvenne nell’estremo nord campidanese, in una posizione intermedia tra Tharros e Cornus. Iosto, avendo sottovalutato l’entità dell’esercito romano e fattosi prendere dal furore della sua giovane età, si lanciò all’attacco, ma venne sbaragliato dalle mosse dell’esperto console, anche perché, a causa di una tempesta, la flotta di Annibale era stata portata fuori rotta e costretta a riparare alle Baleari. I romani, prevedendo l’arrivo dei contingenti alleati cartaginesi e sardi, anzichè marciare su Cornus ripiegarono verso Cagliari, sicuri di un futuro attacco dei sardo-punici.

Una volta riorganizzatisi con i rinforzi, gli insorti decisero di marciare su Cagliari, convinti che a difenderla ci fosse una sola Legione. Ma Tito Manlio fece convergere sulla città le Legioni di stanza a Nora e a Sulci. Lo scontro avvenne nella pianura immediatamente a nord della città, presumibilmente nell’attuale territorio comunale di Decimomannu. La disfatta dei sardo-punici fu totale: Iosto morì in battaglia, Annone e Asdrubale vennero fatti prigionieri e i sardi pelliti superstiti si ritirarono precipitosamente nei loro territori. Quanto ad Ampsicora, dopo aver riportato i reduci a Cornus, stando al racconto di Tito Livio, si sarebbe dato la morte, non sopportando il dolore per la morte del figlio e per la disfatta.

Le controversie sulla figura di Ampsicora riguardano la sua appartenenza etnica e l’affidabilità storica del racconto di Tito Livio. I nomi di Ampsicora e Iosto non hanno riferimenti etimologici sicuri. Plauto, nel Poenulus (Il Cartaginese) chiama Ampsigura una donna punica, ma, essendo il commediografo contemporaneo alla rivolta sarda, è verosimile che abbia forgiato quel nome sull’eco delle notizie giunte dall’isola. Si è messo in relazione con Ampsuga, fiume della Numidia, ma non si tratterebbe di un toponimo punico, bensì berbero. Il suffisso in c(g)ora è stato accomunato ai filosofi Anassagora, Protagora e Pitagora, tutti di area Egeo-Anatolica, provenienti da regioni fortemente colonizzate dai Popoli del mare, tra i quali Shardana e Tursi provenienti dalla Sardegna. Pitagora aveva come appellattivo “tirreno”, nome con il quale i greci indicavano gli etruschi e che significa costruttori di torri (chi altri se non i nuragici?). Per quanto riguarda Iosto, la semplicità del nome amplifica all’infinito le possibili speculazioni etimologiche.

Sull’attendibilità storica del racconto di Tito Livio, all’ovvio sospetto di corruzione dovuto ai due secoli intercorsi dai fatti e alla partigianeria dello storico, si è aggiunta recentemente una teoria che vorrebbe l’eroe invenzione mitica, creata come contraltare in negativo delle gesta della Gens Manlia alla quale apparteneva il console. Difatti, nella genealogia di questa illustre famiglia sono presenti vari episodi di indisciplina di giovani della Gens in battaglia, puniti dai loro padri comandanti con la condanna a morte. La mancata punizione da parte di Ampsicora per l’indisciplinato assalto di Iosto nella prima battaglia e il patetico suicidio del padre di fronte alla morte del figlio, non sarebbero altro che invenzioni letterarie, create ad hoc per far rilucere la virtù della Gens Manlia che, nel conflitto tra sangue e ragion di stato, scelsero sempre e  senza indugio per la ragion di stato.

Ad ogni buon conto, tenendo presente l’impossibilità di fare chiarezza sul grado di sardità di Ampsicora e sull’attendibilità storica del racconto di Tito Livio, resta il fatto che, nell’immaginario collettivo dei sardi, lo sfortunato principe di Cornus è divenuto il capostipite di quella che Giovanni Lilliu ha chiamato la Costante Resistenziale Sarda, vale a dire quel sentimento indipendentista dei sardi che ha attraversato, con ciclici tentativi di rivolta, la storia dell’isola nel corso delle sue svariate dominazioni.

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