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Creato il 27 ottobre 2014 da Albertomax @albertomassazza

artaudBenché abbia passato buona parte della sua vita in condizioni di disagio ed emarginazione, Antonin Artaud è stato una delle personalità più influenti per gli sviluppi del teatro contemporaneo. Nato a Marsiglia nel 1896, padre ufficiale di marina e madre di origine greco-turca, a pochi anni d’età fu colpito da una grave forma di meningite che fu all’origine del disagio psichico che lo tormentò per il resto della vita. Ben presto dovette fare i conti con i metodi curativi di una disciplina medica sperimentale che procedeva in assenza di riscontri che potessero orientare ponderatamente la sperimentazione.  Dopo vari ricoveri, a poco più di vent’anni gli venne prescritta una terapia a base di laudano che, lungi dall’arrecargli giovamento duraturo, lo rese dipendente dall’oppio. Infervorato dalla lettura dei poeti maledetti, di Poe e di Nietzsche, deciso ad intraprendere la carriera teatrale, nel 1920 Artaud si trasferì a Parigi e venne scritturato da Lugné-Poe, direttore del Theatre de l’Oeuvre e fautore di una messa in scena essenziale e stilizzata di autori contemporanei quali Ibsen, Maeterlinck, Strindberg e Jarry. Artaud non solo palesò le sue potenzialità attoriali, ma si interessò anche di scenografia e costumi, rivelando la sua vocazione all’approfondimento di ogni aspetto del fenomeno teatrale.

Il disagio psichico e la dipendenza dall’oppio non gli consentirono di stabilizzarsi e così il giovane attore marsigliese passò dapprima al Theatre de l’Atelier di Charles Dullin, incamminato, sulla scia di Copeau verso un ritorno alle fonti del teatro occidentale; qui conobbe l’attrice Genica Athanasiou, per molto tempo suo principale punto di riferimento femminile. Successivamente, entrò nella compagnia dei coniugi Pitoeff, anch’essa impegnata nella ricerca di vie alternative all’atrofizzato teatro borghese. In questi anni iniziò a frequentare gli ambienti in cui si stava prospettando l’imminente rivoluzione surrealista, movimento a cui Artaud aderì nelle fasi iniziali, uscendone polemicamente in contrasto con la decisione di aderire formalmente al marxismo, in quanto la sua interpretazione del surrealismo come “mezzo di liberazione dello spirito” non ammetteva alcuna appartenenza politica. Inoltre, si dedicò alla poesia, vedendosi rifiutare dalla Nouvelle revue française, diretta da Jacques Riviere, la pubblicazione della sua prima raccolta; il quale direttore, colpito dalla capacità di descrivere con chiarezza il suo processo creativo e il suo  disagio, pubblicò lo scambio epistolare che, proprio a seguito della negata pubblicazione delle poesie, era intercorso tra loro due. Seguirono altre raccolte poetiche come L’ombilic des limbes e Le pese-nerfs, pubblicate nel 1925.

Insoddisfatto dell’attività teatrale, Artaud si rivolse al cinema e prese parte in piccoli ma fondamentali ruoli in film epocali del cinema muto francese, come Napoleon di Abel Gance (nella parte di Marat) del 1927, La passione di Giovanna D’Arco di C.T. Dreyer (nella parte del frate confessore Messieu) e L’argent di Marcel L’Herbier, entrambi del 1928. Nello stesso anno scrisse la sceneggiatura per Le conquille et le clergyman, film surrealista diretto dalla regista Germaine Dulac; Artaud rimase insoddisfatto della realizzazione, a suo dire incapace di sviluppare il potenziale surrealista della sua sceneggiatura fino in fondo. In questi anni, tentò la strada della produzione teatrale autonoma, costituendo con il commediografo d’avanguardia Roger Vitrac il Theatre Alfred Jarry, mettendo in scena, tra gli altri, Victor ou les enfants au pouvoir dello stesso Vitrac e Il sogno di Strindberg, ma la mancanza di fondi e lo scarso successo ottenuto lo costrinsero alla chiusura; anche il successivo tentativo del 1935 di rilanciare il teatro, con la messa in scena del dramma I Cenci, scritto dallo stesso Artaud, fallì.

