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Attimi di piacere catastematico

Creato il 17 luglio 2014 da Athenae Noctua @AthenaeNoctua

Dopo giorni di tensione e sacrificio, arriva il momento in cui il traguardo cui puntavano si raggiunge e si supera, il giro di boa, il momento in cui finalmente quell'agitazione e quella fatica cessano. Allora subentra il senso di rilassamento più piacevole di tutti, come il piacere del corpo che si abbandona al sonno dopo una lunga giornata. Può non accadere nulla di speciale, il tempo successivo a quello del turbamento può trascorrere nella più totale medietas, eppure quanta gioia e quale rasserenamento proviamo!

Attimi di piacere catastematico

Questa comunissima sensazione ha ricevuto una teorizzazione filosofica da Epicuro, che parla di piacere catastematico, una gioia statica, data non dal godimento di particolari beni o emozioni, ma dall'assenza di qualsiasi inquietudine, passione o agitazione; il concetto, comunemente noto come atarassia, indica proprio la capacità di essere felici e sereni senza particolari motivi, semplicemente assaporando la sensazione di non provare affanno e di accontentarsi di ciò che si possiede senza voler ricercare fuori da noi stessi la fonte del piacere.
La rielaborazione poetica del pensiero epicureo è affidata al poema didascalico De rerum natura di Lucrezio (I sec. a.C.), che, in apertura al secondo libro, contiene una lode di questo stato di piacere, dove si contrappongono il comportamento di coloro che inseguono gli onori, le ricchezze e piaceri effimeri e quello dei saggi che accettano pacatamente di non essere preda di quegli stessi desideri e rimangono arroccati nei templa serena che, permettendo loro di dirigere lo sguardo agli uomini afflitti dall'insoddisfazione perpetua, dal dolore o dall'agitazione, li fanno sentire ancor più felici della loro condizione (Lucrezio, II, 16-33):

[...] E come non vedere
che la natura null'altro ci chiede con grida imperiose,
se non che il corpo sia esente dal dolore, e nell'anima goda
d'un senso gioioso, sgombra d'affanni e di timori?
Dunque al nostro corpo necessitano
ben poche cose che possano lenire il dolore
e in tal modo offrano anche molti soavi piaceri;
talvolta è più gradevole - la stessa natura non soffre
se all'interno dei palazzi non vi sono auree statue
di giovani che reggono con le destre fiaccole accese,
per fornire in tal modo luce ai notturni banchetti,
e se l'edificio non brilla d'argento e non risplende d'oro,
né le cetre fanno echeggiare i dorati riquadri dei soffitti -
quando tuttavia fra amici adagiati su molle erba,
lungo il corso d'un ruscello sotto i rami d'un alto albero
con modesti agi ristorano gradevolmente le membra,
soprattutto se il tempo sorride e la stagione dell'anno
cosparge le verdeggianti erbe di fiori.

Lo stesso concetto è alla base del pensiero di Giacomo Leopardi, che manifesta molti punti di contatto con il materialismo epicureo e con le pagine di Lucrezio. Celeberrimo è il verso che riassume la nozione di atarassia, tratto da La quiete dopo la tempesta: "Piacer figlio d'affanno", al v. 32, concentra il senso complessivo dell'idillio, che fa leva proprio sulla condizione dell'uomo eternamente tormentato che può godere dell'unica gioia data dall'"uscir di pena" (v. 45), perché, per il poeta recanatese, la gioia è vana e "frutto del passato timore" (vv. 33-34), il dolore nasce naturalmente e, se dalla sua cessazione deriva un qualche piacere, esso "è gran guadagno" (vv. 48-50), tutto ciò che la Natura ha concesso al genere umano.

C.M.


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