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Au revoir, Toulouse.

Da Letsdance2010

Si jamais a qualcuno venisse ancora voglia di lamentarsi dell’organizzazione italiana, o semplicemente della (meravigliosa E CALDA) Alma Mater, ecco a voi la cronaca di una giornata à le Mirail. Et je ne triche pas, per una volta non ho bisogno di ricamare sulla realtà per raccontare…

Il lunedì per me inizia alle 10.30 con Confais (Grammaire allemande), ma stamattina arrivo a Le Mirail già alle 9.45, per fare varie fotocopie, cercare del materiale che Hartmann ha lasciato in una biblioteca di cui ignoravo l’esistenza, e soprattutto, ottenere l’indirizzo email del sopraccitato professore (il mio preferito). Non per scrivergli quanto adoro le sue lezioni ma per sapere la data del suo esame, visto che non è fra gli appelli online e che non lo rivedrò prima di partire (domani mattina).
Dunque a fotocopie fatte, mi dirigo in biblioteca. ll materiale non si trova, devo ritornare oggi pomeriggio, quando ci sarà la responsabile, e chiedere a lei. Oggi pomeriggio ho lezione dalle 13.30 alle 18.30 e la biblioteca chiude alle 16 (non chiedetemi perchè). Ma ça va, qui bisogna prendere tutto con molta filosofia, perciò non ci penso e vado dritta in segreteria a chiedere l’indirizzo mail di Hartmann. Dopo una decina di minuti a spulciare internet, la segretaria mi risponde che non ce l’hanno nemmeno loro. Okay, sono ufficialmente fregata. Ma bene, è ora di andare da Confais, al resto penserò a pranzo. Filosofia.

Due ore di grammatica con Confais, che nonostante abbia l’arduo compito di ricordarci ogni lunedì mattina verbi forti e preposizioni, è il mio secondo professore preferito. Per chi ci vedesse “da fuori”, siamo semplicemente 7, raramente 8, frequentemente 4-5, radunati in un auletta striminzita, cappotto rigorosamente addosso, a leggere e a fare esercizi a voce alta. Niente quaderni, niente libri. Solo Confais che ogni tanto, illuminato da una parola o da una struttura, ci scrive alla lavagna – con uno dei suoi pennarelli portati da casa – una frase tipicamente tedesca, un’espressione frequente, un verbo particolare. Per qualcuno che ha ben presente le classi di 60 persone a Bologna, con costosissimi libri di lingua e ore passate a prendere appunti, beh, questo è un altro mondo.
Dopo la lezione parlo con Confais, lui è un altra tappa del mio giro della speranza: visto che nessuno a tenuto fede ai calendari pubblicati a ottobre e che mi ritrovo gran parte degli esami il 3,4,5 gennaio, sto girando tutti i professori implorando per la possibilità di sostenerli la settimana dopo. Visto che ho già prenotato il volo il 9, e che non riuscirei mai a studiare decentemente prima del 3. Confais è un sì certo, ne approfitto per chiedere anche a lui l’indirizzo email, ho ancora un milione di compiti da inviargli, e me lo scarabocchia su un post-it aggiungendo “Buon Natale”.

Esco dall’”ufficio” di Confais, ho un’ora – scarsa, perchè le lezioni non hanno mai un’ora precisa, non finiscono alle 12.30, ma a volte alle 12, a volte alle 13, ecc.. – e vado dritta all’eima con Ginevra. Non pranzo con lei oggi, ho promesso a Julien che avrei pranzato con lui, “prendiamo dei panini buonissimi che fanno qui vicino.” Ecco, lui è francese, e parla TROPPO, TROPPO velocemente per me. Non scandisce niente. E io oggi penso a Hartmann, agli esami – riuscirò a farmeli spostare da tutti?- , alla Caf – mi daranno tutti i soldi scritti nella simulazione? e se non me li danno? ah, odio i soldi. – , alla valigia da fare. E Julien mi chiede un sacco di cose, e io ascolto abbastanza solo per capire se la risposta che serve è del tipo “si-no”, e poi scelgo un monosillabo a caso. Risultato : 15 minuti dopo, all’eima, ho in mano un panino talmente piccante che mi da quasi la nausea. Io, che non metto un filo di pepe o peperoncino nemmeno sulla carne, e che non mangio mai messicano apposta. Ginevra ha le lacrime agli occhi dal ridere, e mi parla in italiano per non rovinare i miei ultimi residui di reputazione:
“Ma scusa anche te, ti pare che una salsa che si chiama “Salsa Samurai” non sia piccante? Ma non hai ascoltato il nome?”
“Gini, finiscila, ci manca solo la tua ironia oggi..”
“Ma per forza, ma samurai, io avrei pensato..”
“TAIS-TOI,non hai un esame domani?!”

