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Anche Hollande si deve arrendere, al via la cura d’austerità

Creato il 14 gennaio 2014 da Capiredavverolacrisi @Capiredavvero

Nell’articolo seguente verrano esposti i gravi problemi economici a cui dovrà far fronte il governo francese nei prossimi mesi. A dispetto dei luoghi comuni che circolano, lo Stato transalpino deve affrontare dei problemi molto simili a quelli del nostro Paese:

-un debito pubblico che, anche se ancora sotto la soglia del 100%, è crescito moltissimo negli ultimi anni, addirittura più del nostro;

-un deficit più alto di quello italiano che si attesta al 4,8%;

-una disoccupazione in continuo aumento che ha raggiunto la soglia del 10%;

-una tassazione eccessiva che scoraggia la creazione di nuovi posti di lavoro;

-una spesa pubblica con molti sprechi da eliminare;

Questi sono tutti i punti che ha toccato il Presidente della Repubblica Hollande nel suo telediscorso di fine anno, sarà un anno duro per la Francia e i francesi.

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A due anni dall’insediamento del Presidente francese Hollande, la promessa di ergersi contro i diktat d’austerità imposti dalla Germania è oramai solo un vago ricordo.

Le politiche di spesa pubblica, l’innalzamento delle tasse sui ricchi (ricordate il famoso 75%?), il fronte unico per la crescita insieme all’allora Italia di Monti e tutte le altre promesse sono andate perdute con il passare del tempo e con l’aggravarsi della crisi anche in territorio transalpino.

A seguito della sua vittoria elettorale la situazione economica francese è in continuo peggioramento. Non è un caso che le percentuali di gradimento dell’operato del suo governo sono le più basse registrate nella storia della Quinta Repubblica, arrivando a toccare nel novembre del 2013 il punto più basso del 15%.

Il cammino delle politiche economiche del presidente Hollande potrebbe essere facilmente condensato in due articoli della rivista britannica The Economist.

Subito dopo il suo insediamento l’Economist osservava come da anni il paese avesse perso competitività nei confronti della Germania, soprattutto da quando i tedeschi hanno tagliato i costi e hanno spinto sull’acceleratore delle riforme. Senza la possibilità della svalutazione, la Francia ha fatto ricorso alla spesa pubblica e al debito pubblico, che è passato dal 22% del PIL dei primi anni ’80 a oltre il 90% di adesso. “Eppure – scriveva la rivista britannica -, davanti alla gravità dei problemi economici della Francia, Mr Holland sembra ancora tiepido. Ha anche già approvato una serie di misure sinistroidi, tra cui un’aliquota di imposta al 75% sui redditi alti, un aumento delle imposte sulle società, sulla ricchezza, le plusvalenze e i dividendi, un salario minimo più elevato e un parziale ritorno indietro da un innalzamento dell’età pensionabile già precedentemente approvato.”

In questi due anni di governo quasi tutti i dati macroeconomici francesi sono peggiorati. Oltre al già citato debito pubblico che ha raggiunto quota 90%, per darvi un’idea di quanto sia aumentato in poco tempo, se il debito italiano dal 2007 al 2011 è aumentato di 17 punti di Pil quello francese è aumentato di 22; il tasso di disoccupazione è salito fino al 10,9% (fig.1), il deficit del governo è saldamente assestato al 4.8%, quindi ancora in procedura d’infrazione europea ed infine il rating dei titoli di Stato è stato declassato sia di Moody’s che da Fitch ad AA con Outlook (previsione futura) negativo. A fronte di questo vero e proprio disastro, la Francia ha registrato un ricaduta del Pil dello 0,1% nel terzo trimestre del 2013, Hollande ha dovuto fare una sonora marcia indietro sulle proprie politiche economiche, ammettendone in pratica il fallimento nel suo discorso televisivo di fine anno.

Fig.1 Tasso disoccupazione Francia 2011-2014

Fig.1 Tasso disoccupazione Francia 2011-2014

A questa retromarcia e cambio di agenda ha dedicato il secondo articolo pochi giorni fa l’Economist. Tra i vari punti del discorso messi in evidenza nell’articolo, ha stupito particolarmente come Hollande abbia definito la tassazione in Francia “troppo pesante” e di come questa scoraggi la creazione di posti di lavoro. In effetti, il livello di tassazione nel Paese transalpino ha raggiunto un livello eccessivamente elevato (45%) e, quando la promessa della tassazione del 75% sul reddito dei più ricchi è stata respinta dalla Corte Costituzionale, a furia di tassare la classe media molte persone comuni hanno visto aumentare il loro carico fiscale. Inoltre ha colto di sorpresa molti osservatori anche la promessa “di tagliare la spesa pubblica” fatta dal Presidente nel suo discorso: “Adesso la sua tesi è che lo Stato è diventato “troppo pesante, troppo costoso”. La vera novità è che la sua posizione non è basata soltanto sull’obiettivo della riduzione del deficit. Egli dice di voler eliminare anche gli “abusi dello stato sociale”, normalmente un cavallo di battaglia della destra, e sostiene che l’obiettivo dei tagli alla spesa è quello di riuscire “col tempo, ad abbassare le tasse”.” Potete ben immaginare come questo suoni come un eresia alle orecchie dei socialisti francesi, infatti, non pochi esponenti della Gauche sono rimasti allibiti da questa svolta ideologica arrivando fin a accusare Hollande di tradimento, mentre le nuove promesse sono state accolte con favore dalla Confindustria francese (Medef) e dalla destra.

L’articolo dell’Economist si chiude con la speranza che le promesse vengano mantenute. A nostro modesto parere, crediamo che a questo punto Hollande sia costretto ad effettuare le politiche prefissate. All’interno di un’Unione Europea che ha ormai da tempo accettato la svalutazione interna e il taglio alla spesa pubblica come unica leva di ripresa dell’economia, il Presidente francese non avrà altra scelta.

Il cambio di rotta è quindi inevitabile ed obbligato, ma, come sottolinea l’economista francese Jacques Sapir, direttore del Centre d’Etude des Modes d’Industrialisation (CEMI-EHESS), sia le politiche adottate fin’ora sia quelle promesse non garantiranno una ripresa nel breve periodo per la Francia: dobbiamo vedere nel  deterioramento di questi risultati gli effetti delle politiche di svalutazione interna che alcuni dei nostri vicini, come la Spagna, il Portogallo e persino, in qualche misura, l’Italia, sono stati obbligati a intraprendere. La diminuzione del costo dei salari, ottenuta in maniera molto brutale con una politica dai risultati spaventosi in materia di occupazione (in Spagna e Portogallo) e di crescita (per l’insieme di tutti questi paesi), ha migliorato la loro competitività a nostro discapito. Questo sarebbe tollerabile se noi potessimo, a nostra volta, migliorare la nostra competitività rispetto alla Germania, le cui eccedenze commerciali destabilizzano l’economia europea, ma anche rispetto a quei Paesi le cui valute sono indicizzate, più o meno direttamente, al dollaro. Se vogliamo impegnarci anche noi in un esercizio di svalutazione interna, dobbiamo aspettarci un calo del PIL, a causa di un crollo dei consumi, e un’esplosione della disoccupazione, che potrebbe salire rapidamente al 16-18% della popolazione attiva. Il futuro sembra essere ridotto a questa alternativa: o un lento degrado con l’attuale politica socialista, o un molto prevedibile disastro con la politica proposta dall’opposizione.”


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