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Atti del Seminario di Poesia LVF 2012 : Fare e leggere poesia oggi

Da Narcyso
7 gennaio 2014

atti-del-seminario-di-poesia-lvf-2012-2218In questo documento SCARICABILE QUI, sono raccolti i contributi di otto degli undici relatori partecipanti al Seminario di Poesia promosso nel 2012 da La Vita Felice, invitando tutti membri del Comitato di Lettura e la Redazione della collana Sguardi.
La finalità è stata quella di favorire una discussione sul tema Fare e leggere poesia oggi e permettere una maggiore condivisione delle linee di pensiero entro le quali si muovono coloro che – come i relatori – più frequentemente si vengono a trovare nel ruolo di “valutatori” o “consiglieri” di opere altrui.

Pubblico qui il mio intervento. Ringraziando Diana Battagia e Gerardo Mastrullo.

***

Sebastiano Aglieco: Corrispondenze: tra lettura, scrittura
e maieutica

Scriveva Maria Montessori, diversamente dall’opinione prevalente,che il bambino prima impara a scrivere, poi a leggere. E cioè egli scrive nella mente prima di riportare sulla carta, confermando che la scrittura esiste già prima di essere scritta, tramandata come communio nel corso di millenni, molto prima dell’invenzione di una forma di decodifica attraverso i segni.
Le variazioni intorno a un textum – nell’accezione di tessuto – trama, attuano il potere di uno sguardo inventivo e critico – e questo è il motivo per cui i racconti orali, poi travasati in forme scritte, hanno conservato svariate versioni. Il testo, dunque, è impresso nella mente – che in fondo è il luogo della sua necessità – e riportato sulla carta in una forma che non è piú quella originale, ma “ricreata” dal lettore che se ne nutre per necessità spirituale. E forse bisognerebbe cominciare a rileggere in un’altra chiave l’origine della poesia moderna a partire dal suo padre fondatore, Baudelaire, compresi certi comportamenti: «cos’è in fondo, il dandysmo se non una forma di resistenza passiva alla modernità?» E in che modo possono risuonare questi versi famosi:

Lo conosci, lettore, quel mostro delicato,
– Ipocrita lettore, – mio simile, – fratello!

messi a confronto con un’altra dichiarazione, altrettanto statutaria, come questa?:

è del poeta il fin la meraviglia,
chi non sa far stupir, vada alla striglia!
(Marino)

Il male a cui si riferisce Baudelaire è la noia, quindi la mancanza di meraviglia, ciò che è alla base di un coinvolgimento amoroso con il “lettore”, funzione di ogni arte fino all’avvento delle avanguardie storiche, che del lettore hanno fatto un lauto pasto. Stiamo parlando, insomma, di corrispondenze:

è un tempio la Natura ove viventi
pilastri a volte confuse parole
mandano fuori; la attraversa l’uomo
tra foreste di simboli dagli occhi
familiari
(Baudelaire)

cioè di una fitta rete di relazioni in cui chi legge e chi scrive, nella specificità delle intenzioni, contribuisce a fare del testo il luogo di un incontro, in un tempo e in un luogo riconoscibilissimi.
Immaginiamo per un attimo di non sapere niente di simbolismo e di riconsiderare questa dichiarazione come la messa a fuoco di un’attitudine naturale – se la similitudine, prima di giungere alla metafora e al simbolo, è la chiave di volta per penetrare negli ingranaggi del pensiero creativo, ed è innata, come sostiene qualcuno, Baudelaire non fa altro che ribadire qualcosa che la letteratura accademica ha perduto, ed è questo, in fondo, il ritorno a un naturalismo della conoscenza, a un primitivismo dello sguardo.

«Siamo fatti tutti di ciò che ci donano gli altri: in primo luogo i nostri genitori e poi quelli che ci stanno accanto; la letteratura apre all’infinito questa possibilità d’interazione con gli altri e ci arricchisce, perciò, infinitamente»
(Todorov, La letteratura in pericolo)

«Il libro non informa soltanto, né solo intrattiene: è una creatura, che attinge il proprio volto più vero se ci si impegna nella continuità organica di un dialogo che cresce nel tempo, sempre sulla traccia di un’origine da riscoprire nel futuro.

l’etica del lettore, anche quella che si oggettiva e si istituzionalizza in argomentazione critica, non può non scoprire l’inquietudine del proprio limite di certezza totale. La lettura resta alla fine irriducibilmente ipotetica.» (Ezio Raimondi, Un’etica del lettore)

Ma lo sguardo non è prerogativa di una geníe selezionata, di una classe sacerdotale votata alla diversità. Lo sguardo esercita il suo diritto a ricominciare e questo avviene tutte le volte che un bambino è guidato a guardare il mondo fuori dalla tirannia della techè cognitivista.

Non volevo
farti del male
non volevo
ferirti
non volevo
farti soffrire
non volevo
farti cadere
le foglie, mi ferisco
da solo, mi rattristo.
(Axle)

La scrittura/lettura, dunque, si realizza nella scoperta della ferita del contatto con l’altro, nella comprensione guidata e controllata delle infinite forme dell’accadere dell’Essere. La scrittura delle origini, dunque, recita la sua propensione a uno sguardo disponibile, capace di giocarsi la possibilità della corrispondenza e di una pluralità immaginifica del sensoriale.

Il cammino sulla neve è la mia scrittura magica.
(Lakshan)

Comunanza, rapporti, radici. Letteratura come intreccio. É ció che immaginano, per esempio, Marco Munaro e Gianfranco Maretti
Tregiardini, nell’antologia Il lampo della bocca e altre figurate parole tra poeti italiani del Novecento, MUP, 2005, in cui si dice che: «La storia della poesia del Novecento si fa senza mediazioni di scuole o gruppi di ideologie, direttamente attraverso i testi, in quanto portatori primi di “poetiche” lampo, bagliori di “immagini” esse stesse, immagini che virano in teoria, e viceversa».
«Le parole sono entità biologiche, respirano nello spazio e nel tempo, assumono forma e colore. Si mimetizzano o trasformano interi paesaggi. Le sottili ramificazioni di cui sono capaci danno origine a un corpo che non ha forma ma infiniti sensi. È il corpo della letteratura nella cui geografia si situano le voci dei poeti. E così possiamo immaginare poeti/occhi, poeti/ polmoni, poeti/piedi. Il compito è un delicato atto di auscultazione. Perché non siamo soli; tutti, in qualche modo – le voci, i visi, le assenze, noi stessi – ci apparteniamo in un modo più profondo e misterioso. Il compito di tutti, di tutti noi, dei poeti e dei lettori, è quello di riuscire a percepire il respiro del grande albero. Di nutrire le radici delle isole.» (Sebastiano Aglieco, Radici delle isole, La vita felice 2009)


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