Ore 13.30. Ho scoperto che Hartmann ha un corso dalle 14.30 alle 15.30, quindi, devo assolutamente braccarlo alle 15.30. Visto che a quell’ora sarei  a perfectionnement du français, dove facciamo qualcosa di utile – tipo le politiche dell’Onu sul colonialismo – circa ogni 3 settimane (ovvero:quando la prof si ricorda il materiale per la lezione), decido di andare solo per rendere i devoirs e avere la correzione dell’ultimo, che ho consegnato lunedì scorso. La Casteran ha la solita aria da casalinga disperata mentre cerca fra le montagne di fogli che si porta sempre dietro, mi mette in mano il lavoro mio e di Kathrin e mi dice “Non trovo il tuo compito, eppure ce l’avevo in mano fino a un minuto fa”. La guardo cercare per altri 5-6 minuti. Poi me ne vado, anche perchè, onestamente mi sento io in imbarazzo per lei. Per colpa dell’organizzazione del suo dipartimento, io ho cominciato il corso con un mese e mezzo di ritardo. Ho lavorato come una pazza per rendere i 3 testi  da fare nel semestre, in una settimana, perchè lei li correggesse prima di Natale. E regolarmente, ogni settimana ne dimentica uno. Faccio per andarmene. Mi dice “aspetta aspetta!”, fa un mezzo passo verso la cattedra, si gira, e dice “no, no, non lo trovo.” Bah, ecco, appunto. Me ne vado, torno all’eima sperando di rifornirmi di caffeina e pronta a fare un agguato ad Hartmann in meno di due ore.

Quando arrivo, sono tutti riuniti dietro la scrivania principale. Le spagnole hanno da due settimane un devoir di linguistica:devono  registrare una conversazione di 20 minuti fra due persone di madrelingua francese, e poi trascriverla pari pari, condita di “ehm”, intercalari, colpi di tosse e risate. E’ diventato ormai una missione officiale del bureau: una settimana fa, sono stati registrati Valentin e Geraud, non senza numerosi tentativi, visto che dopo 6-7 minuti non sapevano più che dirsi, e noi ci mettevamo beatamente a ridere rovinando la registrazione. Questa settimana, tocca alla fase trascrizione: visto che le spagnole sono in difficoltà, i francesi trascrivono un po’ a turno, non senza commentare le varie frasi: “ma non ti veniva di meglio da dire?” “sarà il 200esimo putain che trascrivo…”.
Jean Christophe arriva subito a punzecchiarmi. “Avanti, tumball, ho voglia di vincere.” Emmanuel ride. Io continuo a preparare il caffè.

Tumball è il gioco a carte più giocato, almeno all’Eima. Non è machiavellico ma non è nemmeno la briscola, perciò a volte è utile a distrarsi in pausa pranzo o nelle ore buche. Per me. Per Valentin, Geraud, Jean Christophe, Julien e Emmanuel, che giocano con me a qualsiasi ora io arrivi e fra di loro quasi dei pomeriggi interi, è una spirale. Panini, cene, passaggi ormai dipendono dall’andamento delle partite, vedi il mio panino-samurai. Ormai giochiamo sempre. E ormai ci ho preso gusto.
Perdo contro Jean Christophe (lui e Julien, che sono fratelli, hanno una fortuna assurda, non me la so spiegare), ma stravinco contro Géraud. 117 a 47. Mi hanno insegnato che è “demonter sa gueule”, ma dubito che sia un’espressione da ripetere in luogo pubblico. Lui comunque, si arrabbia, più perde e più si innervosisce. E io mi diverto da morire a punzecchiarlo. E lui si arrabbia. Mi chiede a quanto siamo. Inizio a dirlo con una punta di sarcasmo.
“ça fait huitant…ops, quatre-vingt..”
“hein no, parle français, vas-y, parle qu’on rigole un peu..”
“tu sais pas perdre,Géraud. ça c’est pas bien…!”
“arrete, c’est la prèmiere fois que tu gagne contre quelqu’un!”
“ahh mais c’est toi, et ça me plait!”
“ARRETE!!!!”

Dopo una schiacciante sconfitta, io resto sul divano con Emmanuel, Veronika (che studia) , Valentin e Julien. Veronika chiede il significato di parole del suo testo, si ferma di media ogni parola su due, e Valentin e Julien cercano di spiegargli ogni cosa il più semplicemente possibile, imitando il suo accento. E’ ceca, e oggettivamente la sua cadenza è la peggiore che io abbia mai sentito. Io e Manu parliamo di erasmus, e inglese, delle lezioni private che impartisce e dei corsi di laurea che ci sono qui.

