Magazine Bambini

Attachment parenting: crescere i figli con empatia [la società del distacco]

Da Paternamente.it @paternamente
Attachment parenting: crescere i figli con empatia [la società del distacco] <<< La nostra società e cultura teorizza ed apprezza il distacco e la separazione.
All'origine di questo atteggiamento c'è da un lato l'aspirazione ad un modello umano basato sull'autodisciplina; dall'altro la diffidenza verso tutte quelle manifestazioni umane che sfuggono ad un controllo, una definizione e una previsione certa.
La tendenza a controllare e quella ad essere controllati va insieme: adulti cresciuti con questa filosofia sono più facili a conformarsi a norme dettate dall'esterno e ad accettare acriticamente definizioni della realtà imposte da chi possiede autorità; inoltre si sentono minacciati dall'esistenza di comportamenti "fuori della norma", e sentono il bisogno di riportarli entro gli schemi noti. Coloro che hanno da bambini sofferto per adeguarsi alle aspettative degli adulti, andando contro i propri istinti, oggi, adulti a loro volta, desiderano negare questa sofferenza e, riaffermando la bontà dei metodi che hanno subìto, perpetuarla nelle nuove generazioni.
L'approccio genitoriale "distaccato" discende da questa cultura, e si basa su una serie di premesse negative. I genitori, nel decidere ciò che è giusto o benefico per il bambino, non si basano sulle loro percezioni e intuizioni, né sull'osservazione del bambino stesso: il centro generatore delle regole da seguire è esterno alla famiglia, un insieme di norme eterocentriche da applicare rigidamente, senza variazioni od eccezioni. Si dà particolare importanza alla "coerenza" (cioè all'applicazione sempre uguale della regola, a prescindere dalla situazione) e alla ripetizione come mezzo per fissare la norma nel comportamento del bambino. Dietro questo criterio c'è l'idea che né il bambino, né i suoi genitori, siano in grado di cavarsela da soli, percepire correttamente le proprie esigenze, fare delle scelte, sviluppare delle soluzioni appropriate per il benessere familiare. Così i genitori, convinti di non essere competenti su come allevare bambini, si affidano alla guida di "esperti" esterni alla famiglia stessa, e poco incide sul risultato finale se queste voci autorevoli provengono da un pediatra, uno psicologo, un libro di puericultura o una rivista commerciale per neo-mamme.
Un'altra idea sottintesa è che i genitori, ma soprattutto i bambini, tendono istintivamente verso l'errore. I bisogni del neonato sono "capricci", i suoi comportamenti sono pericolosi per sé oppure socialmente inaccettabili, maliziosi oppure selvaggi. Allevare un bambino significa, secondo questa accezione, fare la guerra a tutto ciò che in lui non risulta conforme al "giusto" modello di essere umano; significa ostacolare, deviare, correggere i suoi comportamenti spontanei finché il bambino non si adegua ad uno stile e delle abitudini ritenute "normali". è un metodo pedagogico lineare, un percorso a senso unico che va dall'adulto al bambino. Viene definito dalle istituzioni didattiche "scolarizzazione", da certi operatori psicologici "acquisizione dell'esame di realtà" e dai pediatri "regolarizzare il bambino"; ma la cruda verità è che si tratta di un lento lavoro di condizionamento teso a modellarlo, come fosse "materia grezza", entro una forma accettabile per la società.
L'ideologia sottesa a questo approccio si esprime in una serie di affermazioni categoriche, che i nostri genitori, e le madri in particolare, si sentono ripetere continuamente da fonti più o meno autorevoli:
  • il bambino ha bisogno di essere abituato ad una regolarità delle sue funzioni fisiologiche (mangiare, dormire, evacuare);
  • il bambino non sa di cosa ha veramente bisogno per il suo benessere fisico e psicologico, per cui gli va insegnato a sopportare di non essere accontentato, e va "aiutato" invece ad accettare le cure fisiche e psicologiche che lo renderanno sano e felice;
  • il bambino tende a opporre resistenza al superamento delle tappe di crescita (mangiare, saper stare da solo, apprendere nozioni) e quindi va esercitata una forzatura perché progredisca: insomma matura e diventa autonomo perché viene costretto;
  • Il mondo è pericoloso e difficile, e la vita è una lotta per l'esistenza: quindi il bambino va temprato a questa lotta altrimenti non apprenderà a difendersi e sopravvivere;
  • doloroso: chi non soffre non cresce.
Cosa c'è di vero in queste teorie? Se passato al vaglio dei fatti, ben poco di ciò che viene affermato risulta vero. Popolazioni e culture nelle quali i bambini sono trattati per quello che sono - esseri dipendenti dagli adulti, bisognosi di presenza costante e affettuose cure - e accuditi con tenerezza e rispetto dei loro ritmi naturali, producono adulti almeno altrettanto maturi ed autonomi, se non di più, di quelle che teorizzano la bontà delle regole fisse. Il modello parentale basato sulla separazione precoce del neonato dalla madre, l'allattamento ad orari, lo svezzamento precoce (mesi invece di anni), il dormire in culle ed in stanze separate, il non rispondere al pianto e alle richieste di contatto del bambino se non entro schemi prestabiliti (l'ora del pasto, l'accudimento di un bambino malato): tutto questo costituisce un "corpus" di comportamenti presenti solo in una minoranza di paesi industrializzati. Sono atteggiamenti molto recenti nella storia dell'umanità, e se guardiamo ai grandi uomini del passato, le cui virtù sono così esaltate nei nostri libri di storia, dobbiamo ricordarci che la maggioranza di loro è stata cresciuta a stretto contatto con la mamma, allattata per uno o più anni ed ha dormito per diversi anni nel letto materno.
Da dove provengono allora tali teorie, e da dove prendono forza e legittimazione? Esse hanno precise radici storiche e culturali.  >>> ___________________________________________
[inizio][la società del distacco][le radici delle teorie pedagogiche][due modelli a confronto][essere genitori controcorrente][l'utopia concreta dell'empatia][e le cattive abitudini?] ___________________________________________ Fonte: allattiamo.it

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog