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Arti decorative a Venezia

Creato il 10 giugno 2011 da Aljo

Arti decorative a VeneziaThe Venice International Foundation è un’associazione senza scopo di lucro costituita il 15 novembre del 1996. E’ uno dei Comitati Privati Internazionali per la Salvaguardia di Venezia del Programma UNESCO e opera sotto il Patrocinio della Regione Veneto. Per ricevere gratuitamente la Newsletter scrivete a [email protected].

>>> The Venice International Foundation is a non profit organisation, established on 15 November 1996 with headquarters in the Ca’ Rezzonico Museum of Eighteenth Century Art. To receive the News Letter free of charge, request it at the Editorial Office of the Venice International Foundation at Ca’ Rezzonico (tel.-fax: 041 2774840, e-mail:[email protected] ).

Ora, in Italian Art Design, blog ufficiale di AL & JO, con l’autorizzazione della fondazione e degli autori, pubblichiamo una serie di importanti articoli selezionati dalla fondazione stessa, nella raccolta ARTI DECORATIVE A VENEZIA.

Iniziamo con la prima parte di LA BOTTEGA DELL’ARTE di Doretta Davanzo Poli.

Venezia è una città nata dal nulla. Nei luoghi in cui sorse c’erano solo acqua e argilla e per costruirla gli uomini vi hanno dovuto trasportare tutto: dal legno per le palafitte su cui ergere le fondamenta, alle pietre e ai marmi per costruire selciati, case e palazzi; dal ferro per armarsi, all’acqua dolce per dissetarsi. Venezia, se è poco in obbligo con la natura, lo è molto con l’uomo che, recuperati con fatica i materiali, l’ha innalzata.

Riflettendo su tale natura si può comprendere l’importanza che il lavoro manuale ha avuto nell’evoluzione della città, dall’inizio delle sue vicende fino a quando, diminuite le opportunità mercantili con l’Oriente per lo spostamento verso ovest delle rotte commerciali, scoprirà in sé e nelle sue industrie di trasformazione, le basi della sua economia. Cercando nuove fonti di ricchezza, troverà nuove mete a quell’operosità di cui ha sempre avuto grande rispetto. Infatti fin dai tempi più antichi il lavoro e la qualità dei risultati ottenuti permette, anche al più umile dei mestieri, di elevarsi alla nobiltà dell’Arte.

A una prima analisi la differenza tra artigianato e arte sembrerebbe potersi poggiare sul fatto che il primo è normalmente anonimo, mentre la seconda è fortemente legata a singole personalità. Ma è sufficiente approfondire un poco l’argomento per accorg e r s i di come ciò non sia vero e di quante testimonianze invece rimangano a conferma dell’eccellenza e della perizia raggiunte nel corso dei secoli nelle arti applicate. Il talento dell’artigiano a volte raggiunge livelli tali da rendere immediatamente riconoscibili i prodotti della sua bottega, anche in assenza di segni di riconoscimento come una firma, un marchio o un punzone. Ci si rende conto così che non esiste un confine netto tra arti maggiori e minori in quanto, soprattutto in passato, chi si occupava delle prime talora si adoperava egregiamente anche nelle seconde. Si pensi per esempio all’architetto che è pure intagliatore e fabbro oppure al pittore che è stuccatore o tessitore.

L’artista, che come l’artigiano chiamava bottega il suo studio, entrava con familiarità da un laboratorio all’altro, educando a parole ma anche con esempi pratici il gusto dell’operaio. Per definire quindi il confine tra arte e artigianato non basta neppure il concetto che distingue la prima come frutto collettivo di un’officina e la seconda come opera del tutto personale, in quanto l’artigiano stesso aveva anche una forte autonomia creativa. Venezia si specializza fin da subito nella produzione di lusso, ben consapevole delle potenzialità economiche derivanti dalla fabbricazione esclusiva di determinati manufatti. Nell’artigianato lagunare sono ravvisabili stili ben definiti che non rimangono però immutati e ripetitivi ma si evolvono con il mutare delle mode e dei costumi. All’inizio i veneziani sono solamente mercanti che importano dall’Oriente merci rare e preziose che rivendono poi in Occidente; in questo modo la città, imponendosi come snodo cruciale di traffico mercantile tra Levante e Ponente, diventa punto di arrivo e di partenza dei grandi traffici internazionali e porto dove i mercanti stranieri scambiano i propri prodotti con quelli locali.

