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Assestamenti cosmici nel Quadrato di Pegaso

Creato il 13 agosto 2014 da Media Inaf

Il suo nome è Markarian 335. Si trova a 324 milioni di anni luce da noi, in direzione della costellazione di Pegaso. Ed è così grande che persino nella pur esagerata cerchia dei buchi neri supermassicci viene considerato un peso massimo: la sua massa è pari a quella di circa 10 milioni di soli, compressa però in una regione di diametro pari ad appena 30 volte quello del nostro Sole. Insomma, un pozzo gravitazionale senza fondo. Qualunque cosa vi si avvicini troppo, luce compresa, è perduta. Qualcosa come la corona che sovrasta il disco di accrescimento, per esempio: nel maggio del 2013 il satellite Swift ha colto i segni di un probabile scivolamento di questa sorgente compatta di raggi X verso il buco nero.

Mano a mano che la corona si muoveva verso il buco nero – spostamento che pare sia avvenuto nel’arco di pochi giorni – quest’ultimo attraeva sempre più i raggi X emessi dalla corona stessa. L’effetto, visto dagli strumenti degli astronomi, è stato una sorta di sfocatura, di stiramento, della luce a raggi X proveniente dalla corona. Un evento già osservato in precedenza ma estremamente raro, tanto che all’inseguimento si è prontamente unito anche un altro telescopio ad alte energie della NASA, il satellite NuSTAR, con il quale gli astrofisici sono riusciti a descrivere ciò che stava avvenendo con un livello di dettaglio mai raggiunto prima.

In particolare, NuSTAR – che ha da poco compiuto i suoi primi due anni in orbita e ottenuto un’estensione per altri due anni di missione – ha permesso agli astronomi di assistere all’evento da una “finestra privilegiata” dello spettro elettromagnetico, quella che va dai 3 ai 79 KeV: l’intervallo d’energia ideale per discernere ciò che si sta svolgendo nei pressi dell’orizzonte degli eventi, la regione intorno a un buco nero da cui la luce non può più sfuggire alla presa di forza di gravità. «La corona è collassata in direzione del buco nero. Di conseguenza, l’intensa gravità del buco nero ha attratto tutta la luce giù verso il disco di accrescimento, dove la materia precipita a spirale verso l’interno», spiega Michael Parker dell’Istituto di Astronomia di Cambridge (UK), primo autore dello studio – al quale ha preso parte anche Guido Risaliti, dell’INAF di Arcetri – che descrive i risultati, pubblicato sull’ultimo numero di Monthly Notices of the Royal Astronomical Society.

A distanza di mesi, la situazione pare non essere cambiata, e i ricercatori si domandano se e quando la corona tornerà a ritirarsi. Conviene comunque approfittare della situazione attuale, perché lì dove si trova ora, vicina alla parte più interna del disco di accrescimento surriscaldato, la corona funziona un po’ come un faro, inondando di luce proprio  la regione alla quale gli astronomi sono maggiormente interessati. Una configurazione fortunata, dunque, che potrebbe aiutare a comprendere meglio anche la natura stessa della corona: ancora non è chiaro, infatti, come venga prodotta e perché muti la propria forma.

Per saperne di più:

Fonte: Media INAF | Scritto da Marco Malaspina


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