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Apollineo e dionisiaco: due principi inconciliabili nella Venezia di Thomas Mann

Creato il 26 aprile 2014 da Lucia Savoia
Apollineo e dionisiaco: due principi inconciliabili nella Venezia di Thomas Mann
Apollineo e dionisiaco: due principi inconciliabili nella Venezia di Thomas MannQuando parliamo de La morte a Venezia non possiamo fare a meno di sottolineare come questo racconto agile e scorrevole rappresenti una delle poche “eccezioni”, se così possiamo chiamarle, nella produzione di Thomas Mann. Per essere compreso infatti, non ha bisogno di complessi riferimenti bibliografici né di una cultura di vasta portata e dello stesso privilegio godono anche I Buddenbrook ed Altezza reale, i primi due romanzi dell’autore tedesco. Il resto della produzione non è effettivamente fruibile senza una certa preparazione culturale o prescindendo da precisi punti di riferimento al bagaglio e all’evoluzione spirituale di Mann. Ciò non significa che nel racconto la cultura sia assente né sarebbe giusto pensare che questo sia privo di riferimenti alla “realtà vissuta” dall’autore di Lubecca. Infatti, secondo le memorie della moglie Katja, “tutti i particolari, a cominciare dall’uomo incontrato al cimitero, sono accaduti e sono stati realmente vissuti”. Come noto, nel 1911 i coniugi Mann si erano recati all’isola di Brioni dove giunse loro la notizia della morte del grande compositore Gustav Mahler. L’isola però, secondo quanto scritto da Mann ad un amico, “alla lunga non andava” e marito e moglie decisero di partire alla volta di Venezia. Sul piroscafo diretto alla città lagunare, Katja ricorda di aver visto effettivamente il bellimbusto truccato che nel racconto genera il disgusto di Aschenbach così come rammenta di esser stata portata al Lido, insieme al marito, da un gondoliere senza licenza. Una volta arrivati i due coniugi si sistemarono all’Hotel des Bains dove, la sera a cena, videro effettivamente una famiglia polacca i cui membri “avevano lo stesso aspetto descritto da mio marito, dalle sorelle in abito monacale fino allo splendido fanciullo efebico”. Thomas Mann “ebbe subito un debole per questo ragazzo, non lo seguì per tutta Venezia come Aschenbach ma questi lo affascinava”. Anche altri particolari del racconto sono veri, come lo smarrimento dei bagagli, il grottesco cantante napoletano recatesi sotto l’albergo e la città infestata dal colera, del cui pericolo i coniugi tedeschi furono realmente avvisati da un impiegato di un’agenzia di viaggi. Quanto riportato da Katja era comunque stato già brevemente accennato dal marito nel suo Saggio autobiografico quando affermò che “Anche ne La morte a Venezia non v’è nulla d’inventato”; Mann non ha difatti mai nascosto la sua tendenza a sfruttare il proprio vissuto, le proprie vicende personali trasfigurandole certo in qualcosa di altro, ma non di troppo diverso.

Apollineo e dionisiaco: due principi inconciliabili nella Venezia di Thomas Mann

Una scena dell'omonimo film diretto da Luchino Visconti

Al centro del racconto sta l’artista tutto dedito alla ricerca della perfezione e di forme razionali e severe, a costo di reprimere le esigenze e le spinte vitali. Gustav von Aschenbach (Il cui nome è un omaggio a Mahler), scrittore di successo, sente d’improvviso l’impellente bisogno di viaggiare, di scoprire cose nuove e decide di recarsi a Venezia, città da lui amata di un amore inquietante, dove soggiorna in uno splendido hotel al Lido. Qui, viene rapito dalla bellezza efebica di Tadzio, giovane polacco in vacanza con la sua famiglia. Il quattordicenne è bello di una bellezza che rispecchia i canoni classici, ricorda una statua greca e suscita in Aschenbach sentimenti e pulsioni per troppo tempo repressi dal rigore metodico su cui ha imperniato la sua vita. Sensazioni che si trasformano rapidamente in una vera e propria ossessione, tale da spingere l’anziano scrittore a pedinare Tadzio e la sua famiglia lungo le calli veneziane, ad osservarlo insistentemente giocare sulla riva e a ricorrere addirittura al belletto per sembrare più giovane ed attraente, finendo così per assomigliare a quel grottesco bellimbusto incontrato sul battello e descritto dallo stesso Aschenbach come ridicolo ed osceno. Per lungo tempo Aschenbach giustifica come platonica la sua passione per il giovane polacco ma la verità gli si rivela in tutta la sua potenza nel sogno finale; l’artista assiste e viene coinvolto in un tremendo rito orgiastico. Ecco che allora quel principio apollineo, legato allo spirito, alle idee e alla chiarezza che Nietzsche aveva distinto dal dionisiaco, proprio delle forze vitali e irrazionali, è destinato a soccombere. Il sogno, mirabilmente descritto da Mann, rivela che a trionfare è Dioniso, dio dell’ebbrezza e dell’abolizione delle forme. E la vita si vendica con tutta la sua potenza sull’anziano artista portandolo a morte, negando tutta la dura disciplina dietro cui questi si era trincerato.
Apollineo e dionisiaco: due principi inconciliabili nella Venezia di Thomas Mann

In una città ormai putrida e ammorbata dal colera, dove la cupidigia dei commercianti e delle autorità porta a nascondere il pericolo dell’epidemia, Gustav si prepara alla partenza della famiglia polacca osservando e amando in silenzio il fanciullo e la sua perfetta bellezza. Ma la morte a Venezia incombee, dopo un ultimo sguardo tra i due, la caduta su un fianco dell’artista e lo spegnersi dei suoi occhi rivelano l’impossibilità di tornare indietro verso una repressione degli istinti e la non capacità di accettare l’irruzione del dionisiaco con la sua vitalità barbara e distruttrice. Aschenbach muore di questa doppia impossibilità e Eros si unisce indissolubilmente a Thanatos.
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