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Attacchi di che?

Creato il 12 giugno 2014 da Federbernardini53 @FedeBernardini

Attacchi di che?

Di Sonia Maioli   A volte non si può dire di no.

La richiesta di un fratello, essere recuperato dopo una camminata molto impegnativa, non può essere ignorata.

Serata d’estate, caldo fiorentino, chi lo conosce lo evita. Fine di un turno che è restrittivo definire massacrante.

Non ho una gran macchina, anzi, quasi un ciuchino, del 1998, fra poco andrà a votare.

Appena mi metto alla guida mi prende la paura.

E’ un pezzo, ormai, che non amo guidare col buio e poco anche con la luce del giorno.

Ho scoperto da poco che la mia vista non è migliorata col passare degli anni, d’altra parte non è vino.

La soluzione è canterellare.

Mi viene subito in mente “Canzone per un’amica” Guccini… ha sempre portato malissimo cantarla in macchina.

Ricordo un viaggio disastroso in Sardegna, da Cala Gonone ad Orgosolo… ma di questo scriverò un’altra volta.

Sostituisco subito con “Incontro”, altra canzone allegra, ma almeno non legata a macchine e incidenti.

La canto fino alla rotonda, dove mio fratello aspetta.

Quanto è bella la strada che percorro! Mi lascio trascinare dai profumi e dai ricordi.

Mi assalgono, di sorpresa, nelle diritture o dietro le curve.

Gelsomini, folte siepi abbracciate a ringhiere e cancellate. Il mio profumo preferito.

Tigli che mi accompagnano riparandomi dall’ultimo sole. Il profumo è fresco, da campagna e di giorno.

Fieno lasciato a seccare in quegli orrendi e ripetitivi ruzzoloni che tanto piacciono ai fotografi.

Cucina di qualche trattoria, roba buona, fritto fresco con olio ancora non vecchio.

I ricordi di anni ed anni.

Mio padre era un vecchio ex cacciatore, riposto il fucile, non aveva però fatto altrettanto con la voglia di cercare la selvaggina.

Ci portava, con una Kadett azzurra, a vedere i fagiani nei prati a Campomigliaio, erano passeggiate gradite, rare, godute.

Normalmente eravamo in quattro, mio padre, mia madre, Marco ed io.

C’erano sempre i fagiani, sembrava aspettassero, sicuri che non avrebbe sparato.

Non ricordo come finissero quei giri, ma probabilmente tornavamo semplicemente a casa, senza nemmeno fermarci.

Il viaggio è sempre stato più importante della meta per noi. Lo è ancora.

Recuperato Marco, ci avviamo verso Barberino, ovviamente facciamo la strada più lunga, ma indubbiamente la più bella.

Freno, scanso improvvisamente, nel buio, un setter nero e poco bianco… non so come, l’avevo sentito.

Immediata la voglia di fermarsi e vedere se è un cane abbandonato, ma vicino c’è un casolare e lui forse viene da lì.

Barberino, un cappuccino, il tempo di togliere le scarpe del lungo cammino, ci avviamo verso Firenze.

La strada del ritorno sembra sempre più corta, non so perché.

Eppure andiamo più piano di quanto io non abbia fatto all’andata.

Canto di nuovo, con tutto il fiato che ho, stavolta Modugno “Meraviglioso”, Irene Grandi (meglio sarebbe dire Mina)

“Sono come tu mi vuoi”.

Nessun legame, nessun riferimento, solo quello che mi viene in mente.

Mi riavvolgo nei profumi che arrivano di nuovo.

Il gelsomino di notte è più dolce, meno frizzante.

Il fieno restituisce alla luna il caldo del sole sofferto durante tutto il giorno.

I tigli fiorentini hanno un  odore grasso, la notte.

Arrivo sulla vecchia Bolognese, lo so, la conosco, uscirò da quella curva e Firenze mi si presenterà al suo meglio.

Piccola, dicono i romani, raccolta, dico io.

Un gioiello, una pietra incastonata nelle sue colline.

Insomma… ma quali attacchi di panico?

Il  viaggio è più importante della meta e della paura.

Stanca, ma rinfrancata.

Buonanotte!



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