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Approccio semiserio al "Lady Anna" di Trollope

Creato il 30 settembre 2012 da Mauser @Mauser89

Oggi, per rimettermi in carreggiata con qualcosa di semplice, ho deciso di ricominciare con un libro di Anthony Trollope, autore vittoriano estremamente talentuoso, capace di descrivere l'animo umano e le sue sfumature con una maestria coinvolgente e capace di creare trame ed intricati giochi tra i personaggi calati in una quotidianità e un'esistenza assolutamente conformata alla società del tempo, ma senza essere mai banale e noioso. Un grande scrittore che fa della vita assolutamente quotidiana delle persone il palcoscenico per insospettabili macchinazioni e complotti al cui confronto i piani di Milady De Winter/Milla Jovovich spariscono.
Uno dei precursori dell'intrigo alla Agatha Christie e della soap-opera argentina, Trollope riesce, in questo romanzo, a creare forse il miglior affresco di caratteri di tutta la sua produzione.
Il libro, come avrete evinto dal titolo, èLady Anna.

PREMESSA NUMERO 1
Poichè quando ho buttato giù per la prima volta questo post ero intossicata di tè a livelli preoccupanti non è detto che tutto ciò che troverete abbia un senso per voi, forse non lo ha neanche per me, ma evidentemente all'epoca doveva avelro...
La verità è che non ho mai avuto il coraggio di cancellare quanto scritto perchè mi fa morire dal ridere, però prendete il tutto con le dovute cautele.

PREMESSA NUMERO 2
Prendendo a prestito alcuni personaggi dall'Anime Characters Database ho dato un volto alle figure create da Trollope in modo da avvicinarle al mio modo di vederle. Ovviamente, trattandosi di una cosa partorita dalla mia mente un po' bacata non posso garantirvi che questa associazione funzionerà per tutti coloro che hanno letto il libro.
La premessa è quindi: prendete con le opportune molle le figure che contornano il post.

Ho letto il Lady Anna molto in ritardo rispetto ad altri classici perchè Trollope non è molto conosciuto in Italia e reperire i suoi romanzi alle volte è complicato, ovvero: dimenticatevi di entrare in libreria e dire gaiamente al commesso "Ciao, vorrei questo titolo di Anthony Trollope" perchè non solo il libro difficilmente sarà disponibile nei loro scaffali e magazzini, ma, come nel mio caso, potreste essere scambiate per delle fanatiche del thriller moderno visto che l'ignoranza (abissale) di certi impiegati evidentemente associa Trollope con Ludlum, Clancy & co.
Per avere Trollope nella vostra collezione la strada è una: ordinarlo. Se preferite fatelo pure in libreria, altrimenti l'e-commerce non ha mai ucciso nessuno ed io non disdegno alcuno dei siti online che a volte fanno anche ottimi sconti.

Ancora una volta bisogna ringraziare la Casa editrice Sellerio (la manna del Cielo!) per aver coraggiosamente dato alle stampe un titolo che, diversamente, in Italia non sarebbe mai arrivato, sapete, i nostri editori sono troppo impegnati con libercoli pseudo-erotici e storie adolescenziali banali oltre il più consueto concetto di banalità.
Un minuto di raccoglimento per la narrativa che a poco a poco si spegne nelle nostre desolate librerie, prego.

Lady Anna è un romanzo che mette in risalto aspetti del carattere che sfociano nell'eccesso, evidenzia come perfino i pregi tutti vittoriani che sono la compitezza e la remissività femminile, ma anche la rigidità di principi e una morale eccessivamente ferma siano in realtà armi a doppio taglio, una visione piuttosto critica per la società nella quale l'autore ambienta la sua vicenda e che doveva accogliere il romanzo e perciò, a mio avviso, piuttosto azzardata, sebbene condivida il suo punto di vista.

