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Archeologia. La collina di Giovanni Lilliu

Creato il 02 settembre 2013 da Pierluigimontalbano
La Collina di Giovanni Lilliu
di Alberto Massazza

Archeologia. La collina di Giovanni Lilliu
Certo, lui non si sarebbe mai aspettato che quella montagnola si potesse rivelare come uno di quei tell, tanto diffusi nella mezzaluna fertile, che celano imponenti testimonianze millenarie. Che li ci fosse un nuraghe era noto. Il nome stesso di quel piccolo rilievo, Brunku Su Nuraxi, la diceva lunga, con quell’articolo determinativo “su” (il-lo) a stabilire che lì stava il centro di quel sistema di torri di cui era disseminato il territorio. Ancora non si sapeva che il fratello minore di quel castello che stava per essere riportato alla luce, giaceva nelle fondamenta della cinquecentesca Casa Zapata, al centro del paese, adiacente alla Parrocchiale e per questo denominato Nuraxi ‘e Cresia, il nuraghe della chiesa.
Quella montagnola, per Giovanni Lilliu, era un’ossessione da sempre, ancor prima che si affermasse in lui la passione per l’archeologia; anzi, quell’ossessione fu la causa principale della sua totale dedizione allo studio del passato. Lui, quell’ammasso di terra e di pietre, troppo simmetrico per poter essere considerato naturale, l’aveva guardato sin da piccolo con curiosità, come una fucina di miti e misteri. Lì, secondo i racconti degli anziani, dimorava la terribile musca macedda; lì si andava a cacciare is strias (civette, barbagianni, ma anche streghe), creature notturne iettatrici per la tradizione popolare, capaci di portare terribili malattie ai neonati semplicemente sorvolandone le case; lì, il grande spirito degli antenati comunicava con gli uomini moderni, lasciando di tanto in tanto emergere qualche testimonianza di un passato oscuro e lontano.
Non era scemata quella fascinazione neanche quando, già orfano di madre, aveva dovuto andar via di casa per continuare gli studi. Prima i salesiani di Lanusei, poi quelli di Frascati e infine l’Università La Sapienza, fiore all’occhiello del sistema culturale fascista. Ma ogni estate, la collina riprendeva ad esercitare fisicamente e visceralmente la sua attrazione. Man mano che si inoltrava negli studi, le fantasticherie lasciavano il campo alla curiosità scientifica. Così,il futuro archeologo iniziò a coordinare i suoi amici in estemporanee esplorazioni e ad elaborare mentalmente un piano d’intervento. Gli studi universitari, a dispetto delle convenienze dettate dal regime che avrebbero richiesto un interesse rivolto alla Classicità romana, Lilliu li indirizzò verso la sua terra, fino alla tesi sulla religione preistorica della Sardegna che destò l’interesse di Raffaele Pettazzoni, eminenza della Storia delle religioni che aveva già pubblicato un saggio sul medesimo argomento. Appena laureato, fece la prima descrizione sistematica del sito di Su Nuraxi e, durante la scuola di specializzazione, frequentata sempre nell’ateneo romano, ebbe modo di fare un primo rudimentale saggio di scavo.
Archeologia. La collina di Giovanni Lilliu
Finalmente ritornato stabilmente nell’isola dal 1943, come funzionario della Soprintendenza alle antichità della Sardegna, cercò in ogni modo di trovare fondi e autorizzazioni per una campagna di scavo. Nel 1949 riuscì a convincere il proprietario della collinetta, Oreste Sanna, a finanziare un saggio di scavo sotto la sua supervisione.Le risultanze di tale saggio fecero intuire la portata ben superiore alle aspettative del sito archeologico e convinsero l’allora soprintendente Pesce ad avviare una campagna sistematica coi finanziamenti erogati dalla Regione. Il 14 maggio del 1951 ebbero inizio i lavori che si protrassero fino al 15 novembre del 1956. Già alla fine del terzo anno di scavi, il sito rivelò tutta la sua imponenza ed estensione, con strutture appartenenti a ben 5 differenti periodi culturali abbraccianti quasi 2 millenni di storia, dal nuragico arcaico al romano imperiale: una maestosa torre centrale, il nucleo originario, collegata tramite bastioni a un sistema di quattro torri periferiche, poste ai punti cardinali; un giro di mura più snello con sette torri di raccordo, a racchiudere il castello e le strutture immediatamente adiacenti, presumibilmente il villaggio più arcaico; ai piedi del complesso, un villaggio con un rudimentale sistema idrico-fognario e un tessuto urbanistico labirintico, ambienti destinati alla vita quotidiana ed altri, ben più ampi, verosimilmente deputati alle attività sociali.
Di colpo, la cultura nuragica era passata dall’essere considerata una periferica e attardata manifestazione preistorica ad avere una piena dignità di civiltà, capace di adottare soluzioni architettoniche e urbanistiche ardite e all’avanguardia per quei tempi. L’eco della straordinaria scoperta si diffuse rapidamente negli ambienti scientifici europei e Lilliu divenne un punto di riferimento per tutta l’archeologia protomediterranea. La sua carriera accademica se ne giovò e il giovane archeologo di Barumini divenne titolare della cattedra di Antichità Sarde dell’Università di Cagliari, poi preside della facoltà di Lettere e Filosofia. Fondò la Scuola di Specializzazione di Studi Sardi, fermamente convinto che la clamorosa scoperta dovesse essere d’impulso non solo per il progresso dell’archeologia nuragica, ma soprattutto per la riappropriazione da parte del popolo sardo della sua identità culturale. E nel segno dell’identità culturale dei sardi si impegnò in politica, fino ad essere eletto in Consiglio Regionale, nelle liste democristiane, ma tanto autonomo da farsi fustigatore degli atteggiamenti subalterni dei partiti regionali nei confronti dei referenti romani.
In quegli anni, la meditazione sulle imponenti strutture di Su Nuraxi, lo portò a concepire una teoria denominata “Costante Resistenziale Sarda”, con la quale individuò una bipolarità nel popolo sardo, diviso, dalla fine dell’epopea nuragica, in costieri, collaborazionisti coi diversi dominatori che si succedettero nel corso della storia, e montanari delle Barbagie, resistenti e depositari della più genuina tradizione culturale. Questa teoria, sia pure non priva di manicheismi e denotante una rilettura semplicistica della storia, non immune dall’influenza del mito del buon selvaggio, contribuì non poco al dibattito sull’identità sarda degli ultimi quattro decenni.
Singolare figura d’intellettuale, sospeso tra il conservatorismo più radicale e l’adozione quasi pionieristica delle più moderne tecniche di ricerca archeologica, quali l’indagine stratigrafica e il metodo di datazione col Carbonio 14, Giovanni Lilliu continuò fino alla fine a far sentire la sua voce autorevole, consacrata dalle onoreficenze di Professore emerito dell’Università di Cagliari e di Accademico dei Lincei (unico sardo), in tema di identità e autonomia culturale, basata sulla conoscenza e salvaguardia del patrimonio culturale e ambientale dell’isola. Nel 2000, commosso, fu ospite d’onore delle celebrazioni per l’ingresso di Su Nuraxi nella ristretta cerchia dei siti Patrimonio mondiale dell’umanità dell’Unesco. Impossibilitato per motivi di salute a presenziare all’inaugurazione dell’altra straordinaria scoperta archeologica baruminese, avvenuta nel 2006, ebbe l’onore di battezzarla come Nuraxi ‘e Cresia. Si è spento il 19 febbraio 2012 a Cagliari, poche settimane prima di compiere il suo novantottesimo compleanno.
http://albertomassazza.wordpress.com


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