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Artemisia Gentileschi : talentuosa pittrice e simbolo femminista

Da Bambolediavole @BamboleDiavole

Artemisia nasce a Roma, nel 1593, sin da bambina coltiva l’amore per la pittura, a quei tempi arte rigorosamente riservata agli uomini. Il padre stesso la incoraggia nella sua scelta, intuendo le sue doti eccezionali: insegnerà perciò a lei il suo mestiere, e non agli altri due figli maschi; le trasmetterà il profondo interesse per il Caravaggio.

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La sua esistenza fu segnata dalle violenze sessuali ricevute dal pittore Agostino Tassi, amico di famiglia, lo stesso si tratteneva spesso nella dimora dei Gentileschi dopo il lavoro; secondo alcune fonti, fu lo stesso Orazio, papà di Artemisia a introdurlo alla figlia chiedendo di iniziarla allo studio della prospettiva

Il padre denunciò il Tassi che dopo la violenza, non aveva potuto “rimediare” con un matrimonio riparatore perché  già sposato. Del processo che ne seguì è rimasta un’esauriente testimonianza documentale, che colpisce per la crudezza del resoconto di Artemisia e per i metodi inquisitori del tribunale.

 Gli atti del processo (conclusosi con una lieve condanna del Tassi) hanno avuto grande influenza sulla lettura in chiave femminista, data nella seconda metà del XX secolo, la figura di Artemisia diventò un simbolo del femminismo internazionale, con numerose associazioni e circoli ad essa intitolate.

Questa la testimonianza di Artemisia al processo, secondo le cronache dell’epoca:

Serrò la camera a chiave e dopo serrata mi buttò su la sponda del letto dandomi con una mano sul petto, mi mise un ginocchio fra le cosce ch’io non potessi serrarle et alzatomi li panni, che ci fece grandissima fatiga per alzarmeli, mi mise una mano con un fazzoletto alla gola et alla bocca acciò non gridassi e le mani quali prima mi teneva con l’altra mano mi le lasciò, havendo esso prima messo tutti doi li ginocchi tra le mie gambe et appuntendomi il membro alla natura cominciò a spingere e lo mise dentro. E li sgraffignai il viso e li strappai li capelli et avanti che lo mettesse dentro anco gli detti una stretta al membro che gli ne levai anco un pezzo di carne

 

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La tela, che raffigura Giuditta che decapita Oloferne (1612-13), conservata al Museo Capodimonte di Napoli, impressionante per la violenza della scena che raffigura, è stata interpretata in chiave psicologica e psicoanalitica, come desiderio di rivalsa rispetto alla violenza subita.

 

Altro immagine che rappresenta in qualche modo la sua vita fu quella di Susanna e i vecchioni

425px-Susanna_and_the_Elders_(1610),_Artemisia_Gentileschi

La casta Susanna, sorpresa al bagno da due anziani signori che frequentavano la casa del marito, è sottoposta a ricatto sessuale: o acconsentirà di sottostare ai loro appetiti o i due diranno al marito di averla sorpresa con un giovane amante. Susanna accetta l’umiliazione di una ingiusta accusa; sarà Daniele a smascherare la menzogna dei due laidi anziani. La rappresentazione di Susanna sorpresa ignuda dai vecchioni ha apparentemente intenti moralistici, ma è spesso un pretesto per soddisfare la “pruderie” di committenti che si compiacciono di soggetti di nudo femminile.

 

In Susanna c’è una sorta di auto-rappresentazione della propria condizione di giovane donna quotidianamente insidiata da uomini lascivi. Il quadro precede lo stupro subito da Artemisia, ed è stata avanzata l’ipotesi che l’uomo con i capelli scuri (troppo giovane per essere chiamato “vecchione”) si possa identificare con Agostino Tassi.

Dopo la conclusione del processo il padre combinò per Artemisia un matrimonio con Pierantonio Stiattesi, modesto artista fiorentino, che servì a restituirle, violentata, ingannata e denigrata dal Tassi, uno status di sufficiente “onorabilità”.

Poco dopo la coppia si trasferì a Firenze, dove ebbe quattro figli; l’abbandono di Roma fu quasi obbligato: la pittrice aveva ormai perso il favore acquisito e i riconoscimenti ottenuti da altri artisti, messa in ombra dallo scandalo suscitato, che fece fatica a far dimenticare (come dimostrano anche gli epitaffi crudelmente ironici alla sua morte).

A Firenze Artemisia riscosse molto successo. Nel 1616 venne accettata nell’Accademia delle Arti del Disegno.

Questi primi anni successivi allo stupro e al processo sembrano cercare un distacco dalla vita romana: inizialmente la pittrice assunse il cognome Lomi e non tenne contatti con il padre,

Artemisia fu in buoni rapporti con Galileo Galilei, tra i suoi estimatori ebbe un posto di speciale rilievo Michelangelo Buonarroti il giovane (nipote di Michelangelo). L’amicizia con quest’ultimo è testimoniata da numerose lettere.

Appartengono al periodo fiorentino la Conversione della Maddalena e la Giuditta con la sua ancella di Palazzo Pitti e una seconda (dopo quella di Napoli dipinta 8 anni prima) versione della Giuditta che decapita Oloferne agli Uffizi.

Nonostante il successo, a causa di spese eccessive, sue e di suo marito, il periodo fiorentino fu tormentato da problemi con i creditori e tornarono a Roma periodo dove fece Ritratto di gonfaloniere e la Giuditta con la sua ancella

Nel 1630 Artemisia si recò a Napoli, qui per la prima volta, si trovò a dipingere tre tele per una chiesa,la cattedrale di Pozzuoli: San Gennaro nell’anfiteatro di Pozzuoli, l’Adorazione dei Magi e San Procolo e Nicea.

Sono del primo periodo napoletano opere quali la Nascita di San Giovanni Battista al Prado, Corisca e il satiro in collezione privata. In queste opere Artemisia dimostra, ancora una volta, di sapersi aggiornare sui gusti artistici del tempo e di sapersi cimentare con altri soggetti rispetto alle varie Giuditte, Susanne, Betsabee, Maddalene penitenti.

Nel 1638 Artemisia raggiunse il padre a Londra, presso la corte di Carlo I, dove  era diventato pittore di corte e aveva ricevuto l’incarico della decorazione di un soffitto  Dopo tanto tempo padre e figlia si ritrovarono legati da un rapporto di collaborazione artistica, ma nulla lascia pensare che il motivo del viaggio londinese fosse solo quello di venire in soccorso all’anziano genitore. Certo è che Carlo I la reclamava alla sua corte e un rifiuto non era possibile. Orazio inaspettatamente morì, assistito dalla figlia, nel 1639.

Nel 1642, alle prime avvisaglie della guerra civile, Artemisia aveva già lasciato l’Inghilterra. Poco o nulla si sa degli spostamenti successivi. Artemisia morì nel 1653.

 

Fonti e immagini : qui qui


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