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Bambole Viventi: il Sessismo Paga?

Creato il 10 maggio 2012 da Dietrolequinte @DlqMagazine
Postato il maggio 10, 2012 | LETTERATURA | Autore: Alessandro Puglisi

C’era una volta un saggio intitolato Living Dolls. The Return of Sexism, scritto dalla giornalista Natasha Walter. Saggio molto apprezzato in patria, illuminante, per molti un fenomeno. Recentemente questo libro tanto celebrato è giunto nel nostro Paese, pubblicato da Ghena, giovane ed apprezzabile realtà editoriale. Il titolo italiano è Bambole viventi. Il ritorno del sessismo e la traduzione è stata curata da Laura Bianchetto. Del resto, il sottotitolo è perfettamente esemplificativo. La Walter tenta, infatti, di mettere in evidenza, provando a destreggiarsi tra stereotipi e tendenze, il ritorno in auge del tanto deleterio sessismo femminista e post-femminista. Crediamo opportuno distinguere la nostra analisi in due parti. Pregevole la “confezione”: bisogna mettere in luce una costruzione dell’oggetto-libro gradevole, precisa, vivace: ben impaginato, ben rilegato, questo Bambole viventi, e azzeccati gli elementi paratestuali. La copertina sfoggia una bella fotografia di John Swannell, autore di nudi eleganti ed originali, e nel complesso il volume risulta esteticamente riconoscibile e attraente. Una minore esaltazione, giocoforza, per quanto riguarda invece il contenuto, le argomentazioni di Natasha Walter. È vero che nuove tendenze come il glamour modelling, «termine generico che indica ragazze che posano mezze nude per le riviste maschili», evidenziano l’ascesa di una cultura ipersessuale, o almeno ipersessualizzata; tuttavia è nostra ferma e precisa idea che un’analisi di questo genere, originata da una professionista del giornalismo, non possa non correre il rischio dell’esibizione aneddotica, dell’analisi qualunquista, del sensazionalismo inopportuno.

Bambole Viventi: il Sessismo Paga?

C’è un forte bisogno, se è vero come è vero che stiamo vivendo un’epoca di grande trasformazione retorica e iconica, di negoziare con una realtà multi-codice i significati e i significanti: la rappresentazione “mono-canale” della Walter, fatte queste considerazioni, risulta perciò notevolmente meno profonda di quanto ci si aspetterebbe. La tesi fondante del saggio è esplicitata subito e chiaramente, però le “prove” a supporto dell’idea di base sono al limite dell’indiziario. Se fossimo in un giallo, ci chiederemmo: chi è l’assassino? La Walter, apparentemente, se lo chiede, ma in fondo tutto ci conduce a pensare che lo sappia già: per questa ragione il testo si accartoccia su se stesso; è come se si raccontasse, con una cadenza che più che quella dell’indagine è quella della funzione “intrattenente”, si passi il termine, del tè pomeridiano tra signore attempate; come se si raccontasse, si diceva, una storia già scritta che vede la donna protagonista involontaria nei panni di un demone senza cervello continuamente oscillante fra la retorica della “prostituzione”, in senso ampio, e quella immagine oleografica che, infine, anch’essa è riassorbita in un quadro desolante quale quello di molte odierne rappresentazioni delle implicazioni socio-sessuali dell’“essere-femmina”: come se avessimo davanti ai nostri occhi un dipinto di Van Gogh e se ne analizzasse un solo filo d’erba.



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