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Antropologia e politica

Creato il 09 maggio 2014 da Straker
Antropologia e politica
Non sarà l’uomo a risolvere i problemi dell’umanità.
Ancora qualcuno crede alle ricette ed alle promesse dei patetici “politici”? Spero proprio di no. Ammesso e non concesso che davvero qualcuno intenda agire per il bene della collettività, non si scontrerà con ostacoli insormontabili?
Almeno dai tempi di Platone si teorizza lo stato ideale: si sono solo costruiti organismi pessimi. Perché lambiccarsi per delineare un modello di governo perfetto, un paradigma di democrazia, quando ci ritroviamo con il peggiore degli stati possibili pressoché in ogni dove?
Si sono soltanto vagheggiate utopie, spesso pericolose come ci avverte Emil Cioran. Basti pensare al Cristianesimo, la “religione dell’amore” secondo la vulgata (in realtà la comunità dei Nazirei era tutt’altro che pacifica) capace solo di generare il monstrum della Chiesa. Se certi valori furono proclamati, essi non fecondarono per nulla la società e, a distanza di duemila anni, possiamo constatare il totale fallimento delle “magnifiche sorti e progressive” proclamate dai primi “cristiani”, Paolo in primis.
Il discorso vale anche per tutti quegli autori che si illusero di poter definire un modello statuale organico. Gli specula principis medievali sono opere i cui intenti sono tanto nobili, quanto irrealizzabili. E’ un disegno che palesa dabbenaggine nel momento in cui si crede di poter concretare certe idee. Non sfugge a questa imbarazzante sublimazione Dante con il trattato in tre libri, De monarchia. La verità è sconvolgente: tra ideale e reale il divario non è ampio ma infinito.
Pochi pensatori compresero la vera natura del potere: tra questi Machiavelli e soprattutto Guicciardini. Il “segretario fiorentino” con amarezza constata come sia impossibile coniugare etica e politica; il secondo, inariditasi anche l’ultima vena di idealizzazione con cui Machiavelli descrive uno stato forte, ma, nel complesso eretto nell’interesse della comunità, registra l’assoluta spregiudicatezza degli apparati che schiacciano l’individuo privo di “discrezione”.
Lo Stato è visto ora come necessità ineludibile (Hobbes) ora come male assoluto (Marx e Nietzsche); di converso è glorificato da chi, si pensi a Hegel, tratteggia un consorzio sociale e politico che non è mai esistito e mai esisterà. Si è che le teorie devono fare i conti con la “verità effettuale”, con la natura umana. Sono conti molto salati.
Non so se l’uomo sia naturalmente incline al bene o al male: so, però, che nel corso della storia l’unica compagine in cui di solito regna l’armonia è quella formata da un solo individuo. Già, quando si è in due, cominciano i problemi: non oso pensare quali dissidi si generano in comunità ampie, formate da milioni di persone. Certo, poi interviene un diabolico (in senso letterale) esecutivo di turno a sistemare le cose. Povera umanità, incapace di governarsi e che delega ogni autorità a chi la governa con la coercizione e la frode! Si rinuncia alla libertà con il sogno di ottenere un po’ di sicurezza: ci si accorge dopo poco tempo, di aver perso entrambe. Per sempre.
Esistono forse le eccezioni: le società gilaniche, alcune tribù di nativi americani in cui ognuno ricopriva il suo ruolo, senza prevaricazioni ed in sintonia con il prossimo; la Comune del 1871, i consigli di Liebknecht e Luxembourg... ma sono esempi sporadici, effimeri, non scevri da una certa dose di trasfigurazione, di nostalgico ripiegamento.
E’ possibile dunque ipotizzare un’amministrazione volta a garantire i diritti dei cittadini, sancendo solo i doveri davvero ineludibili? Horkheimer auspica che lo Stato sia diluito in una forma di conduzione il più possibile leggera, quasi impalpabile. Purtroppo non solo il suo auspicio è rimasto lettera morta, ma addirittura siamo costretti a rilevare che, con il passare del tempo, le strutture di potere diventano sempre più tiranniche, pur dietro le pallide parvenze della democrazia (in realtà demoncrazia). Non solo, ci dobbiamo sorbire i peana in onore delle “democrazie occidentali” per opera di servi del sistema, come Karl Popper.
Di fronte ad una situazione siffatta si può solo sperare in un sovvertimento radicale e definitivo di ogni Stato, nel crollo di tutte le istituzioni che sono irriformabili. Alla loro natura degenere si somma la natura comunque ambigua dell’uomo di cui né la morale né la religione né l’educazione possono sradicare i difetti che anzi scaltri personaggi alimentano e strumentalizzano. Si innesca una climax in cui il male individuale si moltiplica a causa della nequizia connaturata alle classi dirigenti tutte.
Si può sperare in un cambiamento, in un’evoluzione dell’uomo, una palingenesi tale da costituire la premessa per un mondo migliore? Atroce è non avere le risposte; ancora più atroce sapere che a pochi importa cercare risposte e risoluzioni.

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