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Armenia, un paese tra Oriente e Occidente. Intervista all’Ambasciatore Sargis Ghazaryan

Creato il 17 dicembre 2014 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR
Armenia, un paese tra Oriente e Occidente. Intervista all’Ambasciatore Sargis Ghazaryan

S.E. Sargis Ghazaryan è Ambasciatore straordinario e plenipotenziario della Repubblica di Armenia in Italia. Nato nel 1978 a Vanadzor, dal maggio 2013 rappresenta Erevan nel nostro paese. S.E. Ghazaryan è anche uno studioso, formatosi proprio in Italia, con laurea magistrale in Relazioni Internazionali e Diplomazia e dottorato di ricerca in Geografia Politica e Geopolitica all’Università di Trieste. Nel medesimo ateneo è stato docente di Geopolitica e research fellow nel programma EFSPS (“European Foreign and Security Policy Studies”).
IsAG ha avuto il piacere di incontrarlo il 18 novembre u.s. e raccogliere la seguente intervista.

 

I rapporti bilaterali Italia-Armenia

Il rapporto bilaterale italo-armeno si fonda su una condivisione valoriale e una coincidenza di interessi. I rapporti italo-armeni hanno ventidue secoli di storia. La prima comunità armena viene ricordata a Roma nel II secolo a.C. e da lì vi sono continue relazioni virtuose di tipo culturale, commerciale, economico e, perchè no, anche di contaminazione di dottrine politiche. Mi viene in mente l’esperienza della “Pentapoli” per arrivare al periodo delle Crociate e allo stesso tempo a quelle realtà monastiche armene sulla penisola italiana e a seguire alla battaglia di Lepanto, in cui il genio veneziano includeva molti ingegneri armeni. Sono elementi determinanti, cruciali, per l’Europa così come la conosciamo oggi. Non è da dimenticare il periodo del Risorgimento italiano, che ha ispirato quello armeno: il pensiero di Mazzini e Garibaldi viene insegnato nelle scuole medie armene. Di conseguenza, forti di questa storia particolare e molto inclusiva, fatta di secoli di interazione, stiamo oggi costruendo il rapporto bilaterale dal punto di vista istituzionale. Mentre l’Armenia ha una storia di tremila anni alle spalle, l’esperienza repubblicana invece è di 23 anni, e di conseguenza stiamo cercando di costruire uno Stato moderno. La nostra prospettiva, almeno per la mia generazione, è quella di realizzare qualcosa che per gli ultimi sei secoli è stata un’utopia: la costruzione dello Stato. La comunità armena in Italia è una di quelle comunità che costituisce un caso esemplare di integrazione: gli Armeni giunti in Italia durante tutti questi secoli erano portatori di un sapere di interazioni, di operazioni economiche, commerciali e culturali da una parte del mondo, l’Oriente, che altrimenti era poco raggiungibile. È stato questo il contributo del mio popolo alla storia dell’Europa e dell’Eurasia: essere una finestra, uno specchio e un ponte fra Oriente e Occidente. Questo ci determina, ci condiziona e ci guida ancora oggi. La comunità armena in Italia è certamente un vettore, un contribuente piuttosto importante nel nostro rapporto bilaterale. Ma, prima di tutto, gli Armeni in Italia sono dei bravi cittadini italiani, che con il loro operato quotidiano danno il loro contributo
all’Italia così come la conosciamo oggi, ma allo stesso tempo sono alleati dell’Italia e dell’Armenia nella ricostituzione di un rapporto bilaterale solido e virtuoso.

Armenia: ponte tra Occidente e Oriente

Questa domanda ha colto l’essenza della nostra azione. Dal primo giorno dall’indipendenza dell’Armenia – che non è stata di certo scontata ma cercata e combattuta, fatta di dissidenza sotto il periodo sovietico – forti di questa nostra consapevolezza di mediatori fra Occidente e Oriente, abbiamo scelto il principio della complementarietà come pilastro della nostra politica estera e come garanzia per la nostra sicurezza (che purtroppo nella storia e nella geografia sono delle variabili e noi ne abbiamo ereditate molte in termini di esternalità negative nella storia e nella geografia della regione di cui facciamo parte). In termini fattivi, farei alcuni esempi: se da un lato l’Armenia, per garantire la propria sicurezza fisica, fa parte del Trattato di Sicurezza Collettiva (tra la Federazione Russa e altri Paesi dell’ex area sovietica), allo stesso tempo è stata fra i casi esemplari nella cooperazione con la NATO in Kosovo, Afghanistan e nella coalizione in Iraq. Stiamo per inviare un contingente armeno, come risultato di quella coincidenza valoriale e di intenti con l’Italia, di peace-keeping nella missione UNIFIL nel Libano sotto guida italiana. Guidato da questo principio di complementarietà è anche l’accordo sull’adesione all’Unione Eurasiatica, che dovrebbe essere ratificato entro dicembre, che ci permetterebbe da un lato di avere un accesso facilitato, evitando dazi e ostacoli non tariffari, verso un mercato di circa duecento milioni di consumatori, ma d’altra parte ci farebbe mantenere anche circa novecento eccezioni per determinate tipologie di merci, che potremmo cercare nel mercato dell’UE. Considerato che la nostra identità è una identità europea, non solo in termini di ricezione dei principi, ma anche di concorso alla formazione di quella Europa così come la conosciamo noi oggi. Questi costituiscono i due mega-processi di integrazione regionale e la nostra azione in questo ambito è finalizzata a creare ponti e a diventare un’eccezione per quell’attualità fatta di linee divisorie che si impongono pericolosamente sul continente europeo, anzi direi sul continente euroasiatico.

