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Audience: La Massa Intelligente

Creato il 15 dicembre 2011 da Pedroelrey

«The Economist» è uno dei rari casi di successo nel panorama editoriale attuale. Ricavi e profitti in crescita costantemente negli ultimi cinque anni con  incrementi a doppia cifra anche in ambito digitale sia per quanto riguarda le revenues pubblicitarie che le sottoscrizioni che hanno recentemente raggiunto quota 100mila abbonati. Un successo che non prescinde dall’edizione tradizionale cartacea che cresce nella prima meta del 2011 del 3% e raggiunge quasi 1,5 milioni di copie vendute.

La presentazione “Lean back media: the shock of the old”, pubblicata pochi giorni fa dal settimanale britannico è ricca di dati sulla lettura digitale e, soprattutto, di spunti di riflessione sulle evoluzioni in corso.

Oltre a confermare abitudini di lettura dei possessori di tablets, che erano già emerse da indagini precedenti,  si evidenzia altrettanto quella che poi è la tematica che fornisce il titolo dello slideshow: un ritorno alle origini, alla lettura in poltrona nell’era – in prospettiva – post personal computer. Elemento che la presentazione cicoscrive al binomio carta stampata – digitale ma che in realtà amplia lo scenario in quella che già da tempo, tra gli altri «The New York Times» definisce “the sofa war”, la guerra che è trasversale a tutti i media. Si tratta di fattori che anche il rapporto “Adspend Forecast” di Zenith Optimedia conferma ulteriormente spingendomi a parlare di comunicazione “schermo centrica”.

La presentazione [slides 27 - 35] stratifica l’audience segmentandola in tre grandi comparti: elite media, mass intelligence e mass media. Si tratta, forse, dell’aspetto più interessante che sta a sottintendere l’esistenza di un gruppo di persone, la massa intelligente, sufficientemente ampio ed altrettanto evoluto che può rappresentare il nucleo centrale di riferimento per contenuti di valore non massificati. Definizione interessante che stride con il perdurare della consuetudine nell’utilizzo del termine audience che, al pari di target, andrebbe rivisto. Non si tratta solo di un problema semantico, ovviamente.

Vengono descritte, con buona sintesi ed altrettanta efficacia, l’impatto delle nuove abitudini di lettura sullla produzione di contenuti e sui modelli di business sostenibli. Risulta evidente come il successo di «The Economist» non sia un gioco a somma zero ma bensì di un caso nel quale il digitale si somma alla carta che, comunque, continua a rappresentare la stragrande maggioranza delle copie vendute in un rapporto di circa 15 a 1, come si evidenzia alla slide 59.

Interessante, in termini di sintesi e spunto di riflessione, il nuovo marketing mix, le nuove  “5P” del marketing proposte nella diapositiva 64.

Una case history davvero di grande valore per la capacità dimostrata di realizzare la tanto auspicata convergenza editoriale e renderla sostenibile economicamente. Elementi che, senza nulla togliere, vanno contestualizzati rispetto alla diffusione mondiuale del settimanale in questione ed alla qualità indiscussa dei contenuti. Fattori distintivi non trascurabili che non sono ovviamente alla portata di tutte le testate editoriali.


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