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Arrow: analisi della prima stagione

Creato il 06 giugno 2013 da Lospaziobianco.it @lospaziobianco

Quando ne fu annunciata la realizzazione, attorno ad lo scetticismo da parte di molti era forte. Era infatti palese il rischio che ai fan si presentasse un nuovo Smallville, con tutti i difetti del caso. arrow-poster
La serie sul giovane Clark Kent interpretata da Tom Welling era stata indubbiamente un successo di pubblico, arrivando a dieci stagioni, ma qualitativamente si era distinta come uno dei prodotti più scadenti del network The CW.

Ripetitiva, il più delle volte noiosa, con personaggi monodimensionali e mai caratterizzati pienamente (a eccezione del Lex Luthor interpretato da Michael Rosenbaum), Smallville si era presto ridotta a un calderone di citazioni fumettistiche e niente più.

Con Arrow il rischio era quindi dietro l’angolo, ma il progetto di Greg Berlanti, e Marc Guggenheim si è rivelato da subito una scommessa vincente nel quadro del nuovo stile di programmazione operato negli ultimi tempi dal network, sempre più diretto verso prodotti differenti e originali rispetto al genere teen drama che ne aveva contraddistinto il palinsesto negli anni precedenti.
Ma come riuscire a realizzare un buon adattamento televisivo di Freccia Verde, uno dei personaggi di punta della DC Comics, da molti ricordato anche per uno dei migliori cicli narrativi della casa editrice, quello che negli anni Settanta vide Dennis O’Neil e Neal Adams affiancarlo a Lanterna Verde, nella riscoperta di una America ferita e disillusa?

Il primo fattore era discostarsi dal Freccia Verde apparso proprio in Smallville, eliminandone qualsiasi collegamento (anche l’attore) e cercando di ricatturare le atmosfere fumettistiche che, soprattutto negli ultimi anni, hanno ridefinito il personaggio, grazie ad autori come Kevin Smith e Judd Winick.

Non a caso tra gli sceneggiatori c’è quell’Andrew Kreisberg che proprio un paio di anni fa ha gestito un interessante ciclo del personaggio (che potete ritrovare in alcuni trade paperback editi da Planeta) e che nel suo adattamento televisivo ha saputo miscelare, assieme a Berlanti e Guggenheim, elementi classici del fumetto in maniera reale e cruda senza disdegnare alcune citazioni (Ted Kord, Central City, Coast City solo per nominarne alcune). Ma Kreisberg non si è lasciato intrappolare nel gioco di accontentare i fan a tutti i costi ed è rimasto con i piedi per terra nella costruzione del background di una serie tv tra le più interessanti e riuscite, per quanto riguarda un eroe DC Comics.

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Tratto in salvo dopo essere rimasto bloccato per cinque anni su un’isola (apparentemente) deserta in seguito a un naufragio, il miliardario Oliver Queen (Stephen Amell) ritorna nella natia Starling City. Qui assume l’identità di un misterioso giustiziere armato di arco e frecce per colpire le persone presenti su una lista di nomi trovata nella giacca del padre deceduto, scoprendo una ragnatela di corruzione e crimini che ha avvelenato la metropoli negli anni della sua assenza.

Su quello che appare come un classico e semplice incipit narrativo, gli autori hanno saputo costruire una prima stagione decisamente appassionante, riuscendo a tenere desta l’attenzione e la curiosità del pubblico su due livelli.

Il primo, ovvero quello ambientato nel presente e che vede Oliver affrontare il crimine nella sua nuova identità, ha visto delineare le caratterizzazioni di personaggi principali e comprimari, con l’inserimento di numerose sottotrame che hanno fatto da fondamenta all’intera costruzione della stagione e della serie.

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Ne sono un esempio la madre di Oliver (Susanna Thompson), che ben presto si è rivelata a pieno titolo coinvolta, anche se suo malgrado, nella distruzione morale della città, e Malcolm Merlin (John Barrowman), vero tessitore dietro gli intrighi che hanno coinvolto Starling City, nonché nemesi principale del giustiziere nell’identità dell’Arciere Nero.

Tramite loro, gli autori hanno saputo infondere una storyline sotterranea e parallela agli eventi della serie, caratteristica tra le più interessanti e inquietanti della prima stagione, soprattutto per il coinvolgimento della madre del protagonista, che di episodio in episodio ha visto fare tabula rasa della fiducia e onestà che la sua personalità sembrava in un primo momento racchiudere, soprattutto da parte del figlio.
Non sono poi da dimenticare gli altri protagonisti, ognuno dei quali, senza eccezione alcuna, ha lasciato un’impronta indelebile.

Laurel (Katie Cassidy) si è rivelata da subito un personaggio convincente, senza scadere nel cliché della donzella perennemente in pericolo, anche grazie alla sua maturità e al suo ruolo da avvocato, cosa che ne ha contraddistinto fortemente la personalità. A fornire un punteggio pieno alla figura, vi è poi il legame conflittuale con il padre, il detective Quentin Lance (Paul Blackthorne) sia per quanto riguarda il rapporto con il misterioso giustiziere sia per quello nei confronti di Oliver, visto dall’uomo come il responsabile della morte dell’altra figlia. Meno convincente e prevedibile però è il suo ruolo nel triangolo amoroso che si crea tra la ragazza, Oliver e quello che all’inizio è il suo attuale fidanzato, Tommy Merlin (Colin Donnell), una situazione che probabilmente si piega a ragioni di audience puramente indirizzate a un pubblico femminile.

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Inizialmente interessato solo ai soldi e dedito alla vita dissoluta, Tommy appare come uno dei character su cui gli sceneggiatori hanno voluto effettuare un lavoro più complesso, rendendolo una sorta di ombra sia del padre che del migliore amico. Il personaggio infatti risente fortemente del ritorno di Oliver nel corso della stagione, guardando al suo rapporto con Laurel nel passato come una minaccia per il futuro. Nonostante le numerose rassicurazioni ricevute, anche motivate dal fatto che il protagonista non voglia coinvolgere la ragazza nella sua doppia vita, Merlin pare progressivamente sempre più intrappolato in un bozzolo di paura e indecisioni, che lo porteranno ad allontanarsi sia da Laurel che da Oliver, e daranno forse il via alla costruzione della versione televisiva dell’arcinemico di Freccia Verde nelle prossime stagioni.

Differente analisi va fatta per Thea (Willa Holland), Diggle (David Ramsey) e soprattutto Felicity (Emily Bett Rickards).
La Thea Queen interpretata dalla Holland è risultata inizialmente uno dei personaggi meno riusciti della serie. Intrappolata nei cliché della bad girl che si ubriaca e si mette nei guai, l’attrice per la prima parte della stagione non riesce, anche per evidenti carenze di idee attorno al personaggio, a mettersi in evidenza quanto basta. A salvarla è stata l’introduzione a metà stagione della interessante e sfaccettata figura di Roy Harper e allo stesso tempo il suo impiego presso lo studio legale di Laurel, elementi che hanno messo il personaggio sotto una nuova luce, ridefinendone completamente il carattere ed evitando un effetto alla “Marissa Cooper” in stile The OC.

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Ottime anche le costruzioni di Diggle, legato al protagonista da più ragioni (tra le quali la morte del fratello per mano di Deadshot), e di Felicity Smoak, personaggio che è riuscito a crescere e a conquistarsi un posto di tutto rispetto, grazie alla simpatia e alla forza della sua interprete, la quale ha donato al serial quell’umorismo necessario in atmosfere decisamente oscure.

In un cast così eterogeneo, è proprio Stephen Amell a convincere a metà.

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L’attore non brilla infatti per espressività nei panni di Oliver Queen e il suo unico intento pare quello di mostrare i pettorali in ogni occasione, almeno per quanto riguarda la prima parte della stagione. L’attore però, nelle sequenze in cui diventa il misterioso giustiziere, riesce a donare al suo doppio una certa forza e aggressività che ne permettono la promozione a metà, nell’attesa di ulteriori miglioramenti nella prossima stagione.

Accanto a questo primo livello, che abbiamo analizzato nel dettaglio, non è da dimenticare il secondo, che vede nei flashback riguardanti la permanenza sull’isola di Oliver uno dei punti di forza della serie.

Attraverso questi inserimenti di pochi minuti, gli autori hanno saputo, senza banalità, trascinare il pubblico nelle vicende del protagonista, sviscerando una sottotrama che è cresciuta in aspettativa fin dai primi episodi, senza deludere. Personaggio chiave e da sottolineare in questo contesto, soprattutto per come sarà legato alla serie in futuro, è quello di Slade Wilson, noto ai fan dei fumetti come il letale Deathstroke, che ha visto in Manu Bennett un eccellente interprete, anche dal punto di vista fisico, capace di portare dalla carta al piccolo schermo uno dei migliori character DC Comics con il fascino che lo ha sempre circondato.

Oltre a questo, i flashback ci consentono di capire come Oliver è diventato quello che è adesso dal dissoluto playboy che era, permettendo agli sceneggiatori di avere materiale a sufficienza per le prossime stagioni, e una miniera d’oro da cui costruire nuove, avvincenti storyline.

Un difetto, se così lo si può considerare, è nella rogue gallery presentata nella prima stagione. Se da una parte l’Arciere Nero e Deadshot certamente sono i villain che più di altri riescono ad attirare l’attenzione, anche per il legame che hanno con alcuni dei personaggi della serie, era lecito aspettarsi di più da Chyna o dal Conte, quest’ultimo poco approfondito e non così inquietante come alcune interviste e anticipazioni del network lo avevano descritto in un primo momento.

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Arrow è quindi una serie ben confezionata e scritta, dove ogni elemento è stato dosato correttamente nel corso della stagione e in cui ogni personaggio è riuscito a trovare il suo spazio, senza danneggiare così gli altri. Per quanto riguarda le atmosfere, il forte realismo anche insito nel protagonista (che non ci va di certo leggero nei confronti dei criminali) è fortemente debitore del personaggio a fumetti da cui è tratto, e riprende le ultime recenti incarnazioni di Freccia Verde. Un’operazione che guarda quindi sia al pubblico di fan e appassionati sia a chi non conosceva il personaggio, riuscendo nell’intento di avvicinarli grazie a un prodotto intrigante e intelligente.

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