Magazine Diario personale

Be Ugly. Know Beauty.

Da Margherita

Durante i primi ventiquattro anni della mia vita ho vissuto ignorando il mio naso. L'ho a lungo considerato un naso qualsiasi, indegno di occupare i miei o altrui pensieri.
Poco dopo il mio venticinquesimo compleanno, mentre eravamo in coda in mensa:
- "... il tuo naso importante..."
- "Cos'ha il mio naso? E' un naso normale."
- "Non dirmi che non te ne sei mai accorta".

Eccomi, senza preavviso alcuno: una persona il cui naso occupa i pensieri altrui. Non l'avrei mai detto.

Non l'avrei mai detto, eppure si tratta solo dell'ennesimo elemento che va a formare il quadro di ciò che sono nelle parole degli altri.
Le persone mi ricordano sempre più grassa di quanto lo sia in realtà. Non saprei dire perché.
Non dimagrisco da anni, eppure ricevo di frequente complimenti da persone che giurano di ricordarmi più grassa.
Giusto ieri, nelle parole d'altri, avevo braccia più magre rispetto al passato.

I commenti sul mio corpo e sul modo in cui mi presento si prestano a molteplici letture, così come quelli che lambiscono qualsiasi altro corpo.
Sono portata a vedere il male nelle battute troppo facili che hanno per oggetto i corpi degli altri.

Ponendo l'attenzione sul mio naso, sul grasso che non avrei più addosso, sui miei abiti chiassosi, stai dicendo che quella parte di me non è (o non era) bella. La battuta funziona per questo. Se rido con te è perché mi hai sorpresa in un momento in cui la mia scorza è fragile e non ho le forze per risponderti.

Se non rido con te, sono permalosa, ho poco senso dell'umorismo, non sto al gioco.

Non è possibile che io abbia scelto quei vestiti proprio perché cozzassero tra di loro. Da anni vengo accusata di non avere gusto o di voler far stare male di proposito la mia povera nonna. Non è concepibile che io veda bellezza nell'imperfezione e nella cacofonia.
Non è possibile che io abbia vissuto buona parte della mia vita ignorando il mio naso, ma ripetendo, al contempo, che amo i nasi peculiari.

Qualche anno fa conobbi una ragazza che aveva appena finito le scuole superiori, il cui naso mi parve splendido. Fin da subito mi venne raccontato ch'ella lo detestava e che non vedeva l'ora di avere abbastanza soldi da parte per rifarselo. Mi proposi di dirle che lo trovavo delizioso sul suo volto, ma la mia informatrice suggerì di lasciar perdere, poiché commenti simili, in passato, l'avevano già addolorata, anziché sollevarla. Immaginai che volesse solo smettere di pensare al suo naso, finché non fosse giunta l'ora di porre rimedio alle sue dimensioni.

Non è possibile che io mi offenda nascostamente quando qualcuno mi dice: "Oh! Stai molto meglio ora"; come se la persona che ero qualche settimana fa avesse cessato di esistere, come le mie scelte passate non avessero la stessa dignità di quelle più recenti.
"Oh! Stai molto meglio ora": sono sollevato/a dal vederti più coerente con i miei standard estetici.
"Oh! Stai molto meglio ora": prima eri orripilante.
"Oh! Stai molto meglio ora": sii grata per questo viscido complimento.

Ascolto i complimenti, le offese e le battute che si agglomerano attorno ai corpi altrui, oltre che al mio. Ascolto e registro, poiché nulla venga perso.
Ascolto il non detto. Ascolto i complimenti che vengono calati su di me quando mi trucco, quando indosso abiti scollati, quando fingo di abbandonare il mio corpo e appaio solo sotto forma di parole.

Sto allenando il mio occhio a vedere bellezza nei luoghi in cui, anni or sono, non avrei creduto di poterla trovare, in parte perché molti di questi luoghi mi erano ignoti.
Mostro questa bellezza ad altri. Un tempo l'avrei forse definita scrosciante. Ora l'assorbo, affinché mi tenga in vita. Sapere che tale bellezza esiste, in quelle forme, mi riempie di gioia.
Mostro questa bellezza ad altri, e c'è chi la deride, perpetuando la violenza.
Mostro questa bellezza ad altri, realizzando poi che le risposte più brutali sono quelle di chi rifiuta in toto la complessità che è sostanza stessa di quei corpi.

Nella complessità vedo bellezza, sia essa chiassosa o quieta.
Nella complessità trovo un senso al mio vivere. Vedo bellezza nell'imperfezione, nelle cicatrici che disegnano un corpo, nelle ferite aperte che ne piegano un altro.
L'ho capito leggendo un libro di Virginie Despentes. L'ho capito accorgendomi, di colpo, che i corpi delle donne, in narrativa, sono quasi sempre belli, flessuosi, desiderabili, magri, lisci. La bruttezza dei personaggi femminili, se esiste, è sullo sfondo. Ho capito che anch'io ero portata a scrivere nello stesso modo, nascondendo tutto ciò che so e ho conosciuto dei corpi veri. Del mio corpo, dei corpi che ho visitato, dei corpi che ho visto, toccato, odorato. Da allora scrivo diversamente, per non tradire quei corpi.

Apro la bocca per articolare i miei pensieri e renderli comprensibili a chi è al di fuori di me. Se credo che possa valerne la pena, accenno al modo in cui ciò che non è convenzionalmente bello - a ciò che diventa rumore - mi fa sentire.
Ascolto, registro, archivio. Penso al modo in cui le persone che deprecano ciò che io chiamo bellezza devono percepire il proprio corpo, oltre che quelli altrui.
Apro la bocca e la forza delle mie parole viene annullata dall'incredulità di chi non vede senso nel modo in cui arredo me stessa per rappresentare ciò che sento di essere.
Apro la bocca e le mie parole non significano più nulla, perché qualcuno ha deciso che il mio naso dev'essere "importante" e che questo è un fatto.
Dopo che mi è stato ripetuto più volte, mi sono trovata ad apprezzarlo, e poi a detestarlo. Ora non è più il mio solito naso. E' accaduto qualcosa, come se qualcuno l'avesse rubato.
Certo, è solo un naso, ma non è passato molto tempo dal lungo periodo in cui mi sentivo addosso un'espropriazione ben più imponente, quasi che il mio intero corpo fosse stato spento e riposto altrove.


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Questa è una delle cose che occupano i miei pensieri in questo periodo. Ascolto, registro e archivio, costringendomi ad ignorare quanto questo processo possa diventare doloroso. Ascolto e mi lascio segnare. Ascolto il mio sdradicamento. Ascolto le parole che vomito nei momenti di disperazione: "Dove devo andare?"
Dove devo andare per non sentirmi sola con la mia idea di bellezza? Dove devo andare per cessare di essere questa creatura instabile? Dov'è il luogo in cui smetterò di crollare su me stessa, il luogo in cui non sarò più perpetua causa d'imbarazzo? Devo ripetermi che tutto questo finirà, che il mio esoscheletro tornerà ad essere robusto. Devo concentrarmi sulla bellezza che posso solo scorgere da lontano, sul suo immenso potere.


Il titolo del post viene da qui.


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