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Analisti, avvocati e puttane. Harry a pezzi di Woody Allen

Creato il 25 aprile 2011 da Spaceoddity
Harry è uno scrittore di successo, ma da un po' non riesce a pensare - e, dunque, a portare a termine - una storia decente. Ma la sua vita manca di organicità, di ragioni e di amore, in una parola: di fantasia. È per questo che ricorre a ciò che l'uomo ha pensato per compensare l'impasse di chi non ce la fa da sé, l'illusione. Harry vive così tra i suoi personaggi in un montaggio scanzonato e frammentario tra la realtà e la finzione sbrigliata di creature ben lungi dal cercare un autore, anzi parecchio ansiose di liberarsene.
Analisti, avvocati e puttane. Harry a pezzi di Woody AllenHarry a pezzi (1997) è, senz'altro, uno dei film più dissacranti e buffi di Woody Allen. Un cast di stelle hollywoodiane interviene a celebrare il più indiscreto, nevrotico e scomposto genio main stream della cinematografia moderna: Billy Crystal il demonio, Demi Moore la psicanalista tradita, Robin Williams l'uomo sfocato (ma anche Kirstie Alley, Toby Maguire, Stanley Tucci e altri), coronano un quadro di perturbante comicità, in cui niente è al suo posto. Tutto fila via con scossoni e tagli brevi, sovrapposizioni, metafore e simbolismi così trasparenti da superare la mera dimensione allusiva per farsi metalinguaggio.
Ciò accade a danno di ciò che potremmo chiamare, approssimando, trama. E dico approssimando perché la trama si costruisce proprio in questo scivolare di un piano sull'altro, con ovvie ripercussioni sul finale: ma già, la prevedibilità è un indice dell'esistenza stessa di una storia, e questo Woody Allen lo sa benissimo, sì da farne ulteriore ragione di balocco (o barocco) narrativo. Harry a pezzi è un seducente discutere di vita e di felicità, parecchio consentaneo al regista. Poco gli importa, però, di fare a pezzi credi e valori, pur di portare a compimento questo sistematico smontaggio di una vita organica (è fuori gioco la serenità, se non come maschera altrui).
A dire il vero, poco importa a Woody Allen anche di insistere su queste battute antisemite e irriverenti come di una convenzione, di un punto di partenza per stupire con lo scintillio del suo infaticabile umorismo. La crisi della persona viene eletta a sistema perché è su questo palcoscenico che l'artista gioca le sue carte, in modo più o meno scoperto, nel suo raffinatissimo - e, a seconda dell'umore, talora stucchevole - parnassianesimo. D'altronde, l'arte di Woody Allen, pur giocando con l'elaboratissimo tono pseudodidattico delle sue lunghe tirate, non si spaccia mai per maestra di vita; mi pare invece che si riveli - addirittura con umiltà - per quello che è: irresistibile arte comica.

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