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Anna Maria Cancellieri tra i «radicali»

Creato il 03 novembre 2013 da Malvino
I tomi II e IV dell’Opera omnia di Gaetano Salvemini (Feltrinelli, 1961-1978) e numerosi articoli di Ernesto Rossi per Il Mondo, soprattutto quelli pubblicati tra il 1949 e il 1952, poi raccolti in Settimo: non rubare (Laterza, 1954), contengono passaggi di estrema durezza nella condanna dei privilegi che producono disparità di trattamento dinanzi alla legge, e che di fatto sono la negazione della democrazia. Non c’è da stupirsene: erano radicali, e per un radicale lo stato di diritto è a fondamento di ogni libertà e di ogni giustizia che non siano vuote parole, ma concreta sostanza del vivere civile. Non si fa alcuna fatica a immaginare, dunque, cosa avrebbero scritto su un caso come quello di Anna Maria Cancellieri.Avrebbero scritto che da almeno due decenni è in affettuosissimi rapporti con un imprenditore plurindagato e plurincondannato che sempre ha unto tutto quello che poteva ungere per procacciarsi appalti a danno dei suoi concorrenti. Che suo figlio è stato dipendente di questo imprenditore, traendone un utile esorbitante se rapportato alle sue prestazioni, come andava lamentando chi a saldo le aveva chiesto un favore che non veniva corrisposto con la sollecitudine desiderata. Che nell’adoperarsi per corrispondere questo favore, se non in abuso d’ufficio, è incorsa in un odioso uso della discrezionalità d’intervento.Salvemini e Rossi, però, erano anche superbi polemisti e non avrebbero avuto alcuna difficoltà a spezzare le zampette di chi prova a difendere l’operato di Anna Maria Cancellieri. «Non è intervenuta solo in favore di Giulia Ligresti, ma anche di altri sei detenuti»: sì, ma basta un’occhiata alle date per capire che i sei fortunati le servissero da alibi. «Se rimaneva in carcere, Giulia Ligresti poteva morire»: dunque bisogna addebitare ad Anna Maria Cancellieri tutti i decessi avvenuti in carcere da quando è Guardasigilli? «Ma le intercettazioni portano a escludere che si sia trattato di corruzione, concussione o altro reato»: sia, ma in discussione non è il penale, ma la disciplina e l’onore che la Costituzione chiede ai cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche, e nel caso di un ministro della Giustizia, al venir meno di onore e disciplina, vengono meno credibilità ed affidabilità, sicché si è in presenza di un gravissimo vulnus allistituzione e a quanto listituzione è chiamata a difendere. «Anna Maria Cancellieri deve dimettersi», avrebbe concluso Salvemini; e Rossi, che era appena un poco più sanguigno, avrebbe aggiunto: «Deve farlo subito».

Quelli che oggi si fanno chiamare «radicali»? Meglio non parlarne. Cioè parliamone.

Anna Maria Cancellieri era ospite al XII Congresso di Radicali Italiani, e non poteva eludere la questioncina che la invischia. L’ha trattato nel seguente modo, e mi pare che le reazioni dei «radicali» lì convenuti non abbiano bisogno di commento. 

Alla signora sono bastate due vuote chiacchiere sulla «umanità» e un indecoroso appello alla «onestà intellettuale» per cavarsela alla grande. Non poteva essere altrimenti: si è detta in favore di amnistia e indulto (tanto non è lei a dover decidere, la cosa non la impegna, tuttal più le torna utile, soprattutto adesso) e ha degnato della sua presenza un congresso disertato dall’80% degli stessi «radicali» (non ci vanno perché sanno che è del tutto inutile, tanto l’esito si decide altrove, e prima). Come dire, ci si dà una mano, e va a capire chi ne abbia più bisogno, se una manica di sfessati ormai buoni solo a reggere il logoro strascico di un vecchio matto o un ministro della Giustizia che ormai sembra avere la fiducia solo di chi sul caso Ruby votò la mozione Paniz. Salvemini e Rossi? Morti da tempo, in tutti i sensi. 

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