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Are The Red Hot Chili Peppers with us?

Creato il 28 marzo 2012 da Postscriptum

 


Are The Red Hot Chili Peppers with us?

 

I virili Red Hot Chili Peppers nuovamente on the road, tra momenti di assoluta ispirazione e di – purtroppo – grossolani inciampi pop.

John Frusciante decide di abbandonare il gruppo, degnamente sostituito da Josh Klinghoffer, che, con la sua chitarra tenta di non far rimpiangere il suono e, soprattutto, quella creatività che da sempre contraddistingue i Peppers.
 

Finalmente Anthony Kiedis cura oltre ai suoi addominali anche le corde vocali e la sua prestazione vocale è la migliore di tutta la discografia della band; grazie al suo indiscutibile carisma riesce ad essere il punto di unione tra passato e presente.

Certo, non possiamo aspettarci che Chad Smith picchi come una volta e inoltre, Flea, con quel viso da monello, si è messo pure a suonare il pianoforte! (ascoltate “Happiness loves company”).

La linea anti-convenzionale continua ad essere mantenuta anche in “I’m with you”(questo il titolo dell’album)  solo che, stavolta, tende più ad esprimersi per mezzo della musica e meno attraverso gesti eclatanti ed esaltati (o esaltanti?).

 

Congas e percussioni denunciano una certa novità, mi riferisco ad “Ethiopia”, eppure nella stessa continuano ad esserci tutte le caratteristiche tipiche dell’archivio Red Hot.

The Adventures of Raindance Maggie” ne è un esempio: lo scanzonato piglio con l’uso del cowbell (il campanaccio) ci riporta all’hard-rock e ai fasti del passato.

 

Are The Red Hot Chili Peppers with us?

 

Il disco si compone di quattordici brani, forse il tentativo era quello di esprimere, attraverso le numerose songs, stati d’animo tra loro molto differenti.

Solo che, a mio parere, se fosse stato composto da un numero inferiore di tracce, si sarebbero potuti apprezzare maggiormente quei segnali di maturità che si notano sia nel sound che nel nuovo approccio al punk-funk.

Potenti lo restano sempre, “Goodbye Hooray” è infatti tosta e stuzzicante; così come la ritmata “Factory of Faith” riporta in auge quel basso di Flea talmente autentico e viscerale che, nonostante dia vita ad un riff sentito e risentito, non si può fare a meno di mettersi a canticchiare.

 

 

I giri funky si arricchiscono dell’uso della tromba jazzy di “Did I let you know”, uno dei momenti migliori del cd, con sonorità quasi indie e che evidenziano la grossa differenza di questo lavoro con tutti i precedenti.

I ritornelli sono sempre gli stessi e come tali inconfondibili, marchio di fabbrica del gruppo, a cominciare dal pezzo di apertura “Monarchy of roses” (ehh….yeeeeah..) per passare all’orecchiabile “Look around”.

E se Kiedis ha giustamente portato la sua voce su registri che vanno al di là dell’ hip-hop, è nella storica sezione ritmica che il gruppo trova la base e  tutto il potenziale per potersi esprimere nel migliore dei modi e non perdere quel lato strafottente e menefreghista che ne rappresenta un po’ l’identità.

Dei Red Hot, un aspetto, tra gli altri, colpisce particolarmente; nonostante non siano giovanissimi come ai tempi degli esordi, riescono a rendere la musica una questione “di pancia”. Sentirla con tutti gli organi e non solo con il cervello.

La giovanile trasgressione si è un tantino moderata, l’esperienza a poco a poco si è inserita nei loro brani.

Il tutto però senza tralasciare l’irruenza, essenziale nello spirito del gruppo…

 

 


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COMMENTI (1)

Da Gaetano
Inviato il 29 marzo a 19:32
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