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Anime nere: la Calabria di Munzi tra gangster movie e dramma familiare

Creato il 30 agosto 2014 da Oggialcinemanet @oggialcinema

Il giudizio di Elisabetta Bartucca

Summary:

La letteratura giudiziaria lo etichetta come uno dei paesi a maggior concentrazione mafiosa d’Italia, ma per Francesco Munzi che lo ha scelto per girarci il suo terzo film, Africo nell’Aspromonte calabrese è diventato anche altro: un non luogo dove l’efferatezza di certi crimini si mescola agli aspetti più secolari, ancestrali e viscerali del Sud che uccide e accoglie allo stesso tempo, che abbraccia e respinge i suoi figli.

Secondo film italiano ad essere stato presentato in concorso alla 71. Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, Anime nere (in sala per Good Flms dal 18 settembre) non perdona e scuote la platea festivaliera. Una storia di sangue, faide, ‘ndrangheta che inizia in Olanda, passa per Milano e finisce sulle vette dell’Aspromonte; tratto liberamente dall’omonimo libro di Gioacchino Criaco, è la storia di tre fratelli, figli di pastori vicini agli ambienti della malavita.

Luigi e Rocco vivono a Milano, il primo è un trafficante di droga, il secondo un imprenditore grazie al riciclaggio di soldi sporchi; Luciano è rimasto in Calabria, solitario pastore che coltiva in sé la speranza di tornare a un mondo quasi preindustriale, lontano da regolamenti di conti e vendette.

Anime Nere

Leo ha venti anni ed è suo figlio, è il simbolo di una generazione perduta, priva di un’identità, incapace di seguire altri modelli se non quelli che ha visto crescere attorno a lui, gli stessi che lo porteranno a compiere un atto intimidatorio contro il bar protetto dal clan rivale. Inevitabile che la faida riesploda e a quel punto per Luciano non rimarrà che fare i conti con conflitti irrisolti e contraddizioni mai placate a tanti anni di distanza dall’uccisione del padre. Nero, nerissimo western che assume i connotati della tragedia quando gli occhi di Munzi iniziano ad esplorare le dinamiche interne della famiglia, le sue lotte intestine, la sua personalissima, oscura guerra interna.

Munzi sfugge così ai clichè e si affida a un racconto in perfetto equilibrio tra realismo e suggestioni magico-arcaiche, permettendo al film quello straordinario volo pindarico tra il gangster movie e il dramma familiare. Senza paure, onesto, sincero, evocativo di un cinema che va da Luchino Visconti al Francis Ford Coppola de “Il padrino”. E quando i gangster diventano umanità perdute e la lotta tra clan rivali lascia il posto a quella universale tra il bene il male, l’anima tragica dell’intero film esplode correndo verso un finale che ha il sapore dell’espiazione.

Un film che certo non avrebbe avuto lo stesso impatto senza un cast di attori, professionisti e non, che lo hanno vissuto sui propri corpi, espresso nei volti lividi e urlato attraverso l’idioma dialettale del luogo. Perché la lingua connota, identifica e in questo caso restituisce anche “il senso di alterità che provano i personaggi per il mondo esterno”. Il cammino di Anime nere è appena cominciato, Venezia sarà solo l’inizio del lungo viaggio di questo atto appassionato, ribelle e profondamente umano di cui il cinema italiano aveva e ha bisogno.

Di Elisabetta Bartucca per Oggialcinema.net


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