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Avere vent’anni: FEAR FACTORY – Demanufacture

Creato il 29 giugno 2015 da Cicciorusso

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Luca Bonetta: Parlare dei Fear Factory significa, per me, parlare al tempo stesso di una band che amo e di una delle prime realtà che mi avvicinarono al mondo del metallo. Obsolete fu il mio secondo acquisto in campo metal (il primo fu The Time Of The Oath degli Helloween) e da lì la folgorazione fu completa. Tutt’ora considero Obsolete come il lavoro migliore di Cazares & Co. e non me ne vogliano gli amanti di Demanufacture, considerato quasi universalmente come il capolavoro della band americana. Demanufacture gode di una maturità artistica completa; le spigolosità e l’ingenuità presenti in Soul Of A New Machine vengono sublimate e limate, codificate in 55 minuti di apocalisse controllata con mano fermissima, un’operazione chirurgica ai danni dei vostri timpani eseguita con precisione millimetrica senza mai uscire dai binari. Durante la guerra del Vietnam, gli USA avevano progettato una bomba (la BLU-82) il cui scopo era ripulire porzioni di foresta in modo da creare delle piste di atterraggio per gli elicotteri. Questo giocattolino all’impatto esercita una forza di 70 kg per centimetro quadrato in un’area di 120 metri. In pratica spazza via qualunque cosa si trovi entro quel raggio, con precisione praticamente assoluta. Ecco Demanufacture è più o meno questo, distruzione controllata.

Ciccio Russo: Un disco perfetto in ogni singolo dettaglio, come lo può essere un Reign In Blood. Forse troppo perfetto. Demanufacture fu un capolavoro dal quale i Fear Factory non si riprenderanno mai più, passando in pochi anni dal ruolo di presunti rivoluzionari (il quindicenne medio con la maglia dei Sepultura dell’epoca non aveva mai sentito una roba come New breed o l’onirico mantra di A therapy for pain) a quello di irrilevanti sopravvissuti, con intuizioni qua formidabili destinate a diventare troppo presto cliché, a partire dall’alternanza tra riff schiacciasassi e ritornelli puliti e subito memorizzabili. Il legame con l’industrial degli anni ’80 viene rivendicato con una riuscitissima cover di Dog day sunrise degli Head Of David ma il disco deve, in fondo, molto di più ai Pantera che ai Die Krupps o ai Ministry. La componente death metal ancora presente in Soul Of A New Machine viene quasi del tutto abbandonata e la chitarra di Dino Cazares abbraccia quel suono compresso e ribassato che era stato la cifra stilistica del metallo modernizzato degli anni ’90, del quale Demanufacture è uno dei capisaldi invecchiati meglio. Le sue atmosfere da incubo distopico conservano una potenza evocativa annichilente ancora oggi, che abbiamo scoperto che la fusione tra uomo e macchina non era destinata a passare per il corpo ma direttamente per la mente. Open minds will dominate, cantava Burton C. Bell su Self-Bias Resistor. E invece col cazzo. È giusto ricordare che ci sono ben due pezzi che iniziano con un sample di Terminator 2.

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Cesare Carrozzi: Ricordo che all’epoca non li conoscevo e beccai a tarda notte il video di Replica su MTV, credo proprio su Headbanger’s Ball, la trasmissione dedicata al metal che l’emittente passava tipo di domenica (?) notte ad orari antelucani. Difatti stavo pure mezzo addormentato sul divano. Trovai la canzone assai carina. Qualche tempo dopo, sempre su Headbanger’s Ball, ebbi invece modo di ascoltare la versione live in studio di Self Bias Resistor, e lì ci rimasi proprio proprio fulminato. Mai ascoltata prima una roba così. Tutta quella doppia cassa così assolutamente precisa e chirurgica nell’andare appresso alla chitarra mi è rimasta prima nelle orecchie e poi nel cuore, tanto che dopo poco andai ad ordinare Demanufacture dal mio strozzino di fiducia e me ne innamorai predutamente. Credo peraltro che Raymond Herrera sia l’unico batterista a montare i toms sul kit per sport, dato che in pratica usa la doppia cassa per fare tutto. Che storia. I Fear Factory poi non si sono mai più espressi a quei livelli, ed il seguente Obsolete è sì bello assai ma pure assai diverso da Demanufacture che, secondo me, rimane il loro capolavoro.

Il Messicano: Mi sono sempre stati sul cazzo i dischi con un concept dietro, così come i gruppi che volevano “evocare” qualcosa con la musica. Ok, non tutti, ma in generale per me è così. Poi mi sono sempre stati sul cazzo anche i gruppi “duri” che infilavano parti melodiche ovunque. E’ un inizio del cazzo, vabbè, ma era per dire che questo disco invece mi è sempre piaciuto. Anche se non c’è tapatanpan, anche se ci sono le parti melodiche, anche se, ecc. L’ho riascoltato proprio di recente ed è sempre lo stesso: è il suono di una fabbrica infestata dai fantasmi della gente che ci è morta dentro, macchinari, seghe elettriche, sofferenza, catene di montaggio impazzite, sangue nerastro come quello che schizzava fuori dai cattivi fatti esplodere da Kenshiro. E’ un album che, sulla carta, ha tutte le caratteristiche che dovrebbero portarmi ad odiarlo, invece mi è sempre piaciuto. Tra l’altro mi sembra incredibile che abbia già vent’anni, cazzo. Roba simile all’epoca era fantascienza per chiunque e continua ad esserlo ancora oggi. Alieno, disumano, meccanico/elettronico auanasgheps. I circuiti, quelle cose lì. Se non lo conosci già, a prescindere cosa ti piaccia, io dico che devi sparartelo. Se non ti piace vaffanculo. Cazzo ti devo dire? A me piace un sacco e io non sbaglio mai.



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