A mio parere in questo romanzo di Trollope non esiste un protagonista o una protagonista, come è d'uso, e neanche un personaggio a cui il lettore si affeziona più che ad altri, ma anzi nel mio caso li avrei presi a sberle tutti quanti, uno dopo l'altro. Sì, forse Anna sarebbe la figura centrale attorno alla quale ruota l'intera vicenda, ma... è così irritante che non riesco a considerarla una protagonista e, soprattutto, trovo che sua madre sia ancora più approfondita di lei.

Dite che è un male odiare tutti i personaggi di un romanzo? Secondo me no, dipende dalla motivazione, qui per esempio la caratterizzazione è talmente ben riuscita che il lettore sente vivi questi Anna, Josephine, Daniel, ecc. al punto di desiderare di far loro del male perchè non fanno esattamente quello che si desidera; se invece accade come con certi YA moderni, Starcrossed, Sono il numero quattro, eccetera che sono tutti inguaribilmente dotati di protagonisti talmente idioti da mandarmi la pressione alle stelle, allora le cose cambiano... li detesto con tutta me stessa perchè sono sciocchi, superficiali e tonni oltre ogni dire, incapaci di ragionare, pensare o forumulare un pensiero poco più in là del banale, pedine ormai tutte uguali di storie banali al massimo senza il minimo pizzico d'innovazione né nell'idea né nello sviluppo della vicenda, ammesso che ce ne sia una. Finali così scontati da essere citofonati ben prima di aver finito la quarta di copertina e idee buttate a casaccio che invece sarebbero potute diventare delle piccole perle. Detesto il materiale sprecato più dei protagonisti imbecilli.
Ma Anna & co. non li odio perchè sono deboli di psicologia, tutt'altro sono molto umani, non li posso soffrire perchè quanto a complicarsi la vita non si fanno mancare nulla, il loro motto è sempre scegli la strada più difficile, vedrai che arriverai alla meta. Ok, è vero, è anche l'applicazione del proverbio chi va piano va sano e va lontano, ma... così è insostenibile! Questo romanzo merita per i suoi protagonisti il bollino Concentrato di scelte sbagliate come raramente ne avevo trovati!
Badate, non necessariamente illogiche o stupide, ma proprio controproducenti per i protagonisti.
Insomma, si comportano un po' come i personaggi delle soap-opera che non dicono mai le cose chiaramente, mai alle persone giuste e mai complete, finendo per generare equivoci a non finire e complicare ulteriormente gli intrecci una, due, trecento volte. Quando sono giunta a questa conclusione per me si è dischiuso un mondo completamente diverso, quasi sentivo la musichetta diBeautiful in sottofondo quando aprivo il libro e addirittura, rileggendo alcuni passaggi, mi sembravano ridicoli perchè immaginavo nei vari ruoli il famoso Trio televisivo, l'intramontabile gruppo Lopez-Marchesini-Solenghi, nei vari costumi e personaggi ad impersonare loro come fecero nei primi anni '90 per i o per le parodie delle telenovelas argentine.
Se non avete mai visto uno sketch di questi tre personaggi, GRAVISSIMA LACUNA! Vi suggerisco di correre subito su YouTube a procurarvi qualche episodio. Purtroppo il Trio non lavora più, ma i suoi successi passati sono talmente intramontabili da far morire dal ridere a distanza di anni e anni.

Ad ogni modo io vi propongo un approccio un po' più comico a questo romanzo. Badate, è un libro vittoriano, non ha nulla di divertente ed esilarante, è solo la chiave di lettura che può portarvi a trovarlo a tratti spassoso e irritante perchè l'immedesimazione è carente per natura stessa (usi e costumi sono mutati così tanto che il romanzo storico ha pressappoco lo stesso approccio descrittivo del fantasy).
Vediamo insieme la trama dell'opera, aggiungendovi un po' di pepe. Ci saranno degli spoiler, badate bene, ma visto che l'intrigo è il re del volume come la Provvidenza è sovrana del tomo manzoniano, eviterò di svelarvi il finale, per quanto tentata.


