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Ansia: la storia di Luca (Seconda parte)

Da Psytornello @psytornello

ansia

Quando siamo da soli tutto sembra fantastico ma appena la mia attenzione volge verso qualcosa di diverso dalla nostra coppia, Clelia diventa un’altra persona: cupa. insicura, irascibile, possessiva…e imprevedibile.Tre settimane dopo la mia mancata uscita con gli amici, ecco riproporsi una nuova occasione di svago: Alberto, mio ex compagno di Università trasferitosi in Germania per lavoro, torna in città e mi chiede di vederci. Panico. Leggo il messaggio sul mio cellulare e anziché, essere contento, vengo travolto dall’ansia. Il cuore batte a mille e mi sembra di non riuscire a mantenere la dovuta lucidità. L’unica cosa a cui penso è come dirlo a Clelia e quale potrà mai essere la sua reazione. Preferirei inventare una scusa per non uscire ma l’idea di non vedere uno dei miei più cari amici mi dà un enorme dispiacere. Dopo un paio di notti insonni, decido di prendere il coraggio a due mani e parlare con Clelia. Cerco di essere fermo e risoluto nel comunicarle che tra una settimana sarò fuori a cena ma, mentre le parlo, mi rendo conto di essere in preda all’agitazione: le mani sono sudatissime, il cuore batte troppo velocemente, la voce a tratti sembra quasi tremare. Come un bambino che deve chiedere alla propria mamma il permesso di uscire, temo una possibile reazione negativa. In effetti, la mia compagna cambia subito espressione e mi si gela il sangue. “Ecco, mi lasci di nuovo da sola. Io qui a Torino non ho amici e tu vai a divertirti senza di me. Sei un egoista”. Mi infurio. Non sopporto che mi parli in questo modo. Cerco di spiegarle che si tratta di un’uscita tra vecchi amici che non si vedono da tempo ma è tutto inutile e, incalzato dalle sue assurde accuse, esco di casa sbattendo la porta. Non appena arrivo in strada mi sento libero…vorrei stare fuori il più a lungo possibile. Lei inizia a chiamarmi ma non ho voglia di sentirla così abbatto la telefonata e tolgo la suoneria al mio cellulare. Un’ora più tardi, dopo aver girovagato in auto senza meta, riprendo lo smartphone e, insieme a 30 chiamate perse di Clelia trovo un messaggio agghiacciante: “La faccio finita”.

Mi precipito a casa…non so come ho fatto ad arrivare sano e salvo nonostante tutti i passaggi a semaforo rosso. Clelia è sul letto, in mano la boccetta di un tranquillante. E’ quasi vuota. Lei è un po’ intontita ma cosciente. Appena mi vede scoppia in lacrime, mi chiede di non abbandonarla perché non può vivere senza di me. Chiamo il medico che mi rassicura sul suo stato di salute: il tranquillante è molto blando e, oltre ad un po’ di sonnolenza, non ci saranno conseguenze. Guardo Clelia riposare, esausta, e mi sembra tutto surreale. Il giorno dopo mi chiede di non andare al lavoro e rimanere con lei. Esaudisco questo suo desiderio ma mi manca l’aria, come se mi sentissi sotto una campana di vetro a ridotto contenuto di ossigeno. Da quel momento in avanti tutto cambia. Sento i miei amici solo per telefono o attraverso i social network, invento mille scuse per giustificare le mie assenze ai nostri consueti raduni, vivo in uno stato di perenne allerta e monitoro continuamente lo stato d’animo di Clelia. Ma fin che accontento ogni sua richiesta, fin che nulla spezza la nostra simbiosi, tutto sembra andare per il meglio.

Eppure io non sto bene. Ogni qualvolta si paventi la possibilità di dovermi allontanare vado nel pallone. Quando riesco ad inventare una scusa con gli amici mi sembra di aver scampato un pericolo ma poi mi sento un idiota per aver rinunciato. Se tardo qualche minuto avverto la paura farsi largo dentro di me e ho fretta di rientrare a casa per non affrontare discussioni e musi lunghi. Comincio a rinunciare ad ogni attività extra lavorativa che non coinvolga anche Clelia: mi dico che sono troppo stanco per fare altro e che posso anche riposarmi un po’… D’altronde ultimamente avverto un’enorme senso di pesantezza, fatica a far tutto, mi sento un rottame. Ho solo voglia di dormire: mi sembra che il sonno sia rassicurante e che porti via ogni pericolo. L’umore non è più quello di una volta…alterno apatia e rabbia. Anche il rapporto con Clelia cambia. Tutto mi irrita, mi infastidisce, scatto per un nonnulla. L’angelo biondo di cui mi sono innamorato sembra scomparso: vedo solo un tiranno che mi ha tolto la libertà. Ed io mi sento un inetto, incapace di agire, incapace di dire basta. Non voglio che stia di nuovo male, non voglio che minacci mai più di farla finita, ma la sua serenità fa il pari con la mia angoscia. Mi rendo tristemente conto di non essere più la persona forte e sicura che ero fino a qualche tempo fa e che sto drammaticamente rinunciando a vivere. Eppure non riesco a fare alcun passo, bloccato dal terrore che ciò che era iniziato come sogno, finisca in un incubo. 

E’ il passare dei mesi che mi fa realizzare quanto l’incubo sia già reale. Comincio a spostarmi anch’io con una boccetta di tranquillante in tasca perché ci sono dei momenti in cui vengo colto da tachicardia e mi manca il fiato…qualche goccia sembra restituirmi un po’ di serenità, ma del vecchio Luca non c’è più nulla. Rimane solo l’apparenza di un uomo “normale” che, senza darlo minimamente a vedere, perde ogni giorno una battaglia contro la sua ansia. Ed è quando un pensiero terribile, il più terribile che possa esistere, sfiora la mia mente, che prendo consapevolezza della gravità del problema e chiedo aiuto.

E’ passato un anno e mezzo. Un percorso di psicoterapia mi ha aiutato a riconquistare la vita che avevo, a capire che avevo il diritto di farlo e che l’ansia, travestita da nemica, in realtà era venuta a salvarmi. Solo grazie a lei, infatti, ho realizzato che c’era qualcosa da cambiare per star meglio. Clelia non è più con me. La nostra storia non ha retto al mio cambiamento. Non è stato facile, non lo è tuttora, ma so che è meglio così, per entrambi.

Ringrazio Luca per aver condiviso la sua storia con tutti noi. E voi, volete raccontare una storia di ansia, panico o inerente a uno qualsiasi degli argomenti trattati in questo blog? Scrivetemi e io la pubblicherò!


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