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Annalisa Teodorani, Sòta la guàza, Società Editrice il Po...

Creato il 10 novembre 2010 da Viadellebelledonne

Annalisa Teodorani, Sòta la guàza, Società Editrice il Ponte Vecchio, 2010 , € 8.00

Annalisa Teodorani ha dato alle stampe la sua terza esile raccolta di poesie, esile come la sua persona fisica ma testarda a dire in una lingua minoritaria il paesaggio della sua anima.

Nel naturale, conseguente sviluppo delle due opere precedenti, in questa Annalisa abbandona un sé tutto identificato con i paesaggi e le creature delle contrade santarcangiolesi, per esplorare un’ identità che, pur radicata nella sua terra, orma e matrice, le ingroppa la voce, le scurisce il verso, indurisce la scelte metaforiche, svela il suo profilo ruvido e dolente .

Sarà venuto da chiedere a qualcuno su quali temi avrebbe proseguito Annalisa; così restia ad affrontare la complessità del mondo; questo qualcuno aveva dimenticato che esiste una complessità del sentire che non è suddita che a se stessi. A questa vena si abbevera la poesia di Annalisa: vena non esile , ma scarnificata, crepa nel terreno e non ruscello, vena che non disseta ma svela anfratti di angoscia che un sottile velo di ironia può mascherare ad una lettura immediata ma che è ormai cifra esistenziale e stilistica della sua poesia.

Ricordando un grande poeta santarcangiolese Raffaello Baldini, si può dire che la Teodorani ne abbia raccolto il vessillo : la sua poesia così icastica e parca al contrario di quella di Baldini, traboccante nel dire , così fermamente cementata all’oralità, contiene una visione del mondo molto simile, tutt’altro che consolatoria,  di solitudine che pervade sia il soggetto che l’oggetto della scrittura.

Già la doppiezza semantica del titolo del libro, ancora una volta verso di una poesia, induce a riflettere sul sottotraccia: la guàza, cioè la rugiada, è notturna, bagna un poco, induce a rabbrividire ma anche disseta e dà vita al germoglio in cui si identifica la poetessa; dunque dolore e sentimento di una compiutezza ancora da conquistare e al buio ma con la certezza di avere radici salde, lunghissime,  come quelle della quercia dove immagina gli antenati ancora seduti , lei, loro vita che s’abbevera  al tempo.

Ma il tempo è anche dolore e vita che muore: le giovani spose , come le farfalle, perdono l’argento della loro spensieratezza e le loro lacrime rigano i vetri la mattina presto. In questa poesia brevissima  le immagini dicono il mondo, il sentire, il vedere: certe mattinate d’autunno o d’inverno, per un fatto fisico di differenza di temperatura capita un fenomeno di condensazione all’interno delle case che sui vetri si rende visibile con gocce che scendono. Pur essendo poeta di pochi , pochissimi versi, Annalisa è poetessa lirica non sapienziale, epigrammatica.

Ma tutte le ventiquattro poesie sono scritte all’insegna della visionarietà e del presagio; il dialetto è per sua natura una lingua scarna, Annalisa la rastrema ulteriormente ma regala a parole e frasi la figurazione metaforica operata su più strati di senso. Non è questa la sede di  un’analisi di singole poesie , tuttavia mi preme fare riferimento alla consapevolezza dello svuotamento di senso che si sta operando sul linguaggio , sì che “Paróli novi, paróli antóighi/ chi à gli à fat la ròzzna / m’al grèdi di cunsinèri” ( Parole nuove, parole antiche/ che hanno fatto la ruggine / alle grate dei confessionali).

Ormai si parla con parole che hanno perduto consistenza e capacità di penetrare nel dire: questa è una consapevolezza di molti poeti, in lingua e in dialetto. O forse sta proprio alla  base della scelta di una lingua poco usata, per questo rimasta concreta e piena di storia, per un dire fuori da ogni cortigianeria e /o partigianeria.

Non mi dilungo sui tratti specifici della poesia della Teodorani e sul panorama letterario entro cui si colloca perché, in modo esaustivo e dotto, l’ha scritto nella prefazione Manuel Cohen; vorrei aggiungere solo che mai come in questo libro Annalisa ha dimostrato tanto coraggio nello svestirsi di strutture e sovrastrutture e nel mostrare la ferita / le ferite che la attraversavano;  rimando alle due poesie “Sparguièd” : “ Dal vólti  ta  t sint sparguièd/ e t fiurèss t’un fòs.” ( A volte ti senti sparso/ e fiorisci in un fosso) e Una zèsta :” Lasém a lè/ do ch’ a m’avói vést/ cumè cla zèsta / s’i ghéffal ad lèna/ s’i férr instécch. ( Lasciatemi lì/ dove mi avete vista/ come quella cesta/ coi gomitoli di lana/ coi ferri infilzati.) : credo che fiorire in un fosso o essere un gomitolo di lana con i ferri infilzati dicano di Annalisa più di migliaia di parole e a noi lettori ci resta l’ammirazione per la capacità di metaforizzare un’immagine quotidiana. Ricordiamo ancora che altrove Annalisa ci rivela che di lei vediamo solo una fettina come la piccola falce della luna nuova e anche teniamo a mente i versi di Samuele Bersani collocati a far da pista alla lettura dei suoi.

Un’ultima riflessione sul suo rapporto con Giuliana Rocchi: certamente all’inizio del suo cammino poetico la Rocchi ha rappresentato un mondo che la Teodorani intendeva riprendere in mano: il mondo degli oggetti, degli eventi , dei luoghi quotidiani e anche dei moti dell’anima di una donna sensibile  e ispirata.; così è stato ma così non poteva durare; Annalisa ha preso la fiaccola in mano poi è andata per le sue strade, memore tuttavia della mentore, ossequiata per quanto si è merita e per quanto poco le venga riconosciuto.

Credo che della poesia contenuto in questo libretto si possa disquisire a lungo e trovare sempre nuove piste di senso di dolente intimità. .

Narda Fattori



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