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ANNO 2000: la Svolta

Creato il 28 gennaio 2013 da Giulianoziveri @giulianoziveri

L'Androgino

Il 2000 ha rappresentato anche per me, artista, un anno di svolta. Ma una premessa sulla mia formazione e sui miei trascorsi è necessaria.

Come pittore, fui motivato e stimolato in giovane età dalla conoscenza diretta di Goliardo Padova e del suo lavoro. Crescendo, mi avvicinai a un’altra figura di spessore nell’ambiente dell’arte parmigiana dell’epoca, Giacomo Mossini, dal cui insegnamento appresi e consolidai tanto la padronanza delle tecniche pittoriche che la familiarità con i materiali e i processi fondamentali di quella professione del restauro che mi accompagnò per tutti gli anni Ottanta. Proprio grazie all’attività di restauratore, verso la metà degli anni Ottanta incontrai Carlo Mattioli, già riconosciuto come uno dei grandi maestri dell’arte italiana del ‘900. Stringendo con Mattioli un rapporto che durò fino alla morte del maestro (1994), ebbi modo di costruire con lui una collaborazione di carattere e scambio tecnico in una continuità di ricerca maestro-allievo: posizione primigenia di contestualizzazione del mio lavoro di nell’Arte contemporanea, un’origine ideale dalla quale nel corso di pochi anni scaturirono i miei cicli di opere “Cortecce”, “Relitti”,“Ritratti possibili”, ispirati in misura diversa al concetto di matericità propria di Mattioli. Nel contempo feci esperienze di insegnamento negli Istituti d’Arte di Parma e Piacenza e, nella seconda metà degli anni Novanta, presso la la scuola privata Laura Sanvitale di Parma, interessandomi e intraprendendo parallelamente collaborazioni nell’ambito dell’Arte-terapia. Al termine di questo periodo risalgono le prime elaborazioni del ciclo dei “Paesaggi dell’Io”, opere che mi accompagnarono con successo in frequentazioni ed esposizioni personali a Parigi.

Ed ecco il 2000. E la svolta improvvisa.
Considerandomi doverosamente, come artista, testimone del mio tempo, mi sentii costretto ad abbandonare la tecnica materica che caratterizzava i miei lavori (grandi tele con velature acriliche sovrapposte), per avventurarmi da pioniere nel labirinto dell’innovazione digitale sotto la spinta di un’ispirazione radicale, ribelle a  qualsiasi forma di compromesso. Senza dimenticare le mie origini, impregnate di tempera e pastello nel gesto “classico”, ma prendendo le distanze da esse, voltai pagina: conclusa l’esperienza francese, mi aprii a nuovi orizzonti, correndo il rischio, come ogni precursore degno di questo nome, di essere inizialmente incompreso.
Elaborai una tecnica originale, che in una serie di passaggi dal reale al virtuale, trasmutazioni alchemiche mediate dalla luce, trasforma il Noto nell’Ineffabile, mostrando ciò che si cela e brulica dietro le quinte del “Visibile”. Tecnica che, nel giro di qualche anno, sposterà in altri paesi europei, ma soprattutto in Germania, il mio raggio d’azione e di movimento.

Se all’inizio lavoravo sotto la spinta di un’ispirazione irrazionale, provando al tempo stesso una profonda avversione per la tecnologia digitale, destinata a cambiare in maniera irreversibile la percezione della realtà e del mondo, con il passare del tempo non ho potuto fare a meno di riflettere sul mio lavoro, rielaborandolo con sofferenza e fatica e giungendo recentemente a teorizzare la “Morte del gesto creativo” (di cui in prossimi post), in quella terra di confine che sta tra Arte e Filosofia.



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