Magazine Società

"appartiene al popolo": possibile rimediare a certi orrori commessi dai partiti?

Creato il 17 gennaio 2015 da Alessandro @AleTrasforini

E' ( purtroppo) risaputo che, nella percezione quotidiana, politici e partiti politici non abbiano più o quasi alcuna credibilità ed autorevolezza nell'esercitare il proprio ruolo di guida e ( tentativo di) sintesi verso quel che è definibile come res publica.
La conferma più eloquente di tale diffusa consapevolezza ( a prescindere dalla sua giustezza) trova, da ultimo, espressione mediante un sondaggio svolto alla fine dell'anno 2014 da Demos. Senza addentrarsi troppo nei meandri del dossier svolto, è possibile riportare quanto segue:

"[...] gli italiani si sentono sempre più lontani dalla politica. E [...] dai partiti. Ormai non li stima davvero nessuno. Per la precisione, il 3%. Cioè, una quota pari al margine d'errore statistico. Poco meno del Parlamento, comunque (7%). Una conferma del clima di sfiducia che mette apertamente in discussione la "democrazia rappresentativa". Interpretata, in primo luogo, proprio dai partiti, insieme al Parlamento. [...]"
(Fonte: La Repubblica)

In altre parole, pertanto, la stima e l'affidabilità che i cittadini hanno nei confronti di chi dovrebbe ( condizionale d'obbligo, dati i precedenti) rappresentarli potrebbe oscillare fra il 6% e lo 0%.
Un meraviglioso traguardo, sembra esserci poco altro da scrivere e commentare.
L'avere una percentuale pari al margine d'errore statistico esprime ulteriori ( e fondati) dubbi su un sistema in crisi, incapace di interpretare il cambiamento, ormai dotato di un'autoreferenzialità terribilmente ridicola e fossilizzata.
Fossilizzata e fossilizzante, appunto. Quante sono state le mosse sbagliate di una politica che, più o meno a qualsiasi livello, ha ( purtroppo) avuto un imprecisato numero di ( contro)esempi negativi che hanno cancellato qualsivoglia possibile esempio (pro)positivo di quanto può avere a che fare con " buona politica". Anche per colpa di queste negative spinte, purtroppo, i livelli di partecipazione sono giustificabilmente calati.
Per non scrivere crollati. Così, purtroppo, i Partiti sembrano ( o sono realmente?) diventati un simulacro di quel che dovrebbero/potrebbero quasi divinamente strutturare: interpretazione dell'opinione diffusa e sintesi/progettazione della realtà, per farla il più breve possibile.
Sembrano ( o sono realmente?) diventati luoghi dove l'opportunismo domina sulla necessità di descrivere ed interpretare il mondo esterno, sembrano ( o sono realmente?) culla di sentimenti votati a prevalenti forme di convenienza e militanza interessata.
Tutto ciò accade in obbedienza quasi totale ad una citazione ( purtroppo) molto significativa di Enrico Berlinguer:

"[...] I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela [...].Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi, comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune. La loro stessa struttura organizzativa si è ormai conformata su questo modello, e non sono più organizzatori del popolo, formazioni che ne promuovono la maturazione civile e l'iniziativa: sono piuttosto federazioni di correnti, di camarille, ciascuna con un 'boss' e dei 'sotto-boss'. [...] Tutte le 'operazioni' che le diverse istituzioni e i loro attuali dirigenti sono chiamati a compiere vengono viste prevalentemente in funzione dell'interesse del partito o della corrente o del clan cui si deve la carica. Un credito bancario viene concesso se è utile a questo fine, se procura vantaggi e rapporti di clientela; un'autorizzazione amministrativa viene data, un appalto viene aggiudicato, una cattedra viene assegnata, un'attrezzatura di laboratorio viene finanziata, se i beneficiari fanno atto di fedeltà al partito che procura quei vantaggi, anche quando si tratta soltanto di riconoscimenti dovuti. [...]"

