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"Anche i ricchi piangono - Lo diciamo da più di due anni, ma questo non ci consola

Creato il 15 agosto 2014 da Tafanus

Il post che segue sembra scritto ieri, quando tutta la stampa, all'unisono, si è accorta che in una comunità economico-finanziaria non ci può essere un paese ricco a lungo, in una comunità di straccioni poveri a lungo. Invece è un post del settembre 2012. Abbiamo avuto la vista lunga, o bastava avere la grandissima idea di togliersi le fette di salame dagli occhi?

Non ci voleva certo il Nobel Modigliani per capire che un paese esportatore come la Germania, a forza di strozzare i paesi più deboli, alla lunga avrebbe ammazzato la SUA gallina dalle uova d'oro.

Ora sta succedendo e tutti si meravigliano. E noi ci meravigliamo della loro meraviglia.

Renzi gioisce, perchè, tropnfio come un gallo, può affermare che "allora non eravamo noi il cancro d'Europa". Invece si, caro Renzi, perchè è anche colpa di paesi come il nostro, come la Grecia, Come il Portogallo, come la Spagna, se in Europa ha preso piede il terrore del debito. Renzino, non gioire troppo. Moltio altri paesi, col debito che è metà di quello italiano, potranno finalmente attuare politiche anticicliche. E noi, col nostro debito che viaggia verso il 140% del PIL, la prenderemo nel sedere peggio, molto peggio del Signor Mueller da Monaco di Baviera.

Ecco cosa scrivevamo circa due anni fa:

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Dov'è la sorpresa? Noi lo scriviamo da mesi, che la Germania sarebbe entrata - come una qualsiasi tessera del domino - nella caduta collettiva. E che al quel punto l'atteggiamento da "maestra" che assegna i voti, bacchetta, boccia o promuove, sarebbe cambiato. Sarà mica perchè i tedeschi cominciano ad accorgersi - con la consueta prontezza di riflessi - che adesso "tocca anche a loro", che si sono molto ammorbiditi i toni nei confronti delle "repubbliche dei fichidindia"? Ecco il quadro che della situazione tedesca traccia Stefano Vastano, su "l'Espresso"...
I consumi interni scendono. L'export non tira come prima. L'auto riduce l'orario di lavoro. E Berlino taglia le stime del Pil
(di Stefano Vastano - l'Espresso)
A fine agosto i disoccupati tedeschi erano circa 3 milioni. Per l'esattezza, 2 milioni e 900 mila. È un record: da 21 anni non si registrava in Germania una disoccupazione così bassa. Poi ci sono i primati sul fronte salariale: quest'anno, ad esempio, gli 800 mila metalmeccanici hanno spuntato la bellezza del 4,3 per cento in più in busta-paga. Come d'altronde i 100 mila dipendenti dei sei impianti tedeschi della Volkswagen. Di più è andato solo ai 550 mila addetti aell'industria chimica, i cui salari sono aumentati del 4,5 per cento.
Nell'Azienda Germania, dunque, fila tutto per il verso giusto? No. Persino nella macchina tedesca s'avvertono, e sempre più forti, i primi scricchiolii della crisi. Ad esempio, negli impianti di Rüsselheim e di Kaiserlautern, dove si sfornano le Opel Astra e le Insignia. Al primo settembre scorso, e per circa 12 mila dipendenti, è scattata l'emergenza del "kurze arbeit". E cioè la drastica riduzione dell'orario di lavoro, con un taglio di circa il 40 per cento sul salario netto. Il motivo è che, nel primo semestre dell'anno, le vendite della Opel sono crollate in Europa del 12 per cento. Ma anche negli impianti della Ford a Colonia entrerà in vigore, per ora solo per settembre e ottobre, l'emergenza del "lavoro-corto".
Le misure restrittive non colpiscono solo i dipendenti delle quattroruote tedesche: dallo scorso agosto, e per i prossimi sei mesi, anche 2.170 operai delle acciaierie ThyssenKrupp lavoreranno, e guadagneranno, molto meno. E, dopo i giganti dell'auto e della siderurgia, anche il numero uno dell'elettronica tedesca, la Bosch, ha annunciato la riduzione (da ottobre alla fine del 2012) di orario e salario per i 1.100 operai degli impianti bavaresi di Schweinfurt.
Segni più che evidenti che «la crisi dell'euro», come spiega Andreas Rees, analista di Unicredit, «è arrivata in Germania. E che l'economia tedesca non ne è immune». Lo si vede già dal fatto, registrato dalla Camera di Commercio, che a giugno e a luglio nei negozi si è avuto un calo delle vendite dell'1,3 per cento (concentrato nell'abbigliamento e nelle calzature). E potrebbe non essere finita. Perché, secondo il portavoce della Camera di commerio di Berlino, Kai Falk, l'attuale inasprimento dell'inflazione (salita al 2 per cento) «nel prossimo semestre potrebbe ridurre ancora la voglia di consumo dei tedeschi».
Più che i deboli consumi interni è però l'eclatante crollo delle esportazioni ciò che sta preoccupando i manager dell'industria tedesca. Nei primi sei mesi di quest'anno le vendite all'estero del made in Germany sono sì cresciute, ma appena del 4 per cento rispetto al semestre precedente. E gli esperti del Bdi, la Confindustria tedesca, ne sono allarmati: «Nel primo semestre 2011», spiegano, «il nostro export era aumentato dell'8 per cento e nel 2010 addirittura del 14».
La causa di tutti questi segnali negativi registrati nella locomotiva tedesca «è la profonda crisi nella zona-Euro», secondo l'analista Jörg Krämer, «che frena le prestazioni dell'economia nazionale». Basta pensare che, solo in Portogallo, le esportazioni tedesche sono precipitate nel primo semestre di oltre il 14 %. In Spagna poi la crisi ha ridotto del 9,4 % la penetrazione del made in Germany. E anche in Italia le merci tedesche hanno visto, fino a giugno, un calo dell'8,2 %.

