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Benkocrazia, o della servitù volontaria

Creato il 21 marzo 2016 da Gadilu

No Benko

Lo chiamano referendum, in realtà si tratta di un plebiscito forzato, che trucca le carte e umilia, drogandola, la facoltà deliberativa dei cittadini.

In tempi di crisi – termine qui da intendere in senso etimologico, dal verbo greco krino, che significa separare, cernere, discernere, giudicare, valutare – è utile rileggere i classici. Ecco un brano tratto dal breve trattato di Étienne de La Boétie (1530 – 1563) intitolato Discorso sulla servitù volontaria: “Sono dunque i popoli stessi che si lasciano incatenare, perché se smettessero di servire, sarebbero liberi. È il popolo che si fa servo, che si taglia la gola da solo, che potendo scegliere tra servitù e libertà, rifiuta la sua indipendenza e si sottomette al giogo; che acconsente al proprio male, anzi lo persegue”.

La Boétie, si potrebbe azzardare, parla qui di René Benko e della consultazione popolare che tra pochi giorni deciderà (o farà solo slittare) la costruzione del progetto ormai noto a tutti. Ne parla anche se, apparentemente, proprio la remissione del giudizio alla volontà popolare dovrebbe indicare piuttosto che ci stiamo muovendo ben oltre il paradigma di una tirannide quasi priva di oppositori, il bersaglio critico del fraterno amico di Michel de Montaigne. Eppure, come spesso accade, le apparenze ingannano.

Per chiarirlo basta alludere ai più vistosi difetti che il voto in questione esibisce al di sotto della scintillante propaganda fatta dai suoi estimatori, i quali continuano a spacciarlo per un’occasione di autentica libertà. Il primo, il più macroscopico, consiste già nell’impostazione preordinata ai suoi effetti: vincessero i favorevoli al progetto ne vedremmo infatti senza indugi la realizzazione; in caso contrario, guarda un po’, la decisione verrebbe soltanto congelata per riproporsi in un secondo momento, quando cioè si insedierà finalmente un Consiglio comunale in grado di dare “spontaneamente” il consenso finora mancato. Il secondo difetto che viene subito in mente consiste poi nel credere che l’assenso tributato a un’impresa di natura immobiliare e urbanistica, al di là delle nefaste influenze sul tessuto commerciale cittadino (materia opinabile), si risolva ipso facto in un toccasana per risolvere problemi di tutt’altra natura: il degrado sociale, la penuria di posti di lavoro, il traffico e tutti gli altri capitoli di una narrazione sapientemente intessuta al fine di scorporare l’esame del progetto stesso dalle ricadute negative che potrebbero essere considerate al margine di ognuno dei suddetti punti: il degrado si sposterà altrove, i nuovi posti di lavoro approfondiranno la piaga del precariato, e il traffico, nascosto in superficie, allagherà le zone limitrofe.

Agli occhi di La Boétie le cose erano chiare, i tiranni comparivano a viso scoperto. Ai nostri giorni, pur di continuare a spadroneggiare, essi appaiono paludati da imprenditori e, se necessario, dopo aver messo sotto scacco la politica, fanno confezionare e alla fine impongono un plebiscito truccato da referendum.


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