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Arriva nella Scuola la datata innovazione della Classe Capovolta

Creato il 22 agosto 2015 da Postik @postikitalia

Se cerchiamo il significato della parola moda sul sito Wikipedia potremo leggere più o meno questo:“Il termine moda indica uno o più comportamenti collettivi con criteri mutevoli. Questo termine è spesso correlato al modo di abbigliarsi”.

Ogni giorno in effetti agiamo e ci muoviamo influenzati, spesso inconsapevolmente,  da mode che sono nate e si sono affermate negli scorsi decenni: la t-shirt, capo di abbigliamento giovanile per eccellenza (ma non solo), proviene dritta dritta dai mitici anni Sessanta, inventata dalla marina americana come canottiera per i suoi soldati. Gli hot paints, pantaloncini corti aderentissimi, assai comodi per le donne e, perché no, anche per la fantasia maschile, è un’eredità degli anni Settanta.

Allontanandoci tuttavia dal campo dell’abbigliamento, soffermiamoci sul termine moda in quanto abitudine, riproposizione, più o meno pedissequa, di comportamenti abitudinari, magari sbagliati e dannosi, ma talmente inveterati da sembrare quasi compulsivi.

L’abitudine che abbiamo, ad esempio, di affrontare i problemi senza affrontarli davvero, è una moda diffusissima e assai comune. In questo, nulla da eccepire, l’essere umano ha una fantasia senza limiti. Abbiamo il problema di un precariato ventennale nel mondo della scuola? Niente panico: risolviamo tutto con un colossale sradicamento di massa.

Il problema così non si risolve, ma almeno lo spostiamo di qualche migliaia di chilometri! Il rendimento degli studenti risulta sempre più scarso? Tranquilli, ci inventiamo la classe capovolta, traduzione letterale del termine flipped classroom. Come accade per buona parte delle mode degli ultimi 60 anni, anche questa proviene dagli Stati Uniti, dove Eric Mazur, professore di fisica presso l’Università di Harvard, ha condotto i primi esperimenti all’inizio degli anni Novanta.

Ma cosa si intende per insegnamento capovolto? Si tratta in pratica di un insegnamento che punta a far lavorare lo studente prevalentemente a casa, apprendendo dunque attraverso video e podcast. Accidenti, un vero colpo di genio! Come avevamo fatto a non pensarci prima? E a scuola che ci si va a fare? A scuola,  nella sua classe capovolta, lo studente potrà applicare quanto appreso per “risolvere problemi” e svolgere esercizi pratici proposti dal docente.

E il docente? Un momento signori miei, un attimo di pazienza e tenetevi forte, qui sta la grande novità: il compito del professore è quello di “guidare l’allievo nella elaborazione attiva e nello sviluppo di compiti complessi”. Come dite? Che significa? In parole povere corregge i compiti!

Tutto questo, udite udite, ha il merito di scardinare alla base il tradizionale rapporto “docente – allievo”, rigido e gerarchico, e al contempo ha il merito di spalancare le porte della scuola al mondo del web. C’è chi timidamente ha cercato di obiettare paventando che qualcuno, ancora privo a casa di connessione internet, rischierebbe di rimanere escluso da questa epocale rivoluzione culturale.

C’è una risposta anche per questo problema: la classe si dividerà in gruppi di più alunni in cui, speriamo senza litigare, saranno condivisi, tablet e smartphone all’ultima moda. Una soluzione facile facile, no? Ma non sarà troppo facile? Ci permettiamo di obiettare, per carità … senza alzare la voce.

Quando Poirot, il panciuto investigatore belga con la testa ad uovo inventato dalla fantasia sfrenata di Agatha Christie, ha un nuovo caso da risolvere, afferma di trarre un particolare piacere nel “mettere in moto le sue celluline grigie”. Ecco, questo è forse un piacere che rischiamo di dimenticare ricorrendo, appunto, a soluzioni forse troppo facili, addirittura scontate.

Ci chiediamo infatti, vista la prepotente presenza del mondo di internet nella vita di ciascuno di noi, se sia davvero così necessario dare a tale mondo ulteriore spazio, anche in quei campi che, sia pure tradizionalmente, prevederebbero di limitare quantomeno la sua presenza.

Forse, ci permettiamo inoltre di obiettare, sarebbe interessante dare spazio ad un esperimento addirittura più trasgressivo: dopo quattro o cinque ore trascorse a scuola, con tablet e  cellulari finalmente spenti, gli studenti potrebbero a casa trascorrere almeno due o tre ore – non vorremmo si stancassero troppo per carità – a studiare sui libri. No! Che anticume!

Le mode, si sa, si affermano e sono dimenticate con grande rapidità e, aggiungiamo, spesso arrivano con un certo ritardo.

La classe capovolta dunque, negli Stati Uniti già considerata preistoria, in Italia vive una sua seconda giovinezza e diventa addirittura innovativa. Ricorda per certi versi il destino di tanti calciatori europei che, al termine della carriera, si trasferiscono nei campionati dell’estremo oriente o dell’ America del nord con la promessa, ovvio, di lauti guadagni. Dunque il “progetto classe capovolta”, come un vecchio calciatore, acciaccato e rottamato dalla sua vecchia squadra, approda nel campionato italiano.

E il lauto guadagno? Qualche malpensante potrebbe sostenere che un progetto del genere sarebbe un vero affare per i produttori di supporti digitali, ma noi, ovvio, non ci crediamo.

Anche il sottoscritto, studente tutt’altro che modello, avrebbe considerato la classe capovolta alla stregua di un paese dei balocchi: il pomeriggio impegnato a “studiare” guardando dei filmati, la mattina, a scuola, altrettanto impegnato a nascondersi all’interno di un gruppo di studio che gli avrebbe comodamente permesso di mascherare il proprio scarso impegno. Il tutto, inoltre, senza neanche lo spauracchio del “redde rationem”, l’interrogazione e il compito in classe.

Quanto preferiamo, allora, Spessotto, bambino smaliziato cantato da Vinicio Capossela, e come il sottoscritto, studente un po’ scioperato, ma tuttavia pronto anche ad assumersi le sue responsabilità: “E quando verrà il giorno che avrò il giudizio, dirò da che parte è intricato il mio vizio, per che pena pagherò il dazio,in che rima sono dall’inizio”.Eh sì, questa volta anche noi, come il suo cantore, siamo dalla parte di Spessotto.

Gianpaolo D’Elia

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fonte foto: PAV Orizzontescuola


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