Metti prendere, in un sabato pomeriggio piovoso, montare su un Pandino a cui il meccanico ha diagnosticato pochi chilometri di vita, e scorrere giù lungo la cartina, alla ricerca di un po’ di sole. Metti penetrare in una Toscana verde, e innamorarsi di Firenze in una notte, con le serrande abbassate e le chiese chiuse, e gironzolare casualmente tra luoghi che ti sono noti solo per nome, e pensare che quella camminata notturna valeva bene tutte le ore di viaggio. Metti poi arrivare a Siena, borgo medievale troppo cresciuto assiso sulla sua collina. E metti capitarci durante i preparativi del Palio: stendardi alle finestre, portabandiere, tifoserie. E infine arrivare nella cattedrale e assistere tra la folla di turisti assiepati al l Corteo del Cielo, al ritmo del caos roboante dei tamburi e sotto le volte trapunte di stelle dipinte.
E mentre sei lì e per una qualche ragione ti senti vibrare il cuore, e in una sola sfilata e in un solo suono capisci o forse intuisci i perché della guerra e del sangue e dell’umanità tutta, mentre sei lì e cerchi soltanto di percepire, percepire il più possibile, ti rendi conto che tutti attorno a te stringono in mano macchinette fotografiche, e sparano flash contro la sfilata. E sai, perché l’hai fatto anche tu, lo fai ancora a volte, che non stanno guardando. Non saranno i loro occhi, ma le loro foto a costruire il loro ricordo di quel momento. Non vedono con gli occhi, vedono con l’obiettivo.
E all’improvviso capisci che questa grande mania collettiva di fissare ogni attimo per non smarrirlo nella memoria, ci sta distruggendo il ricordo. E che invece di ricordare sprazzi e sensazioni, ricordiamo solo gli attimi immortalati nelle nostre memorie digitali.