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Avere vent’anni: novembre 2015

Creato il 30 novembre 2015 da Cicciorusso

Avere vent’anni: novembre 2015

DARK TRANQUILLITY – The Gallery

Trainspotting: Questo è uno dei dischi più importanti della storia del metal svedese. Io gli preferisco i successivi The Mind’s I e Haven, ma è innegabile che sia tutto partito da qui. The Gallery ha dato spunti sufficienti per una rielaborazione strutturale del death melodico forse più di quanto non abbiano fatto gli In Flames, talmente strutturale da essere rintracciabile poi in dischi e gruppi che di death melodico non hanno nulla, ma che comunque non sarebbero mai potuti esistere senza i Dark Tranquillity. Sono due i veri capolavori del disco: uno è Punish My Heaven, un ardito e sorprendentemente riuscito tentativo di technodeath nei limiti delle possibilità tecniche della band; l’altro è Lethe, una delle canzoni preferite della maggior parte dei metallari che conosco, preziosissima compagna di sofferenza nelle prese a male più devastanti della nostra vita di ventenni, un inno lacerante alla solitudine purificatrice, all’oblio e all’alcolismo catartico sulle note di una straziante semiballad come i Dark Tranquillity non riusciranno a scrivere mai più. Una cosa paragonabile sono riusciti a comporla solo i Sentenced con Nepenthe, peraltro sempre nel 1995. Nonostante i dischi successivi abbiano esplorato diverse sfumature della loro sensibilità musicale, in The Gallery c’è già – in atto o in potenza – tutta la poetica dei Dark Tranquillity. Sarà probabilmente per questo che la loro spinta propulsiva finirà molto presto, con il gruppo che finirà nel vicolo cieco dell’autoreferenzialità già all’alba del nuovo millennio.

Avere vent’anni: novembre 2015

ALICE IN CHAINS – st

Stefano Greco: Solo con il tempo è stato possibile inquadrare l’omonimo degli Alice in Chains per quello che realmente era: l’ultimo sforzo di una band alla frutta. In quest’ottica è quindi qualcosa di più significativo di un semplice album mal riuscito, ma questa consapevolezza in ogni caso non consente di effettuarne alcuna reale rivalutazione postuma, soprattutto alla luce del fatto che le due uscite che lo precedono non sono state in alcun modo ridimensionate dalla prova del tempo. In realtà ogni singolo brano contiene qualche buona idea ma, alla fine, non c’è nessun pezzo che sia davvero memorabile; unica eccezione forse la bellissima Shame In You che avevo archiviato nei recessi della mente e che riscopro proprio in questi giorni. Lavoro di una cupezza assoluta e di una negatività abissale, il disco col cane zoppo resta una grossa presa a male di cui, per una volta, sento di poter a fare a meno.

Avere vent’anni: novembre 2015

VARATHRON – Walpurgisnacht

Ciccio Russo: I Varathron erano considerati un po’ i cuginetti sfigati di Necromantia e Rotting Christ. L’esordio His Majesty At The Swamp all’epoca prese due su sei su Grind Zone e veramente non capii perché. His Majesty At The Swamp è bellissimo, mannaggia ad Afrodite. Riascoltato a distanza di anni, Walpurgisnacht, secondo full dei greci, regge dignitosamente il confronto con i coevi Non Serviam e Scarlet Evil Witching Black. Della formazione del debutto resta solo il cantante Necroabyissious, tutt’oggi unico membro originale superstite. L’allora bassista dei Rotting Christ, Jim Mutilator, e il chitarrista Necroslaughter (Zemial, Equimanthorn, Agatus) lasciano spazio a due carneadi che spariranno subito dopo. La batteria elettronica continua a non stonare troppo, date le intenzioni di base. Verrebbe da chiedersi se alcuni pezzi fossero stati scritti da Mutilator prima di mollare la baracca. Walpurgisnacht è il disco dei Varathron che più deve ai Rotting Christ, sebbene nei pezzi più d’atmosfera (Mestigoth) il gruppo confermi di avere una sua personalità. Continuo a preferire il primo, più grezzo e soffocante, ma Walpurgisnacht resta un classico minore del black metal ellenico da riscoprire e consumare.

