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Barilla: la cosa più grave tra omofobia e maschilismo.

Creato il 26 settembre 2013 da Cristiana

Tanto per chiarire il limite tra libertà di opinione e omofobia (o maschilismo, perché poi nasce tutto da lì), voglio rilevare sulla questione Barilla una cosa in particolare.

La cosa grave non è il fatto che Guido Barilla dica che non farà mai uno spot con dei gay e nemmeno che rivendichi la sacralità della famiglia eterosessuale come valore fondante della sua azienda.

Questo aspetto compete alla sua libertà d’espressione e alla sua capacità (o incapacità) di manager.

Immagino che – essendosi scusato così in fretta e furia – si sia reso conto che dal punto di vista commerciale l’esclusività dichiarata rispetto ai target possibili di riferimento, rappresenti una trovata comunicativa non esattamente all’altezza di un manager di una multinazionale fondata sul profitto. Non oso pensare al danno economico che può avere creato alla sua azienda. Anche se fosse basso, sarà comunque un danno per il suo profitto e per i suoi lavoratori (gli unici a cui penso con preoccupazione)

Le affermazioni di cui sopra rientrano per me nella categoria omofobia, ma nella categoria della non punibilità.

Quello che è grave nelle sue affermazioni è quando dice:

«Noi abbiamo una cultura vagamente differente. Per noi il concetto di famiglia è sacrale, rimane uno dei valori fondamentali dell’azienda. La salute, il concetto di famiglia. Non faremo uno spot gay perché la nostra è una famiglia tradizionale».

Cosa centra la salute? Che messaggio sta passando Guido Barilla? Che le famiglie gay non sono in salute? Sono malate? Ecco questa frase vorrei che rientrasse nella categoria omofobia, nell’accezione comune e indiscutibile e perseguibile (scusate ma per me dire che la parola salute si accosta ad eterosessuali è come dire che gli ariani sono superiori agli ebrei, quindi è un’opinione pericolosa)

Se lo avesse detto di una famiglia di neri (a proposito chissà che ne pensa Barilla di uno spot multirazziale) o di ebrei non oso pensare a cosa sarebbe accaduto.

O peggio quando dice:

«Non lo farei (uno spot con i gay, ndr), ma non per una mancanza di rispetto agli omosessuali, che comunque hanno il diritto di fare quello che vogliono e ci mancherebbe altro, però senza disturbare gli altri, ma perché non la penso come loro e penso che la famiglia cui ci rivolgiamo noi è comunque una famiglia classica. Nella quale la donna, per tornare al discorso di prima, ha un ruolo fondamentale, è il centro culturale di vita strutturale di questa famiglia».

Mi sfugge qualcosa. Perché una coppia gay che vive insieme disturba qualcuno? A me potrebbe disturbare chi si veste da prete o da suora. O le processioni religiose che bloccano il traffico. O le campane delle Chiese. Ma non mi sognerei di dire mai che gli vada impedito (è un paradosso chiaramente, nulla di tutto questo mi dà fastidio, forse perché ho davvero a cuore la libertà altrui).

Non sfugga ai perbenisti nostrani anche la definizione del ruolo della donna (tutta la discussione sugli spot Barilla è partita da lì: dal fatto che a servire in tavola è sempre una donna) che sembra una definizione della donna tipicamente da anni cinquanta.

Segnalo un ultimo errore logico di Guido Barilla, quando parla delle adozioni e del fatto che è contrario ad esse perché l’adozione investe una terza persona che non può scegliere. Ma questo vale per tutti i bambini che nascono o che vengono adottati. Nessuno di noi chiede di nascere o di venire adottato. Accade e basta. La verità è che Guido Barilla considerando le famiglie gay non “portatrici di sacralità e di salute” intende dire che per un figlio una coppia di genitori gay sarebbe una iattura.

Gli ricordo (Dio, che noia) che la iattura è crescere in famiglie senza amore. Punto. Il resto è ideologia e fanatismo.

Un’ultima considerazione sul Paese. A dire queste parole è stato un manager di uno dei marchi italiani più noti a livello mondiale. Un manager che leggerà trattati di marketing, pagine e pagine sulla profilazione dei target.

Ecco questa uscita misura largamente la nostra capacità di essere davvero globali, di cogliere i cambiamenti, di studiare.

Si sposa alla perfezione con la nostra provincialità (poi la pasta!) autoreferenziale e con i grandi limiti degli industriali italiani di stare davvero al passo coi tempi.

Non interpretare pezzi di mondo (i gay, ma soprattutto le donne) significa non essere in grado fino in fondo di cogliere opportunità di business. Le due cose sono facce della stessa medaglia: non è detto che il mercato sia sempre sorridente e in quei casi è meglio essere un manager che sa guardare oltre.


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