Certo, proprio la profonda crisi in Europa e l'euro debole «su altri mercati hanno funzionato come un efficace airbag per l'industria tedesca», dice Rees. Negli ultimi sei mesi, sui mercati asiatici e negli Stati Uniti il made in Germany ha fatto faville: fino a giugno le esportazioni tedesche erano cresciute del 20 per cento in Giappone, del 19 negli Usa e del 15 in Russia. Anche se è dalla locomotiva cinese che l'economia della Germania si è fatta finora trainare: dal 2004 al 2011 le esportazioni tedesche in Cina sono cresciute del 209 per cento (nello stesso periodo la performance nella zona-euro è stata del 31 per cento).
Solo nel 2011 l'industria tedesca ha venduto in Cina merci per 134 miliardi di euro (più di tutte le esportazioni in Italia, Spagna e Francia messe insieme). Per questo l'attuale affanno del colosso cinese rende tanto nervosi i boss dell'industria tedesca. «Quest'anno», ha detto Joe Kaeser, responsabile delle finanze Siemens, «ci salviamo negli Usa, ma prevediamo affari piuttosto deboli sul mercato cinese». Non per niente, alla Siemens di Monaco hanno già annunciato per il prossimo semestre un radicale programma di tagli e risparmi. Come d'altronde alla Man, la grande azienda di automezzi pesanti del gruppo Volkswagen, che ha deciso lo stop delle assunzioni. Il motivo? «Solo in Spagna e in Italia», rispondono dalla sede centrale di Monaco, «abbiamo avuto nel primo semestre un calo delle vendite del 25 e del 40 per cento».
Più dure ancora le decisioni appena prese nei supermercati Karstadt, dove sono stati programmati licenziamenti per 2 mila dipendenti. O nel gruppo energetico Rwe: alla centrale di Essen si parla di tagli per 8 mila dipendenti. Stessa musica nei servizi, nel commercio, nel settore energetico, in quello dei macchinari e nell'edilizia.
«La crisi dell'euro è arrivata anche in Germania», conferma Hans-Werner Sinn, presidente dell'istituto Ifo di Monaco, «e sta frenando la corsa del sistema economico nazionale». Proprio l'indice Ifo, che misura l'umore di ben 7 mila manager tedeschi, lo segnala. A luglio, e per la terza volta di seguito quest'anno, l'indice rilevato dall'istituto bavarese è sceso di due punti percentuali. Certo, rispetto alla grave crisi che ha colpito i Paesi dell'eurozona, il gigante tedesco è in piedi e gode ancora di una salute relativamente stabile. Eppure, diagnostica Sinn, «tutti i sintomi dicono che la Germania è sull'orlo di una stagnazione». Non per niente, le previsioni parlano, per il 2012, di una crescita del prodotto interno lordo dell'1 per cento nel migliore dei casi. Anzi, le stime del ministero dell'economia di Berlino sono ancora più caute. E si fermano a un più 0,7 per cento.

Quel che è sicuro è che i due anni del grande miracolo tedesco, quelli di cui la cancelliera Angela Merkel andava tanto orgogliosa, (il 2010 e il 2011, quando il prodotto interno lordo era cresciuto, rispettivamente, a tassi del 4 e del 3 per cento), oggi sono solo un ricordo.

Espresso

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Ma di queste faccende avevamo scritto - che fortunati! - già a giugno 2012, con tre mesi di anticipo sul summenzionato articolo de l'Espresso. Ora i nodi giungono al pettine, ma i nostri nodi sono più grossi, più stretti, più bagnati e più intricati di quelli degli altri. E intanto ieri in TV il Bischero di Frignano straparlava di fare dell'Italia la Locomotiva d'Europa, che avrebbe tirato fuori dalla merda il Continente.