Avere vent’anni: novembre 2015

DISSECTION – Storm of the Light’s Bane

Trainspotting: Non sono per niente la persona più adatta per parlare di Storm of the Light’s Bane, ma, non essendoci nessun altro disponibile a prendersi la responsabilità di parlarne, tocca a me farlo. Il fatto è che io adoro The Somberlain in senso quasi letterale, cioè ci costruirei un altarino in salotto e ci andrei ad accendere ceri tutti i giorni recitando orazioni a Jon Nodtveidt. Non lo faccio solo perché la nostra vicina di pianerottolo ci ha già scritto un paio di lettere minatorie a causa della musica (cito) “heavy-metal” che sente provenire dalla nostra casa a qualsiasi ora del giorno e della notte; dunque non vorrei che oltre alla polizia ci facesse venire pure un esorcista. Io so perfettamente che Storm of the Light’s Bane è un grandissimo disco anche perché piace a tutti e tutti lo considerano il migliore dei Dissection, ma io non sono mai riuscito a capirlo fino in fondo. Probabilmente è un mio limite. Penso che il problema sia che SOTLB è praticamente identico a The Somberlain, ma prodotto in modo diverso. Prodotto in modo peggiore, se posso permettermi. Non sono mai riuscito a sopportarne il suono un po’ confusionario, che si è sempre posto come un muro tra me e l’apprezzamento del disco. È forse per questo motivo che, pur ascoltando Storm of the Light’s Bane da vent’anni, non ho mai avuto l’illuminazione che me lo ha fatto amare. Ripeto, mi dispiace di essere stato proprio io a recensire questo disco perché sono l’ultima persona al mondo che avrebbe dovuto farlo, ma è sempre meglio parlarne così che non parlarne proprio. Non odiatemi.

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RIOT – The Brethren of the Long House

Ciccio Russo:  La grandezza dei Riot è paragonabile solo alla loro sfiga, un destino per certi versi analogo a quello dei Voivod (difficile ignorare il triste parallelismo tra la morte di Piggy e quella di Mark Reale), riscatto finale compreso: Unleash The Fire, pubblicato dopo la scomparsa di Reale e con i soli Van Stavern e Flyntz quali membri storici coinvolti, è uno dei migliori dischi di heavy metal classico dell’ultimo lustro. The Brethren of the Long House uscì dopo la rivoluzione pressoché completa della line-up avvenuta con il precedente Nightbreaker. L’unico componente originale superstite oltre a Reale, era il batterista Bobby Jarzombeck. Qua se ne era andato (momentaneamente) pure lui ed era stato reclutato l’allora ubiquo session John Macaluso, che pesta un po’ troppo nei pezzi più tirati, smorzando la vena crepuscolare di un album che è un po’ il piccolo The X Factor dei Riot. C’è la stessa epicità dimessa, c’è una cupezza che permane anche nei frangenti più aggressivi, il cantante Mike DiMeo si cimenta anche con l’organo. Purtroppo questo gioiellino uscì nel momento più sbagliato possibile per il genere, tanto che venne pubblicato solo in Giappone, all’epoca ultima ridotta di queste sonorità. In Europa e Stati Uniti arrivò solo l’anno successivo. Ma eravamo tutti troppo distratti da altro per concedergli l’attenzione che avrebbe meritato.

Avere vent’anni: novembre 2015

NECROMANTIA – Scarlet Evil Witching Black

Ciccio Russo: Uno degli album più rappresentativi della scena black greca, seppure un piccolo passo indietro rispetto al colossale Crossing The Fiery Path. Se i Rotting Christ dimostreranno una continuità al di sopra di ogni aspettativa, continuando a cacciare ancor oggi  dischi della madonna, i Necromantia imboccheranno un cammino farraginoso, fatto di lp ogni morte di papa (l’ultimo, The Sound Of Lucifer Storming Heaven, è del 2007) e nessuna presenza live, manco fossero i Darkthrone. Un paio di anni fa al termine di un concerto, chiesi a Sakis che fine avesse fatto Magus Wampyr Daoloth e lui, che è la persona più alla mano e gioviale del mondo, si irrigidì, raccontando che il suo ex sodale non era più dentro la scena e “non stava più facendo musica seriamente“. Eppure avevano inciso un full, peraltro notevole, con i Thou Art Lord nel frattempo, insieme. Certo, negli anni ’90 la credibilità di Daoloth era rafforzata anche dall’essere il boss della Unisound, l’etichetta al centro del circuito acheo. Nel decennio successivo il musicista darà poi vita alla famigerata Black Lotus, che in realtà, tra una schifezza e l’altra, qualcosa di carino pubblicava ogni tanto. Quello che caratterizzava i Necromantia rispetto agli altri mostri sacri d’Ellade era una minore attenzione per la forma canzone e un maggiore gusto per lo sbrocco gratuito (il signor Magus Wampyr allora si dilettava con bizzarri progettini industrialoidi quali i .N.A.O.S., Diabolos Rising e Raism, con l’ausilio di Mika Luttinen degli Impaled Nazarene), un genere di gioco che era destinato a mostrare la corda presto ma che all’epoca di Scarlet Evil Witching Black reggeva ancora benissimo.



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