Trama & Personaggi
Siamo nella [solita] campagna inglese dove la [solita] ragazza senza arte né parte, ma solo smisurata ambizione, cerca un modo per lasciare il paesello e acquistare un posto nello sfavillante bel mondo della nobiltà e dell'aristocrazia. La sua sete di successo, per essere la figlia beneducata di un vicario, è senza freni e progetta, ovviamente, di acquisire lo status quo tramite pronte nozze con un partito papabile, l'unica strada onorevole che le impone la sua (vacillante) formazione culturale. Non posso dire che, a parte per imporle un matrimonio onorevole anzichè il rango di amante, la dottrina paterna abbia avuto molta presa su di lei, la nostra Josephine, da me soprannominata Mater perchè per tutto il libro ricoprirà il ruolo della madre salvo qualche parte all'inzio, presenta la stessa inclinazione al raggiro della sua collega Becky Sharp e un'atteggiamento snobista nonostante i poveri natali che farebbe invidia ad Amy March.
Josephine non si lascia dissuadere da caratteristiche poco apprezzabili nei partiti presi in esame per il ruolo di marito: età oltremodo avanzata, trascorsi discutibili, nomea da far rizzare i peli delle braccia... a lei importa solo che siano ricchi e titolati e una volta individuato il candidato ci si attacca come una patella allo scoglio fino a farsi portare all'altare, non mollando mai la presa proprio come i chihuahua isterici che sbucano da prestigiosi borsoni Louis Vuitton assetati di sangue.

Ma dicevamo... la nostra Mater è in cerca del suo partito da impalmare e lo trova nel Conte Lovel, altrimenti soprannominato The Bachelor, che è un aristocratico indisponente e spocchioso e pure un seduttore di prima categoria, quanto a difetti dei più pericolosi e sfruttabili nei romanzi ottocenteschi, Lovel non se ne fa mancare uno. Mi immagino Lovel come una versione invecchiata senza danni e disgrazie di Redmond Barry, quello che noi conosciamo amichevolmente cone Barry Lyndon del romanzo di Thackeray e voi sapete quanto io odi il nostro Barry, lo trovo un personaggio odioso, egoista e menefreghista, il tipo di persona più falso e disgustoso del pianeta.

Il matrimonio tra The Bachelor e Mater è male assortito sotto tutti gli aspetti, non solo Lovel non sopporta la contessa, ma pure lei non scherza!
Attualmente la cosa è siffatta (usero il modello della contrapposizione dei sessi che si trova sulle riviste femminili, la situazione si presta per essere analizzata dalle esperte di relazioni in fallimento delle pagine patinate:

l'ha presa con sé per cercare di ricostruire quell'aura di rispettabilità che un nobile dovrebbe avere nonostante la precedente reputazione avesse minato fino alle fondamenta questa convinzione, un po' come se volesse ricucirsi la verginità.
Lei: l'ha voluto nonostante sapesse del suo passato di libertino, nonostante fosse moooolto più vecchio di lei e nonostante lo disprezzi.


Senza capire molto di come sanare la questione, per me la situazione già di per sé si presta per essere il giallo perfetto alla Agatha Christie, dove Poirot indaga su una coppia nella quale i coniugi volevano entrambi la morte del consorte... poi ditemi che è deformazione da lettrice.

Proseguiamo nella trama, la convivenza forzata e la difficile sopportazione tra loro di questi due caratteri forti è resa molto bene dall'autore che fa vivere al lettore tutta la rispettiva insofferenza, espressa anche tramite mezzi non proprio nobili per due peers del Regno, cattiverie gratuite, urla, dispetti, bronci, malumori, ignorarsi reciprocamente quando sono nella stessa stanza o spaccare le porcellane di famiglia.
Il lettore è frustrato quanto i due coniugi dalle continue litigate tra i due, più irritanti di Keira Knightley e del suo imparruccato marito farlocco neLa duchessa.