Intanto, all’Esposizione coloniale di Parigi del 1931, Artaud rimase folgorato dall’esibizione dei danzatori balinesi, trovando nell’urgenza e nel rigore della loro rappresentazione quella conditio sine qua non che il teatro occidentale aveva irrimediabilmente perso nella sua deriva mondana. Da questa esperienza nacque la convinzione che per rivitalizzare il teatro occorresse abbandonare la tradizione occidentale, egemonizzata dalla parola e dall’impressione di realtà, per rivolgersi all’altrove culturale di tradizioni in cui rimaneva ben vivo il senso dell’origine sacrale del fenomeno teatrale. Con questi propositi, Artaud elaborò il concetto di Teatro della crudeltà, prima con due manifesti scritti nel 1932 e 1933 e successivamente con la pubblicazione della sua opera teorica principale, Il teatro e il suo doppio, avvenuta nel 1938. La crudeltà  artaudiana non ha nulla a che vedere con la spettacolarizzazione della violenza, ma si riferisce allo stoico rigore con cui deve essere messo in atto il teatro come fenomeno spirituale estraneo alla logica dell’intrattenimento sociale.

Nel 1936 Artaud ebbe modo di approfondire la sua ricerca sulle origini del teatro con il viaggio in Messico, dove tenne un ciclo di conferenze all’Università di Città del Messico e soprattutto riuscì a partecipare alle danze rituali del peyotl tra gli indigeni Tarahumaras, esperienza documentata nel saggio Au pays des Tarahumaras.  Di ritorno dall’Irlanda, dove si era recato alla ricerca del bastone di San Patrizio, Artaud diede in escandescenza e venne arrestato e internato per i successivi nove anni, subendo trattamenti di elettroshock. Solo dopo il trasferimento nella clinica di Rodez diretta dal dottor Ferdiere, pioniere dell’arte terapia, Artaud potè ritornare a scrivere e a disegnare, elaborando un’originale mediazione tra queste due attività nella produzione di glossolalie, componimenti di parole prive di senso logico, fondati sull’onomatopea e sulle suggestioni create dai suoni. La sua libertà d’azione si ampliò ulteriormente dopo il trasferimento nel 1946 nella clinica di Ivry, nei dintorni di Parigi, che gli consentì di riprendere i contatti con l’ambiente culturale parigino. Dopo aver visto una mostra su Van Gogh, scrisse Van Gogh, le suicidé par la societé, in cui il drammatico disagio vissuto dal geniale pittore olandese diveniva il paradigma della condizione estremamente precaria  dell’artista prometeico nella società materialista e tecnocratica borghese.

Gli ultimi tentativi di mettere in pratica le sue intuizioni teatrali naufragarono. La commissione della radio francese per il radiodramma Pour en finir avec le jugement de Dieu, registrato nel novembre 1947, si risolse con la censura preventiva della trasmissione prima della messa in onda. La serata organizzata in suo onore al Vieux Colombier dagli amici parigini lo vide, ormai allo stremo delle forze,  apparire sulla scena come un fantasma, pressarsi lo stomaco ed emettere un lancinante urlo. Gli venne diagnosticato un tumore al retto che lo divorò nel giro di pochi mesi. Venne trovato morto la mattina del 4 marzo 1948 nella sua camera dell’ospedale di Ivry. Impossibilitato dalla malattia, durante tutta la sua vita artistica, a sviluppare le potenzialità di attore e uomo di teatro, le sue intuizioni e i suoi procedimenti asistemici anticiparono comunque la ricerca teatrale del secondo novecento, in particolare nelle relazioni del teatro con l’antropologia culturale. La vicenda biografica e l’opera teorica di Artaud hanno attratto l’attenzione, oltreché di generazioni di operatori del teatro, di numerosi antropologi, sociologhi e neurologi, fino a un faro della filosofia contemporanea come Jacques Derrida.



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