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Assassini messicani di emigrandi

Creato il 27 agosto 2010 da Sabins
La strage dei 72 clandestini latinoamericani compiuta da una banda di criminali nello Stato di Tamaulipas, nel Messico centro-orientale, ha riportato all'attenzione delle cronache internazionali la tragedia dei latinoamericani che cercano di raggiungere illegalmente gli Stati Uniti dai loro Paesi, attraverso un viaggio pericoloso nel Messico. Ogni anno scompaiono nel Paese nordamericano centinaia di cittadini del Centro e del Sudamerica, e quelli che riescono a raggiungere il confine con gli Stati Uniti lo fanno in condizioni infraumane, dopo essere stati alla mercé di poliziotti e funzionari corrotti. Sui giornali del subcontinente sono apparse numerose testimonianze di questa tragedia che è nel Messico senza controllo l'emigrazione clandestina. Tra tutte, quella che mette di più i brividi, è probabilmente questa raccolta dal quotidiano messicano El Universal; in spagnolo potete leggerla qui
Marisolina non aveva parenti negli Stati Uniti e molto meno in El Salvador che avrebbero potuto pagare i 3mila dollari per i quali los Zetas, che l'avevano sequestrata, l'avrebbero lasciata libera. "Con qualcosa ci dovrai pagare, bella" la minacciavano i primi giorni di prigionia.
Non c'è stato nessuno che abbia risposto per lei. Prima che si compisse la settimana da cui l'avevano presa dal treno a Coatzacoalcos, nello Stato di Veracruz, l'avevano trasformata nella cuoca degli emigranti sequestrati e dei capi della casa di sicurezza. "All'inizio cucinavo solo, ma quando iniziarono ad avere confidenza, iniziarono a darmi anche la loro roba da lavare" racconta.
Una notte, dopo aver servito la cena, l'uomo che tutti chiamavano El Perro, che era come il capo della casa di sicurezza, si ubriacò, si drogò di molta cocaina e le chiese di sedersi a chiacchierare con lui. In quel momento le chiede: "Bella, sai perché ti porto roba così sporca?" Marisolina si ricorda che aveva molta paura di quest'uomo perché aveva sempre un'arma addosso e maltrattava molto gli emigranti: "Gli dissi che immaginavo che sistemava le camionette in cui trasportavano i centroamericani".
El Perro si fece una tremenda risata e disse: "Io sono il macellaio, non faccio niente di meccanica. Il mio lavoro e disfarmi della spazzatura che non paga".
Più terrorizzata, racconta quel momento: "In modo burlone, e senza alcun rimorso, mi raccontò che era l'incaricato di uccidere gli emigranti che non avevano come pagare il riscatto. Disse: "prima li faccio a pezzi perché stiano nei contenitori e poi do loro fuoco perché non rimanga niente di questi stupidi".
Quella notte non riuscì a dormire, stava attenta a qualunque rumore. Ascoltò entrare e uscire gente dalla casa, ma non ebbe il coraggio di affacciarsi a vedere cosa succedeva. Alla mattina seguente El Perro le diede da lavare la roba.
Rimane in silenzio alcuni minuti prima di continuare il suo racconto. Senza smettere di piangere racconta. "Ho lavato molte volte il sangue di questa gente. Al ritirare la roba uscivano i pezzi di carne. Tutto odorava di fuliggine, che per me vuol dire odore di morte"
Marisolina rimase tre mesi nelle mani di un gruppo che si faceva chiamare Los Zetas. Sia nelle loro scorribande che nelle riunioni per sistemare gli affari, lei era l'incaricata di servire i pasti ai capi. "Quando si riunivano li ascoltavo dire che Los Zetas erano un'organizzazione molto rispettabile. A volte mi portavano in un hotel che affittavano a Coatzacoalcos. Lì ho potuto verificare la catena di comando della compagnia, come loro chiamavano la loro organizzazione".
I soldati, rivela, erano quelli che sorvegliavano giorno e notte gli emigranti. "Dopo c'erano gli Alfa, loro li ho ascoltati molte volte parlare con i poliziotti, con quelli dell'emigrazione o con i macchinisti. Loro li avvisavano quando arrivava un gruppo numeroso di centroamericani nel treno o quando li avevano fermati.
Cercando di dissimulare l'accento salvadoregno ricorda di aver ubicato sei macellai, uno per ogni casa di sicurezza. "Sopra i macellai v'erano i capi veri e propri, loro davano ordine di quanti erano da far sparire".
Si copre il volto al ricordare che conosceva molti dei desaparecidos. "Un giorno mi hanno ordinato di portare il cibo in una stanza in cui non ero mai entrata. Il puro odore di questo posto mi faceva piangere. Lì li tenevano legati. Erano quelli che non potevano pagare ed erano in lista d'attesa per essere uccisi. Li tenivano con gli occhi bendati e le mani ammanettate. Ormai non uscivano più da lì che per morire. A molti ho dato da mangiare di notte e la mattina seguente non cerano più. E allora ne portavano su altri. Ne ho visti sparire molti. E mi fa male non aver potuto aiutare nessuno, anche se molti mi supplicavano".
Una notte, dopo un'operazione dell'Esercito, in una casa di sicurezza de Los Zetas, in cui riscattarono alcuni emigranti, El Perro chiede a Marisolina e a un'amica di accompagnarloa  comprare sigarette e bevande. Fuori dal negozio le lasciarono andare, non senza avvertirle prima di non lasciare che la loro bocca le ammazzasse.
Lunghe camminate, giori e notti senza mangiare, giunsero a denunciare la loro prigionia sotto Los Zetas. "Non volevamo parlare con la Polizia perché non ci fidavamo di nessuno. Abbiamo accettato perché la gente della Comisión Nacional de Derechos Humanos, che ci ha aiutato molto, ci ha detto che la nostra testimonianza poteva servire per evitare che altre persone soffrissero quello che abbiamo sofferto noi".
Ma la peggiore delusione è arrivata dopo, quando la Procura Generale della Repubblica le ha informate che la loro condizione di vittime sarebbe cambiata in quella di indiziate perché "esisteva il sospetto che fossimo gente de Los Zetas, non potevano credere che dopo aver visto il modo di agire di questi criminali ci abbiano lasciato libere così".

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