QUALCUNO CHIAMI IL 118!  URGE TSO

Ricordate questo vecchio post del Tafanus, del 22 Giugno 2012?

L'Europa non può essere distrutta tre volte in un secolo da un continuum di deficienti. FORZA GRECIA!

1915                               1939                          2011

  

Hollweg
 
Hitler-chaplin
 
Angela-merkel

  
 

La prima volta è stato nel 1915, ad opera di tale Theobald von Bethmann Hollweg, macchietta pluridecorata, con più roba appesa addosso del Card. Bagnasco. Finì con circa 14 milioni di morti, milioni di feriti, mezzo mondo in rovina, e l'offerta speciale della Repubblica di Weimar.

La seconda volta è stato nel 1939, ad opera di un ex aiuto-panettiere ed imbianchino, assecondato da un idiota nostrano. Una bella avventura, conclusa con 55 milioni di morti, e tutto il mondo ex-civile ridotto a un cumulo di macerie, e a ricettacolo di odio.

Ora ci prova, dal 2011, con le armi dell'economia, tale Angela Merkel, una che di economia non si è mai occupata, visti i suoi studi di chimica e fisica. D'altra parte, nel mondo moderno l'incompetenza specifica è diventata un must. Una guerra mondiale più subdola delle precedenti, poichè combattuta con armi più silenziose: quelle della rapina economica..

Pensavo di essere fra i pochi (e quasi me ne vergognavo) a sentir nascere in me, lentamente ma inesorabilmente, sentimenti antitedeschi, di chiara matrice razzista. Poi oggi mi è capitato di leggere un elzeviro di Massimo Gramellini, ed ho capito di non essere il solo ad avvertire la nascita di questo spiacevole sentimento...

Forza Grecia (di Massimo Gramellini)

Continuo a sentire persone insospettabili che stasera faranno il tifo per la Grecia contro la Germania. Il calcio c'entra poco. Anche la solidarietà per i cugini mediterranei. In Italia - e non solo dalle parti del Cavalier Grillo, ultima metamorfosi di Berlusconi - sta montando un pregiudizio antitedesco: alla Germania egoista viene attribuita la crisi mortale in cui si sta avvitando l'Europa.

I più arrabbiati sono gli anziani, o diversamente giovani, ai quali le recenti vicende evocano antichi fantasmi. Se parlate con qualcuno di loro, vi dirà che gli eredi di chi trascinò l'Europa in un conflitto che la indebolì per sempre dovrebbero sentire una responsabilità speciale, affatto esaurita.

Nel dopoguerra gli americani finanziarono la rinascita di Paesi lontani, in cui oltretutto erano morti i loro figli. Come possono i tedeschi non avvertire il dovere morale di promuovere un piano Marshall per salvare l'Europa? Pensano davvero di riuscire a rimanere un'isola di benessere nel cuore di un continente in miseria?
Così ragionano i sopravvissuti della seconda guerra mondiale, arrivando a suggerire atti estremi come il boicottaggio dei prodotti tedeschi. Ma anche chi è arrivato in seguito prova un certo disagio nel confrontarsi con gli stereotipi del bavarese medio, che raffigura noi popoli mediterranei come una massa di scansafatiche abbronzati e pieni di debiti, perciò meritevoli di un ridimensionamento che ci costringa a illividire nella tristezza. In realtà il bavarese medio la pensava così già ai tempi di Kohl. Ma Kohl se ne infischiava, perché a differenza di Merkel era uno statista. (Massimo Gramellini)

...ecco... vedendo che una persona che ho sempre stimato, come Massimo Gramellini, pensa della Merkel - seppur con parole più educate - quello che penso io, e che ho già scritto in un post del 5 giugno, mi sento sinceramente sollevato...

Davvero un trattamento meno brutale nei confronti della Grecia (che conta, vogliamo ricordarlo, l'8% dell'economia tedesca) avrebbe ridotto in miseria ogni Herr Mueller bavarese?

Finalmente anche i tedeschi non possono più indebitarsi a tasso zero? Finalmente alcune società di rating si accorgono che diverse banche tedesche potrebbero avere serissimi problemi se la crisi degli altri paesi europei dovesse approfondirsi?

Si, finalmente è così. Ma dobbiamo aiutare i tedeschi - che secondo la vulgata generalizzata non sono propriamente prontissimi di riflessi - a capire più in fretta. E per farlo, non c'è che un modo: far sentire sulla pelle di Herr Mueller non solo il viscerale, epidermico, montante disprezzo della comunità internazionale, ma anche il morso di un paio di milioni di disoccupati in più. Solo così, solo allora, forse capiranno davvero cosa significhi depressione. Quindi, alla Merkel si deve parlare nella sola lingua che conosce. Quella del Dio Danaro.

Tafanus

1208/0630/1530


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