Insomma, è inutile girarci intorno: arriva il punto di rottura che scatena l'intera vicenda, la nostra Contessa Josephine diventa Mater per davvero ed è proprio mentre è incinta del conte (forse) che lui la pianta su due piedi dichiarando nullo il matrimonio perchè il nostro nobiluomo [nobile solo di titolo] aveva precedentemente contratto un'unione con una donna siciliana ancora viva e perciò tutt'ora valida, rendendo di fatto insignificante la seconda: degradata la moglie, illegittima la figlioletta, la piccola mai lady Anna.
E qui si sprecano gli epiteti e il disprezzo verso le donne italiane che, a quanto pare, secondo i romanzi vittoriani, sono tutte pronte ad alzarsi la gonna davanti al primo lord inglese di passaggio e sposarlo di nascosto con matrimoni poco noti e pletore di pargoli straccioni. A lato trovate una raffigurazione tipo di come loro vedono noi.


Distrutta, schiacciata, allontanata e senza soldi, Josephine cerca riparo presso un povero sarto, Thomas Thwaite, vedovo e padre del piccolo Daniel. Naturalmente nessuno subodora che il per ora innocente Daniel diventerà un giorno un problema, vero???
Beh, vi dico io che lo sarà. Un problema estremamente spinoso perchè, guarda un po', vivendo sotto lo stesso tetto della giovane Anna, intrccerà con lei una relazione sentimentale di nascosto dalla madre che complicherà notevolmente la vicenda (roba che in confrontoHappy Days, La Tata e Willy il principe di Bel Air sono commedie da ambientazione da salotto ridicole), ma mai quanto il suo carattere savergo, cioè da orso bruno, rigido, inflessibile e che non cederebbe neanche di mezzo millimetro nei confronti dell'"amata" o delle sue debolezze. Un ragazzino che diventerà il tipo d'uomo che vuole essere il centro, il sole della vita della moglie, come il salace Petruccio della commedia shakespeariana La bisbetica domata, solo che Thwaite è pure privo del senso dell'umorismo.
Nei romanzi moderni un simile carattere apparterrebbe sicuramente al marito noioso e possessivo della protagonista che lei lascia per il bel tenebroso aitante che poi è l'eroe (di solito avrà un nome altisonante e mai scontato come Sheldon) della vicenda, ma nell'Ottocento questo tipo di personaggio rigido, puritano e tutto d'un pezzo era non solo affascinante, ma pure ambito dalle ragazze al punto da essere lui l'eroe della storia!
Vi prego, raccogliete le vostre mandibole cadute in rotta sul pavimento, Lady Anna sarà pure (forse) una lady, ma non era certo una femminista!
Anzi, Anna è la delusione più grande di tutto il romanzo.
Uno, con una trama simile, con altri simili personaggi si aspetta i fuochi d'artificio come minimo una Piccola Dorrit, una ragazza d'animo buono e generoso, ma forte e combattiva decisa a conquistarsi il suo posto nella società nonostante la nascita nel fango.
Niet. Abbandonate subito quest'idea. Anna è una specie di Principessa Leila ma senza spina dorsale, una creatura scialba, grigia e remissiva che finisce subito con l'innamorarsi del personaggio sbagliato (Daniel Thwaite l' Integerrimo) e fidanzarcisi ben prima che inizi a farsi interessante la parte dell'intrigo.

La contessa Josephine, infatti, da quando il marito l'ha cacciata poco galantemente dalla sua vita ha iniziato una interminabile pratica legale per accertare la legittimità della figlioletta e assicurarle l'eredità e la contea così ambita che altrimenti passerebbero all'erede maschio più prossimo, il cugino Frederick, il Debosciato.
Josephine Lovel è il contralare perfetto a Renzo dall'Azzeccagarbugli, tutto l'opposto del sempliciotto ragazzotto di campagna, lei sa bene cosa vuole ottenere e impiega nel raggiungimento del suo obiettivo non solo tutti i suoi sforzi ed energie, ma anche tutti i soldi di Thwaite sr. il quale spero ottenga sufficienti ricompense da lei per giustificare questo spreco di danaro dal quale non otterrebbe alcun vantaggio nemmeno se Mater vincesse il sospirato processo.
Dovete vedere Donna Josephine alle prese con le diatribe legali, il coraggio e la forza di volontà sono qualità tutte sue che mancano alla figlia, emblema perfetto del concetto di matrimonio=sacrificio di vergini. Ma nella sua determinazione, nella sua testardaggine abnorme e deformazione, seppure mossa da poco nobili ideali e sfruttando mezzi e persone, Josephine è estremamente contemporanea e mi piace come Trollope ha saputo caratterizzarla, se dovessi davvero scegliere è a lei che darei la palma di protagonista.