A Venezia si impara presto a lavorare le materie prime: fin dal XII secolo sorgono e si avviano le prime industrie di trasformazione in grado di ottenere prestigiosi prodotti finiti. La ricerca della qualità diventa così lo strumento fondamentale per creare ricchezza, una prerogativa da salvaguardare e proteggere a ogni costo. La perfetta organizzazione della società produttiva in corporazioni di arti e mestieri consente inoltre ai veneziani di mantenere integro per secoli il patrimonio di conoscenze, gelosamente tramandate di generazione in generazione e perfezionate a tal punto da divenire inimitabili. È infatti a questo scopo che, a partire dal XIII secolo, ogni gruppo di persone che esercita uno stesso mestiere o che commercia una stessa specialità si riunisce in associazione, redigendo propri statuti nei quali vengono fissate le regole, deontologiche e professionali, cui tutti devono attenersi.

Le corporazioni sono il risultato di due spinte convergenti: la necessità di uno strumento di tutela degli interessi del mestiere e l’intento di elevare i livelli qualitativi dei prodotti, mantenendo il controllo economico all’interno della corporazione e restando al di fuori di ogni coinvolgimento politico. Queste aggregazioni all’inizio hanno carattere prevalentemente religioso, così da identificarsi nelle Schole devozionali (termine che in greco significa “unione di persone”); in seguito, crescendo la loro importanza economica, gli aspetti spirituali e laici si fondono e si giunge così all’istituzione dell’Arte, regolata, nei suoi vari aspetti di corporazione e di mestiere, da statuti – i capitolari o le mariegole – i cui testi, talvolta impreziositi da pagine miniate e raccolti da legature di grande valore, sono giunti fino a noi. Qualunque cittadino o suddito in regola con i pagamenti dei tributi e di provata onestà poteva iscriversi all’Arte dopo aver superato un accertamento attitudinale. Il garzone, che ufficialmente doveva avere dodici anni ma in realtà era più giovane, doveva seguire un apprendistato che durava, a seconda del mestiere, da cinque a sette anni; successivamente diventava, per almeno altri due o tre anni, lavorante. Sostenendo un nuovo e più impegnativo esame di abilità pratica – la prova d’arte – poteva conseguire il titolo di maestro, con diritto di aprire bottega in proprio e tenere a sua volta garzoni e lavoranti. Il governo vigilava affinché il rapporto tra maestri e operai fosse corretto, senza sfruttamenti o ingiuste rivendicazioni. Si legiferava anche per evitare o limitare inquinamenti e per tutelare la salute di lavoratori e cittadini. Gli associati erano inoltre garantiti in ogni momento della loro vita, durante le malattie e in caso di morte; si pensava anche a vedove e orfani e, per salvaguardare l’impresa, si concedeva talora la licenza anche alle donne. Alle maestranze specializzate era rigorosamente vietato emigrare per evitare la fuoriuscita dei segreti del mestiere e la conseguente compromissione del mercato. Venivano invece ben accolti gli artigiani stranieri che dimostrassero capacità e perizia particolari o che fossero detentori di nuove conoscenze o inventori di procedimenti inusuali. Il loro inserimento nella Repubblica era facilitato da concessioni di permessi, di spazi edificabili e, talora, anche da agevolazioni fiscali o da esenzioni da dazi. Ai confratelli di un’Arte spetta anche l’arredo artistico dell’altare o della cappella di loro concessione presso le varie chiese cittadine che vengono arricchiti con opere pittoriche, spesso commissionate a grandi artisti come Tintoretto o Palma il Giovane, e scultoree, o con la periodica esposizione di paliotti rivestiti di stoffe auroseriche, preziosi ricami, realizzazioni di oreficeria o di cuoi dorati.

> Fine prima parte


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