Il conflitto in Nagorno Karabagh

Non è un conflitto religioso e nemmeno un conflitto per risorse, è quello che la letteratura accademica definisce un “conflitto etnico puro”. Nel 1923 Stalin trasferì la regione storica armena all’Azerbaijan, un Paese diverso etnicamente e in termini di religione. Nel periodo della perestrojka e della maggiore trasparenza e relativa libertà di opinione (glasnost’) emergeva un movimento che rivendicava una maggiore autonomia culturale nel Nagorno Karabagh, la cui popolazione era all’87% armena. Mentre Mosca taceva, la risposta azera furono i pogrom contro gli Armeni: alla fine del Novecento riemergeva lo spettro del genocidio armeno dei primi anni del secolo. Nella prospettiva armena il Novecento è caratterizzato da quelle “notti dei lunghi coltelli” in cui i nazionalisti insieme alle forze dell’ordine passavano di casa in casa degli Armeni e perpetravano massacri, violenze e uccisioni. Le autorità del Nagorno Karabagh, secondo la costituzione vigente in Unione Sovietica, hanno svolto il processo di indipendenza in maniera esemplare attraverso una dichiarazione seguita da un referendum. La risposta azera a questo punto è stata l’invasione. Dopo lo sgretolarsi dell’Unione Sovietica il conflitto è diventato ancora più vasto e l’Armenia ha garantito un supporto economico e politico al Nagorno Karabagh. Nel 1994 è entrata in vigore una tregua, un vero trattato internazionale firmato dalle tre parti (Armenia, Azerbaijan e Nagorno Karabagh) seguita da un lungo percorso di negoziati sotto l’egida dell’OSCE, implementati dal gruppo di Minsk. Credo che il risultato più importante del gruppo e dei negoziatori sia stato quello di aver evitato una nuova escalation militare su vasta scala in una regione cruciale per l’Europa e per il continente euroasiatico. Il gruppo di Minsk ha elaborato più volte delle proposte, l’ultima il Documento di Madrid, reso pubblico dopo il summit OSCE tenutosi nella capitale spagnola, che si basa su tre principi del diritto internazionale stabiliti nell’Atto Finale di Helsinki: divieto dell’uso o della minaccia dell’uso della forza nella risoluzione dei conflitti; principio di autodeterminazione dei popoli; principio dell’integrità territoriale. A questi principi seguono sei componenti dell’accordo resi pubblici: l’invio di truppe di interposizione internazionali nell’area; il ritiro delle truppe del Nagorno Karabagh dalla zona cuscinetto che si trova fuori dai suoi confini amministrativi; il ritorno dei rifugiati; un legame territoriale tra il Nagorno Karabagh e la Repubblica di Armenia, la determinazione di uno status intermedio legale di soggettività e, in futuro, di uno status finale. L’Armenia si è allineata alla posizione della comunità internazionale, ma l’Azerbaijan si rifiuta di negoziare e si è manifestato un fenomeno nuovo e pericoloso che riguarda la militarizzazione della diplomazia: gli Azeri non fanno mistero della loro “diplomazia militare” che consiste nella violazione continua e sistematica del regime di tregua (il quale è un trattato internazionale a tutti gli effetti). L’azione è svolta da cecchini o da gruppi di commando che attraversano la linea di contatto. Quest’estate abbiamo assistito a una escalation senza precedenti da parte dell’Azerbaijan e ricordiamo la triste notizia, apparsa i giorni scorsi, dell’abbattimento di un elicottero non armato del Nagorno Karabagh, durante un volo di addestramento. In altri termini questi fatti dimostrano che mentre l’Armenia e la Comunità Internazionale si allineano per la soluzione del conflitto e dal 2007 spingano insieme all’OSCE per il rispetto della tregua concordata, l’Azerbaijan vi si oppone con forza, minando le basi della sicurezza e stabilità regionale.

La diaspora armena

Il numero delle popolazioni delle comunità armene nel mondo è sensibilmente aumentato dopo il genocidio. La maggior parte di essa è costituita dai discendenti dei sopravvissuti al genocidio. Nel 2015 commemoreremo il centenario del genocidio degli Armeni e questo sarà l’anno adatto per parlare di memoria, non solo in termini descrittivi ma anche in termini prescrittivi. Oggi, per esempio, siamo tutti spettatori passivi di quanto succede alle minoranze, ad esempio alle comunità cristiane nel Medio oriente, negli stessi luoghi dove cento anni fa si perpetrava il genocidio degli Armeni. Il 2015 sarà anche dedicato alla lotta verso il negazionismo del genocidio armeno e dei genocidi in generale. A nostro avviso la negazione rappresenta l’atto finale del genocidio e contribuisce significativamente a rendere perfetto il crimine in questione. Il genocidio viene progettato, perpetrato e dimenticato. È un fatto molto pericoloso anche l’armenofobia, che costituisce il primo atto per un genocidio nuovo. Noi Armeni ci sentiamo esposti a questo fenomeno ideato da una capitale, da un Paese e da un presidente ben chiari che elevano i tagliatori di teste degli Armeni a eroi nazionali. La diaspora armena, sparsa in tutto il mondo, è una risorsa straordinaria in termini di circolazioni di idee, expertise e know-how globale. Nonostante le differenze dialettali rispetto agli Armeni della diaspora, noi ci consideriamo due polmoni dello stesso organismo e ci rafforziamo a vicenda, tanto che il rapporto si può definire simbiotico. Il Novecento armeno in Italia è stato un secolo di solidarietà ricevuta da parte degli Armeni della diaspora, ma anche di attivismo, di contributo da parte loro nei confronti dell’Italia.

Pubblicazione di Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie (IsAG).

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