Su questo sfondo, purtroppo, la situazione non appare di certo diversa o migliore.
La partecipazione costruttiva è ridotta ai minimi termini, gli episodi che dovrebbero prevedere un allargamento della base partecipativa sono carenti.
Quando ci sono, invece, si perpetuano secondo logiche di auto-conservazione non accettabili.
Sembra che le discussioni siano svolte solo su argomenti di superficie, senza entrare nei meandri di alcuna ottica programmatica reale, cortocirtuitando i possibili dibattiti solo su volti ( quanto spesso vuoti?) e mai su idee di fondo che possano realmente far volgere al meglio lo status quo.
Ogni Partito sembra apparire troppo spesso, in molti tratti, come una sorta di " residuato bellico" di una forma di democrazia un tempo stimata e desiderata dagli elettori propensi al voler dare il loro contributo per la ( ri)costruzione di un Paese normale.
L'essere ( diventati) sempre più lontani dalla politica presuppone, purtroppo o per fortuna, il sentire tanto lontano quanto banale e ridicol( izzat)o un argomento teoricamente ragionabile quale è quello della " disciplina di Partito"; senza entrare poi nel merito delle ( sempre) troppe pietose figure che, da rottamatori ed incendiari, non tardano a trasformarsi in pompieri alla prima occasione utile per aspirare alla loro piccola " fetta" di spazio al sole.
Questi sono solo alcuni degli argomenti, pressoché infiniti, che hanno reso il sistema dei Partiti così tanto poco stimato ( eufemismo concettuale) e poco vicino alle percezioni comuni.
Chi si ostina a non vedere le colpe della politica e dei Partiti in tutto questo è volutamente miope e/o colpevolmente interessato ad aspettarsi qualcosa da quello stesso sistema che deve ostinarsi a proteggere. Anche a costo della dignità personale, purtroppo.
Per quali ragioni ulteriori, purtroppo, si ha una sempre maggior distanza fra cittadini e politica?
Il cortocircuito di questa nazione è purtroppo molto evidente, sin dal primo articolo della Costituzione Italiana:

"[...] L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti previsti dalla Costituzione. [...]"

Che ne rimane dell'aggettivo democratica, in una Repubblica così tanto sfibrata e ridicolizzata sin nelle minime componenti dei suoi organi di ( teorica) rappresentanza? Di quale sovranità si potrebbe/dovrebbe argomentare, in una nazione ove la politica sembra perpetuare prevalentemente i suoi interessi per auto-conservarsi a discapito di quelli comuni? Qualora questa ultima domanda non abbia risposta affermativa e/o sensibile, è lecito porsene un'altra ben più grave e potente: cosa ne rimane della politica e dei Partiti senza adeguate forme di coerenza e credibilità?
Se il cittadino non nutre alcuna fiducia nei confronti di chi dovrebbe rappresentarlo, quali ulteriori e positive riflessioni è possibile fare?
Nessuna, appunto. Nonostante tutto, però, è lecito continuare a sperare che possa essere possibile attendersi una politica diversa e ( forse) migliore?
Attraverso quali canali cercare di dimensionare nuove forme di rappresentanza per cercare di riabilitare un sistema ormai percepito come marcio ed irreversibilmente incancrenito? Attorno a queste domande, seppur nel timore e nelle differenze auspicabili di opinione e di credibilità, cerca di rispondere l'opera " Appartiene al popolo - Come restituire la sovranità ai cittadini", scritto a quattro mani da Giuseppe Civati ed Andrea Pertici.
Le condizioni iniziali da cui partire sembrano essere desolanti e purtroppo tragi( comi)che:

"[...] Oggi, al crescere della disuguaglianza, cresce l'astensione dal voto.
Sono sempre più numerosi gli elettori che non partecipano, non decidono, sono lasciati ai margini. E di questo si parla pochissimo.
La politica deve rompere uno schema pericoloso per se stessa, per le Istituzioni democratiche e per la stessa rappresentanza (sempre meno rappresentativa). Gli esclusi vanno recuperati nel dibattito pubblico e nella relazione politica ed elettorale.
E' necessario intervenire su tutte le forme di partecipazione, a cominciare dai Partiti, che devono tornare ad essere il mezzo per concorrere alla determinazione della politica nazionale, per proseguire con le leggi elettorali, che devono consentire agli elettori di scegliere i propri rappresentanti, fino a coinvolgere gli Istituti di partecipazione diretta, da potenziare e rendere più effettivi. In questo modo i cittadini potranno tornare a esercitare davvero la sovranità che, come afferma l'Articolo 1 [...], 'appartiene al popolo'. [...]"

Il sistema partitico dovrà prendere sempre più consapevolezza, in futuro, della ferma necessità di riprendere una maggior quota di credibilità internamente al proprio bacino elettorale di riferimento. Sempre ammesso che, ovviamente, sia ancora possibile farlo con consapevolezza e reale attitudine a forme di rinnovamento vero e non malcelato. Al netto dei possibili cambiamenti, purtroppo, servono forme di partecipazione reale capaci di richiamarsi alla complessa ed intricata struttura dei tempi: è implicito in questo contesto un ( tentativo di) passaggio da forme di democrazia rappresentativa a forma di democrazia maggiormente diretta ed esplicativa della volontà popolare?
E' a concetti come questi che può ricondursi la sfida per non far definitivamente soccombere il sistema partitico come è stato conosciuto fino ad oggi: quante possibilità ci sono di vedere questa sfida tanto effettivamente quanto prepotentemente vinta?

"[...] Un grande progetto politico va controcorrente rispetto al percorso oggi dominante, va alla ricerca di una soluzione alta: per una democrazia partecipata, un sistema elettorale che garantisca davvero la libertà di voto, effettive garanzie della libertà d'informazione, una reale tutela della concorrenza, un energico contrasto alla corruzione. [...]"



Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :