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Arte come yoga (prima parte)

Da Csbmedia
L'esperienza artistica nella classicità del pensiero indiano(1).
L’uomo in quanto animale (pashu) ha come suo unico fine la sopravvivenza, e come tale può sussistere di “solo pane” senza ricorrere alle opere d’arte; ma l’uomo in quanto persona (purusha) ha dinnanzi a sé altri fini (purushartha)(2) che può raggiungere solo mediante opere d’arte(3) ad essi ordinate. L’opera d’arte può essere intesa come una sorta di cibo, che nutre il sé cosciente, in quanto individuo vivente (jiva); cibo con il quale gli uomini realizzano i fini che desiderano e a cui aspirano.

ARTE COME YOGA (PRIMA PARTE)

Mahishamardini; Mahabalipuram, grotta di Mahishamardini. Pallava, sec.VII.

Dalle opere d’arte lo spettatore è nutrito nei suoi modi di essere vegetativi-sensoriali, e ram-memorato e rigenerato nei suoi modi di essere intellettuali-ideali che rimandano alla sua pura dimensione spirituale. In tutte le opere d’arte esiste una combinazione di fattori formali-ideali e materiali-sensoriali, che le colloca sul piano specificamente umano; si distinguono dagli oggetti naturali in quanto non sono solo sensibili, ma anche intellegibili, e dai loro prototipi celesti in quanto non sono solo intellegibili, ma anche sensibili. L’opera d’arte è uno strumento di ricongiunzione (yoga), è matrimonio tra cielo e terra; è un ponte tra due dimensioni irrinunciabili che definiscono lo spazio esistenziale dell’essere umano evoluto, che non tradendo le proprie necessità e responsabilità mondane, coltiva nel mondo le proprie aspirazioni verso la realizzazione del sé spirituale e dell’Assoluto.
Secondo i trattati tecnici sull’arte che si fondano sulla conoscenza vedica (shilpa-shastra, upaveda), l’opera d’arte è strumento e mezzo, fatto dall’uomo artista in risposta ai bisogni e alle aspirazioni dell’uomo committente e del consumatore-spettatore. La produzione delle opere d’arte quindi non è mai fine a se stessa e trascende la pura espressione soggettiva o la insignificante replica del modello. Compito dell’artista è comunicare ad altri una data idea per mezzo di simboli sensibili adeguati, che siano tali da essere compresi, e non solo percepiti dal committente o dallo spettatore, che giustamente si aspetta d’essere in grado di comprendere e di adoperare l’opera d’arte per quei fini a cui, per sua volontà, essa è stata concepita.
I fini ai quali l’opera d’arte è ordinata e il tema prescelto in funzione di quelli, sono aspetti della produzione artistica che esulano dalla responsabilità specifica dell’artista, il quale è chiamato piuttosto a lavorare per il bene dell’opera in sé. Compito dell’artista è sapere come le cose vanno fatte e avere la capacità di farle. compito e responsabilità del committente sapere quali cose vanno fatte; compito dello spettatore esperto, conoscitore del fine e del tema, è riconoscere e sapere quali cose sono state fatte bene e secondo verità, ed essere in grado di farne un uso appropriato al loro genere.
(1) Questo articolo è una rielaborazione del pensiero di Ananda Coomaraswami sul ruolo dell'arte nella vita indiana, integrato dagli insegnamenti sul tema e dalla visione del prof. Marco Ferrini.
(2) Nella società hindu i quattro fini della vita umana sono Dharma (legge universale, ordine cosmico, norma dell’agire), Artha (conseguimento degli scopi), Kama (soddisfazione, gratificazione, piacere), Moksha (liberazione dalle rinascite).
(3) Per opere dobbiamo intendere tutti quegli oggetti sensibili, in senso lato, che mirano a elevare la coscienza dei loro fruitori: il sacrificio del fuoco, il mantra, la letteratura sacra, le preparazioni di cibo offerte in sacrificio a Dio, e tutte quelle realtà che scandiscono ogni momento della vita quotidiana della donna e dell’uomo hindu. L’artista, dunque, non è un uomo del tutto particolare, ma ogni uomo è un artista del tutto particolare.

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