La situazione è aggravata ulteriormente quando Lovel decide di lasciare il mondo terreno e dirigersi dritto all'Inferno, peggiorando la questione della legittimità che fa il paio con eredità.

Per un personaggio maschile mediocre che parte, ne arriva un altro. Sulla scena appare ora il nipote di Lovel, l'ambizioso, decadente, debosciato e povero in canna, CuginoFrederick è il vizioso parente più prossimo che viene baciato dalla fortuna per ereditare un insperato patrimonio, più che mai deciso a tenerselo con il supporto dei ricchi zii che gli finanziano l'avvocato. Calcolatori e abili azzeccagarbugli, gli avvocati di famiglia suggeriscono a Feredick che la strada più rapida per ottenere soldi e terre sia quella di sposare la cugina Anna. E lui accetta.

In sottofondo prego far girare l'LP di Renato Zero che canta il triangolo noooo... non l'avevo considerato...
Ok, fingiamo di non aver saputo questa cosa dal momento stesso in cui Anna e Daniel si sono conosciuti, poco più che in fasce.

Anna, giustamente, che è ragazza di sani principi borghesi, vorrebbe tener fede alla promessa fatta all'amatissimo Daniel, ma è talmente succube della genitrice che non riesce a rifiutarsi troppo convintamente, finendo nel classico menage a trois alla vittoriana, cioè dove tutti soffrono e nessuno batte chiodo. Anna è disperata, insultata dall'amato che la accusa di non essere del tutto convinta di volerlo sposare, che la umilia dicendole che se ha dei dubbi allora lui non la vuole e tutti e strapazzata dalla madre che la martella con l'idea di fare la cosa giusta per sé e per il suo futuro, la ragazza non riesce a far di meglio e lasciarsi affascinare dal decadente Frederick, intorbidendo ancor di più le acque.

Anna che non sa che scegliere, che in un momento di debolezza si lascia stregare dal lusso, dalla nobiltà, da un carattere e una vita così diverse dalla sua è molto umana, resa meravigliosamente dalla penna di un autore che in quanto a dubbi morali doveva saperne parecchio per poterli descrivere così realisticamente. L'inclinazione di Anna è comprensibile, si tende ad essere avventati o superficiali quando troppe persone e aspettative gravano sulle proprie spalle, ci si lascia ammaliare dall'effimera bellezza, dallo scintillio. Anna non è cattiva, tutt'altro, però anche lei ci casca. E ben gli sta a quel caprone di Daniel che non cede di un millimetro, portandola davvero vicinissima a prendere una decisione incosciente.
Anche questo è molto umano e questa è la parte più grandiosa del romanzo, l'umanità di Anna, la descrizione della sua incertezza, così come anche della sua ingenuità del mondo, la resa di come la sua mancanza di esperienza sia un deficit inaccettabile in un universo, quello del ton, così smaliziato al punto che qualsiasi gesto risulta calcolato.
Dal canto suo Frederick è a sua volta incuriosito da questa ragazza tanto diversa dagli standard di comportamento e morale ai quali è abituato e conformato e proprio per questa sua semplicità dei modi, degli affetti e la bontà dell'animo si lascia sedurre dal pensiero di lei.

Masochisticamente avrei voluto che si sposassero perchè volevo sapere come si sarebbe evoluto un rapporto nato sui fondamenti sbagliati, sarebbero stato molto thackeriano come impronta, come quello di Becky Sharp forse, come quello del romanzo nel romanzo che Lisa Kleypas fa scrivere alla sua protagonista Amanda ne L'alba dei sogni. Un'idea estremamente vittoriana e così bisognosa di un approfondimento di caratteri a livelli celestiali da avermi solleticato più volte.