15.45 Riesco a intercettare Hartmann, che finiva il corso alle 15.30 (in teoria, appunto). Gli chiedo un minuto, perchè avrei lezione (alle 15.30, ma nessuno è ancora arrivato, appunto), lui mi dice “beh anche 10″ e gli racconto la faccenda degli esami. Mi dice che gli dispiace, che infatti l’organizzazione è un disastro, che non è giusto per noi, “ma non ti preoccupare, farai il tuo esame, a gennaio penseremo come e quando”. Poi gli dico che non ho trovato il suo materiale in biblioteca. Ci andiamo (dietro al bancone c’è Stéphanie

:)
, e quando recuperiamo le fotocopie sono già le 16.15. E la mia lezione finisce fra 15 minuti, quindi abbandono l’idea di entrare e prendiamo un caffè. Prima di andarmene per la lezione dopo, gli chiedo l’indirizzo email, si jamais.
“Ah, io non ce l’ho. Ma ti lascio il mio cellulare, nel caso abbia bisogno di qualcosa.”
“…”
Rimango un po’ basita. Per quanto adori Hartmann e parli molto con lui, l’idea di chiamarlo al telefono per avere notizie dell’esame mi suona ancora folle.
“E non ti preoccupare se non torni il 3, voi erasmus non avreste nessun motivo per fare gli esami così presto. Studia e goditi la Svizzera!”
Sono sicura, sicura di non avergli detto che andavo in Svizzera dopo Natale.

Ultime due ore di lezione. Tedesco. Esercizi, grammatica, esercizi. Concludiamo la giornata con una specie di “teatro da fare”. Siamo a coppie, o a gruppi di tre, di cui uno è un agente turistico, e l’altro (o altri due) sono due turisti che cercano una sistemazione e devono valutare le varie offerte. Io sono sposata con Michael, abbiamo 5 figli, e un cane che vorremmo portare in vacanza. Cerchiamo un hotel con la piscina, così se fa brutto i bambini non possono romperci le scatole (scritto sul testo che ci fa da traccia). Xelha, che è la nostra agente, non riesce a trovarci un hotel.
“Dai c’è questo, è economico, potete prendere il cane, e c’è il parcheggio!”
“E la piscina?”
“Quella no, ma c’è la vasca da bagno…”
“Xelha, non posso metterci 5 bambini.”
“Neanche a turno?”
“Ma no. E se lasciamo a casa il cane?”
“Ma no!”

Alla fine  Dibella chiede ad ogni gruppo come si è risolta la faccenda. Tocca a me dirgli che non abbiamo trovato un hotel.
“Ma come no?”
“Non c’è la piscina…”
“E quindi?”
Il mio tedesco è troppo debole per le spiegazioni, e io sono stanca. Chiudo con: “Secondo me la cosa migliore è lasciare i figli a casa e andare in vacanza col cane. Nell’hotel di lusso.”

Dopo aver concluso il mio viaggio della speranza con Dibella – che non sa ancora, ma cercherà di venirmi incontro – aspetto Xelha in corridoio, e sulla bacheca degli esami, vedo un post-it. Mi avvicino, è scritto da Hartmann. Ci sono 5 date, fra novembre e dicembre. Recuperi di lezioni perse per il bloccaggio. Sono 5 ore in tutto. E io quel post-it non l’ho mai visto, e di quelle lezioni non ho mai nemmeno saputo l’esistenza.

In metro, Xelha e io non parliamo. Lei è visibilmente stanca. Prima che io scenda, mi da un bacio e mi dice “smetti di pensarci, ormai lei hai perse quelle lezioni, e da domani sei in vacanza. Buon Natale.”

E adesso ho una valigia aperta sul pavimento, un conteggio dei giorni semi-azzerato, le previsioni del tempo che danno solo temperature negative e una piccola scritta vicino, “schneefall”.

E domani, voglio pensare a un cerchietto da comprare e agli scaldamuscoli da mettere sopra le scarpe nuove. Al ciobar, perchè non si può non avere il ciobar in casa con la neve fuori. A quel pazzo a cui piaccio anche se mangio cioccolata tutto il tempo, e che si scrive una lista delle cose che gli ho detto vorrei mangiare. E ai miei stupendi genitori che mi aspettano a casa, nonostante io ultimamente giri in skype con una nuvoletta di pioggia sulla testa. A volte mi sento proprio Paperino.

 



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