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Anni 2000: il decennio delle promesse mancate

Creato il 11 novembre 2011 da Restoinascolto
Anni 2000: il decennio delle promesse mancate
Si tratta pur sempre della maniera con cui ho percepito la decade, legata soprattutto alle vicende personali che l’hanno caratterizzata. Per cui, se ho titolato il post “il decennio delle promesse mancate” è solo perché come tali le ho avvertite. Ah, dimenticavo di premettere che si parla degli anni ‘00 a chiosa dei decenni in musica messi in gioco da LOZIRION sul suo blog e delle relative classifiche personali che ciascuno ha potuto/voluto condividere. Che poi, di quelle sotto elencate, non ce ne sono così tante (di promesse mancate), ma cazzarola The Strokes, Okkervil River, Fiery Furnaces, Arcade Fire e Black Rebel MC, sembravano aver incendiato nuovamente la scena rock. Un fuoco che, invece, è andato (non troppo) lentamente affievolendosi lasciando il posto a focolai sparsi, fatti di album pieni di buona volontà e qualità che messi insieme, però, e strizzati come spugne hanno fruttato un altro (e uno solo) eccellente (come direbbe mr. Burns) disco per ognuno di loro. Ad esempio non si è più ripetuta la mezz’ora distillata di rock di Is This It degli Strokes di Casablancas e soci, o il nuovo folk imbevuto di passione degli Okkervil River (mi manca un’altra It Ends With a Fall, oh sì se mi manca); le perfette alchimie poli strumentali degli Arcade Fire etichettati troppo presto come i nuovi Talking Heads; le destrutturazioni e le ricostruzioni musicali dei Fiery Furnaces e il rock massiccio e scuro dei Black Rebel Motorcycle Club che si chiedevano quasi in maniera premonitrice dove fosse finito il loro (e nostro) Rock’n’Roll. Ripeto, è solamente il mio punto di vista che, ho (an)notato, ha coinciso molto poco con quello “più istruito” della critica che conta e che ha lodato le gesta con gli album a venire delle medesime band (caso clamoroso quello degli Arcade Fire che quest’anno han fatto incetta di awards internazionali con l’album The Suburbs che a me invece ha detto poco).
Arcade Fire – The Neighborhood *3

The Strokes – Someday

Fiery Furnaces – Asthma attack
Black Rebel Motorcycle Club – Whatever Happened to my rock’n’roll

Okkervil river – it ends with a fall

Bene, tolti un po’ di sassolini dalle scarpe, qualche riga la dedico volentieri alle altre canzoni. In un colpo mi gioco i Radiohead di 2+2=5; dopo Ok Computer ne hanno scritte ancora di belle, ma le più vicine ai miei standard sono quelle che non sfociano nel loro manierismo elettronico che proprio non sopporto (adesso cantatemela pure: perché era un bravo ragazzo, perché era un bravo ragazzo …); i White Stripes che da White Blood Cell non ritornarono mai più; i Dirty Projectors, fortunatamente in etichettabili dopo il loro Bitte Orca (sapranno ripetersi?), la “solita” PJ Harvey che, chitarre alle mano, ha raccontato Stories from the Cities Stories From the Sea (quando è in versione rock la preferisco decisamente); la Grey Room di Damien Rice (mi piace sì, ma in realtà ho scoperto che questo è data dalla somiglianza sonora di Lover, You Should Have Come Over di Jeff Buckley) ; i Pink Mountaintops, ovvero i cromosomi femminili dei Black Mountain, in un disco, Outside Love, molto apprezzato alla sua uscita e ben presto dimenticato, ma che, secondo me, resisterà all’usura del tempo e se ne parlerà in futuro come di un classico (proprio come il libro sulla copertina dell’album) e quel piccolo capolavoro (e qui, io me la canto e io me la suono) dell’esordio dell’ex Beautiful South e Housemartins, Paul Heaton che si chiama The Cross Eyed Rambler e che ho scoperto in Italia essere piaciuto solo a me e a Gianluca Testani che lo recensì a suo tempo sul Mucchio Selvaggio e a cui dedicai un post … in un lontano ‘past’ (inutilità x inutilità, dopo “Delitti Rock”, suggerirei alla Rai una nuova trasmissione “Perché certi dischi piacciono solo a ….”). Da ultimi i Coldplay, oggigiorno arrivati definitivamente al capolinea, ma non nego che dai primi album ne trassi assai godimento e la traccia-titolo del secondo album resta una delle mie preferite di sempre.
Pj Harvey – The Horses Hustle …

Radiohead – 2+2 = 5

White Stripes – fell in love with a girl
Dirty Projectors – Temecula Sunrise
Damien Rice – grey room

Coldplay – a rush of blood to the head
Pink Mountaintops – and I thank you

Starsailor – poor misguided fool

Paul Heaton – Marmaids and Slaves

Gli anni 2000 sono stati anche una sorta di Rinascimento della musica soul che ha trovato, soprattutto nelle voci femminili, le espressioni migliori (Adele compresa) e in Amy Winehouse il suo martire annunciato, immortalando Back in Black tra i migliori album di sempre. Tra i maschietti da segnalare “il bianco” Eli “paperboy” Reed, che dopo aver ascoltato per tutta la sua fanciullezza i dischi paterni di Motown e Stax ha sfoggiato un album (davvero) di altri tempi e “il nero” John Legend, che in Once Again (e solo quella, di volta) è riuscito ad essere all’altezza del nome d’arte che si è scelto: 10 canzoni su 13, bellissime.
John Legend – Show Me

Eli paperboy reed - Doin' the Boom Boom

Amy Winehouse – back to black

Il meglio me lo sono lasciato per ultimo. Qualcuno mi tacciò di rompere il cazzo con i Pearl Jam; ma se le note iniziali di Man of the Hour mi sciolgono il sangue come faccio a non raccontarvelo? Forse non i migliori anni per la band di Seattle in quanto tale (anche se Riot Act e Backspacer restano comunque 2 signori album), ma tanti bei progetti paralleli che hanno continuato a dare lustro al loro nome: la colonna sonora di Into the Wild di Vedder ne rappresenta l’apice.
Difficile trovare difetti anche nei Wilco, soprattutto dopo aver messo su una formazione perfetta che dal live Kicking Television in poi non hanno trovato eguali, contestualmente all’uscita dei dischi, sempre di caratura elevatissima, sia che all’interno ci si trovino sonorità più ricercate o solamente un sound più “classico” americano. Il mio preferito resta ancora Sky Blue Sky con un ringraziamento particolare al chitarrista Nels Cline che mi ha fatto riassaporare il gusto della air-guitar, ormai sopito da un po’.
Non da meno The Decembertists del “letterato” Colin Meloy che cerca di dare sempre un taglio romanzesco ai suoi dischi. Storie che racconta nelle singole canzoni (Picaresque), che sono il pretesto per musicare un romanzo (The Crane Wife) fino ad arrivare (inevitabilmente) al concept-album (The Hazards of Love): a Lucien è piaciuto alla stessa stregua di quanto non lo sia stato per me. L’ultimo The King is Dead li ha riportati tutti a casa con un disco di una semplicità disarmante e ugualmente bello.
Wilco - Side with the seeds

Decemberists – the engine driver

Decemberists – We Both Go Down Together

Pearl Jam – man of the hour

In conclusione, come dice lo stesso lozirion, (e sottoscrivo) “la buona musica di questi tempi va cercata, necessita di un impegno maggiore e forse ancor più dei decenni precedenti di una cosa, la rinuncia a confronti che non darebbero probabilmente la minima speranza a questo decennio....”
E ora ... tutti a votare!

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