Ma l'eroina è un modello di virtù fin dal parto e quindi l'autore ha preferito farle prendere una strada diversa, più conforme alla moralità che dice di avere.
È perciò facendosi violenza, ma comprendendo quanto sia giusta la sua scelta che Anna sceglie di sposare Daniel.
E io me lo vedo l' Integerrimo a a ballare la carameldansen quando lei rende nota la sua idea.

Peccato che di tutti, quella che la prende peggio sia proprio Josephine.
Dopo un'espressione disgustata e furente degna della matrigna diBiancaneve [quella del film Disney che fa molto più paura delle altre!] la signora ricorre la misure estreme.
No, non la mela avvelenata, ma quasi. Josephine, infatti, acchiappa un coltellaccio da cucina e alla prima occasione cerca di sgozzare il futuro genero come un pollo nella più classica tradizione splatter o soap-opera, quando quelli che non gradiscono sfruttano tutti i mezzi e i mezzucci per impedire le sospirate nozze.
Diciamo che le idee di Mater al riguardo sono un tantino drastiche, ma la situazione lo richiede! Vista dai suoi occhi, la sua unica figlia per la quale ha combattuto vent'anni, si è sorbita un sarto insulso, ha abitato in un tugurio e ha ceduto titolo e privilegi, sta gettando alle ortiche la più allettante occasione di sempre per sposare un pezzo di legno senza la minima posizione sociale. Chi non agirebbe di conseguenza?!
Il cugino Frederick sarà anche Debosciato, ma permetterebbe di mettere una pietra sul passato, ricominciare una nuova vita nel lusso e nella buona società, non è neanche deforme! A lei è toccato un vecchio bavoso, Anna di che si lamenta?
Ah, già... lei il padre non l'ha mai conosciuto...

Insomma, coltello alla mano Mater cerca di accaparrarsi una particina nel prossimo film di Dario Argento.
Non ci riesce, l' Integerrimo sarà pure un po' tonno e dalla morale inamidata, ma è anche un popolano, ha le mani come zappe e una discreta forza fisica e [purtroppo] scampa all'attentato. Confesso: per qualche breve istante ho parteggiato per Mater, volevo davvero veder scorrere il sangue di tutte queste persone e dopo tante pagine di sofferenza, mia tanto quanto quella di Anna, volevo un bel drammone con lacrime e funerali in gran pompa.


Non ho mai rimpianto tanto come in questo romanzo un po' di sangue che scorre ¬_¬
Non sono stata esaudita, il Trollope del libro è moralista più di Anne Bronte e il nostro Integerrimo la scampa e sopravvive. A volte capita: sarà per questi motivi che in così tanti coltivano velleità letterarie?


Considerazioni sul finale
Il libro di Trollope, è da dirlo, sul finale diventa buonista, ma Josephine è un personaggio che rimane coerente con se stessa e con il carattere che le è stato dato, come saprete conoscendomi questo mi piace molto, Lady Lovel non si fa monaca dalla vergogna tipo la Deborah Kerr di Narciso Nero, accetta con composta disapprovazione il matrimonio della figlia e di Daniel e non tenta altre subdole macchinazioni: capito che non sarebbe riuscita ad ottenere ciò che voleva si rassegna ad un silenzio che ho apprezzato molto in un personaggio come il suo perchè non lo rovina, altra violenza sarebbe servita solo a renderla antipatica, testarda e ad attirarsi l'odio del lettore così come un'inspiegabile redenzione sarebbe suonata falsa come una moneta da 3€.
Perchè dico questo? Perchè una persona non cambia ideali da un momento all'altro, forse il sangue o un gesto efferato come l'omicidio può scuoterti, indubbiamente, ma fino a trasformare una donna cinica e determinata in un agnello che invoca perdono non credo, al massimo la traumatizza.
Soprattutto mi è piaciuto che, nonostante quella di Anna e Daniel possa essere considerata una fine felice, ci sia qualcuno che non la ritiene tale perchè, come per tutte le cose nella vita, ci sono più punti di vista, più di uno, più di due.

