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Apologia di Antonio Cassano

Creato il 07 febbraio 2015 da Redatagli
Apologia di Antonio Cassano

“A parte Totti, è Cassano a colpire la mia immaginazione.
Se vuole può diventare uno dei migliori al mondo.
So che ha un carattere forte, ma questo è un tratto che distingue tanti campioni. In campo è super intelligente.
Non è alto, non è velocissimo, non è forte fisicamente.
Ma quando ha il pallone ha doti fuori dal comune”.
[Thierry Henry]

Antonio Cassano da Bari è il calcio. Eterna promessa ed eterno incompiuto sono gli aggettivi che meglio gli calzano addosso. E poi quella capacità di farsi amare dai suoi tifosi e farsi odiare non appena se ne va in un’altra squadra. Perché Fantantonio non è uno che si muove in punta di piedi, tranne quando gioca. E in quel caso, anzi, non si muove neanche: gioca da fermo.

A Bari lo amano quasi come a Napoli amano Maradona. È il Pibe de Bari. È anche sbruffone, ignorante e pigro. La sintesi perfetta della sua vita ce l’ha data lui stesso: “Se quel Bari-Inter non ci fosse stato sarei diventato un rapinatore, o uno scippatore, comunque un delinquente. Molte persone che conosco sono state arruolate dai clan. Quella partita e il mio talento mi hanno portato via dalla prospettiva di una vita di merda. Ero povero, ma tengo a precisare che nella mia vita non ho mai lavorato anche perché non so fare nulla. A oggi mi sono fatto 17 anni da disgraziato e 9 da miliardario: me ne mancano ancora 8, prima di pareggiare”.
Antonio Cassano: comunicazione pura. “Il gioco del football è un «sistema di segni»; è, cioè, una lingua, sia pure non verbale”, direbbe Pierpaolo Pasolini. 
Antonio, in questo senso, è uno scienziato della comunicazione molto più di Marshall McLuhan. 
Perché se il medium è il messaggio, il calcio è il medium e Cassano è il messaggio.

Il calcio è pop, proprio come Antonio. È pop nella definizione più ampia del termine. In quanto popolare, folk, attaccata alle origini degli strati più poveri della società, spesso con forte connotazioni territoriali, anzi triviali. Ma anche nel senso di cultura di massa, come i Beathles e il cinema: l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo, sempre secondo Pasolini.
E cosa c’è di più pop di un ragazzo attaccato così a filo diretto con un città? Sempre pronto a discutere e a far discutere e che occupa, nel bene e nel male, le prime pagine dei quotidiani e le aperture dei tg sportivi?
Quante volte si è parlato di Cassano in Nazionale e quante volte l’Italia si è spaccata su questo argomento? Il Dc vs Pc da spiaggia, con la Gazzetta sotto l’ombrellone e la granita di mandorle.

Ma se la definizione di cultura di massa include, per forza di cose, una certa dose di artificialità, Antonio Cassano è vero. Vero come lo è un ragazzo che, parole sue, “ha scritto più libri di quanti ne abbia letti”, ma anche vero come un assist al bacio, che tanto poi il merito se lo prende tutto il centravanti.
Perché il calcio non è scienza, come vorrebbe farci credere la scuola Sacchi. Il pallone è soprattutto imprevedibilità. E allora è anche possibile che un calciatore con quei piedi possa portare una squadra come la Sampdoria alle porte dell’Europa. Oppure che resti a marcire su una panchina al Santiago Bernabeu perché troppo pigro per allenarsi come si deve e troppo matto per non litigare con ogni allenatore che gli capiti sotto mano.
Come con Fabio Capello, suo allenatore a Roma e a Madrid, al quale disse: "Visto che facciamo stronzate dalla mattina alla sera e ci mandiamo continuamente a quel paese, almeno mettiamoci la mano davanti alla bocca, così evitiamo che tutto il mondo veda, capisca e ci prenda per il culo".

Il calcio è anche ingrato. Le soddisfazioni che ti regala sono sempre minori rispetto alle delusioni e ai mal di pancia. Innanzi tutto perché alla fine dei 90 minuti si torna alla vita reale.
Quella fatta di lavoro, per chi ce l’ha, e rotture di palle.
Ma anche perché vince una sola squadra alla volta e le possibilità che non sia la tua sono molto alte, almeno statisticamente.

Ecco, in quanto a ingratitudine, Cassano non lo batte nessuno. Capello, Mazzarri, Donadoni e Stramaccioni. Sono stati tutti pronti a investire su di lui e lui li ha puntualmente abbandonati.
Ha sfottuto Don Fabio di fronte all’intero stadio, imitandolo prima di una partita. Ha punto Mazzarri, colpevole di non averlo confermato all’Inter. Si è preso quasi a schiaffi con Andrea Stramaccioni, passando da bene-bene a male-male. E Infine ha lasciato Donadoni, il primo a riportarlo in nazionale, quando il mondo si era praticamente scordato di lui, il primo a volerlo a Parma.

E poi ci sono i tifosi della Sampdoria, salutati in modo meschino dopo che la città gli aveva restituito il prestigio che merita. “Qui si sono abituati troppo bene. Si sono abituati a mangiare la Nutella e appena devono mangiare un po' di merda si comportano in questa maniera”. E che dire di Milano? Dopo il Milan non c’è niente, c’è solo il cielo. E poi: dopo i cielo? C’è l’Inter.

Ora Cassano è senza squadra, dopo aver messo in mora il Parma per i mancati pagamenti degli stipendi. L’epilogo ideale della sua carriera sarebbe tornare a Bari.
E magari, chissà, riportarla in Serie A e fare un paio di stagioni al San Nicola nella massima serie.
Così, per restituire un po’ di romanticismo a una carriera che di romantico non ha avuto nulla.
Perché il calcio è anche questo: romanticismo.

Andrea Dotti
@twitTagli


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