Josephine è il personaggio costruito meglio, uno di quelli che mi piacciono anche se non sono buoni e indubbiamente quella che mi ha traghettato questo libro oltre la soglia della sufficienza: se fosse stato per Anne la Lagna l'avrei buttato dalla finestra, quella pia ragazza sarà anche perfetta, ma come Lucia Mondella mi manda il latte alle ginocchia e suscita in me istinti violenti perchè non sono per niente proattive né nei confronti dei cattivi, vivacizzando la situazione, né dei buoni, costruendo un vero lieto fine da diabete.

I romanzi di stampo vittoriano di solito mi piacciono, Dickens, Collins, la Gaskell, Hardy, Thackeray, ecc. sono tutti autori che amo per la loro capacità di creare esseri umani VERI e che agiscono come la gente di tutti i giorni, non con comportamenti artificiosi e da fiction, ma qui ho sentito venire un poco meno questa cosa nella costruzione di una protagonista ultra-perfetta e di un protagonista che è l'archetipo dell'eroe povero-ma-di-sani-valori e anche nel desiderio di Trollope di dare una morale e un happy ending al tutto. L'autore fa partire Daniel e la sua nuova moglie Anna per la colonia australiana (spero con una vicenda migliore della Saga dei Dilhorne) dove il ceto e i nobili natali non hanno alcun significato e questo non mi è garbato molto, tutto troppo plain, tutto troppo felice e roseo. Obiettivamente non hanno dovuto combattere molto (a parte l'ultimo scontro finale), tutto il loro travaglio è stato dominato dalla remissività di Anna, incapace di dire di no alla madre, troppo sottomessa per esprimere le sue opinioni, e dal suo rimanere sedotta e affascinata dal bel mondo fino a farsi venire dei dubbi.
ANNA, SEI UN DANNO!
Scusate ma dovevo dirlo, dovevo sfogarmi. Anthony Trollope l'ha creatamagnificamente male e così realistica da essere genuinamente odiosa.
Anche inLa fiera della vanità alla fine Becky Sharp ha una specie di finale felice, di certo si risolleva dal degrado morale nel quale è piombata, ma è una cosa diversa, Becky ha superato ostacoli, brutture e orrori del mondo che, forse, solo Josephine può immaginare, Becky merita il lieto fine, il travaglio di Anna, invece, è tutto basato sulla sua indecisione e sul suo essere debole, avrei preferito che fosse maggiormente temprata dalle vicende, mentre invece rimane una timiduccia poco espressiva per tutto il romanzo e che alla fine impara poco e niente.
Trollope la crea così perchè vuole evidenziare come anche l'eccesso di zelo, delizia, remissività siano difetti. Il troppo stroppia, insomma. In questo l'autore è maestro e ha saputo rendere anche lei coerente col personaggio che ha creato senza stravolgerlo con atti di emancipazione e femminismo fuori tempo, ma... non so se riuscite a capire quanto odio questa figura!
Odio Anna più di suo padre, più di sua madre e più di quell'imbecille di suo cugino, più di quel cretino del suo futuro marito perchè è una donna senza spina dorsale, di quelle che affossano la categoria.
È l' emblema della donna vittoriana e, fose, anche del perchè il gentil sesso fosse così poco considerato all'epoca.

Detto ciò, il romanzo è un affresco di caratteri veramente interessanti e ben congegnati con un'idea di fondo, seppur non innovativa, certamente interessante e ben sviluppata.
A mio parere non è il miglior libo di Trollope, ma se riuscite a prenderlo abbastanza alla leggera da buttarlo sul ridicolo è un'insospettabile fonte di risate. Ok, sono risate fuori luogo, ma se non si ride un po' nella vita ci si può anche ammazzare, non è che solo perchè un romanzo è dell'Ottocento bisogna prenderlo come oro colato o troppo seriamente, fidatevi di chi ne ha visti tanti ;)

Buona lettura a tutti
Un bacione

Approccio semiserio


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