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Bere alla fonte, non dalla bottiglia offerta

Creato il 17 marzo 2016 da Libera E Forte @liberaeforte

Mai come oggi la politica italiana è piena di divisioni e di conflitti sterili, tanto da fare allontanare dal voto gran parte dell’elettorato. È un fenomeno che sta avvenendo all’interno di tutti i partiti, compreso il M5S. Viene così paralizzata la “capacità produttiva” della politica. Le divisioni continue (e gli inevitabili problemi che ne derivano) impediscono il buon governo. Smisurate ambizioni personali e una spaventosa povertà culturale – difetti di cui è molto “ricco” il nostro mondo politico – hanno portato il Paese a impoverirsi moralmente ed economicamente. E chi ha nostalgia per i bei tempi dell’alleanza Dc/Psi, deve capire che i mali di oggi nascono dagli errori e dalle divisioni di ieri. Come poteva essere l’Italia ben governata, quando nel trentennio 1963-1993 videro la luce (per lo più breve e oscurata da litigi “fratricidi” tra le varie correnti della Dc) ben 32 governi!

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Nessun governo del mondo sviluppato ha avuto un record talmente negativo. Come si poteva governare bene a spizzichi e bocconi (più bocconi che non spizzichi)? Quella “tradizione” si è poi travasata, peggiorandola, nella seconda Repubblica. I difetti sono ormai strutturali e per sanarli è indispensabile dare spazio a una nuova generazione di politici e di amministratori locali colti, onesti e competenti. È tempo che l’impegno delle persone dotate di buona cultura si trasformi in una “battaglia” civile per il risanamento, innanzitutto morale e culturale, dell’Italia. Quintino Sella aveva ragione: “La grandezza e la prosperità di un Paese sono una conseguenza diretta delle capacità intellettuali e morali della sua classe dirigente”. Per fare questa indispensabile “rivoluzione” civile è necessaria la partecipazione generosa di tante donne e uomini “liberi e forti”, che da troppo tempo si sono chiusi nella loro vita privata, scoraggiati dal predominio di coloro che – nel settore pubblico – si servono della politica anziché servirla. È giunto il momento di un secondo Appello a tutti i “liberi e forti” per tentare di salvare non solo il nostro Paese, ma anche il resto del mondo, che ha un gran bisogno – come sostiene Papa Francesco e come hanno sempre sostenuto (purtroppo invano!) tutti i Pontefici da Leone XIII in poi – di recepire le soluzioni fornite dall’insegnamento delle Encicliche Sociali. A maggior ragione oggi che il mondo è “aggredito” dal veleno della finanziarizzazione dell’economia, economia che minaccia di soccombere sotto i colpi dei “poteri forti”, per lo più portatori di un pensiero malato e distruttivo. Qui non si tratta di essere “confessionali”. È la semplice intelligenza (che è tale se è innanzitutto dotata di buon senso) che dovrebbe far convergere tutti sui quattro NO “gridati” da Papa Francesco nell’Esortazione Apostolica “Evangelii gaudium”: NO A UNA ECONOMIA DELL’ESCLUSIONE NO ALLA NUOVA IDOLATRIA DEL DENARO NO A UN DENARO CHE GOVERNA INVECE DI SERVIRE NO ALL’INIQUITÀ CHE GENERA VIOLENZA Sono quattro NO che si ribellano contro l’odierno capitalismo finanziario dominante e alla cui fonte si abbevera chi si illude, come Pinocchio, che si possa facilmente creare denaro dal denaro. Ma ben altre sono le “fonti” o le “radici” a cui l’uomo deve rivolgersi e di cui si deve alimentare, se desidera vivere in un mondo equo e giusto. Lo ricordava nel settembre 2006, con una certa amarezza, Benedetto XVI alla vigilia del suo viaggio apostolico in Germania: “Nel mondo occidentale oggi viviamo un’ondata di nuovo drastico illuminismo o laicismo, comunque lo si voglia chiamare. Credere è diventato più difficile, poiché il mondo in cui viviamo è fatto completamente da noi stessi e in esso Dio, per così dire, non compare più direttamente. Non si beve alla fonte, ma da ciò che, già imbottigliato, ci viene offerto. Gli uomini si sono ricostruiti il mondo da loro stessi, e trovare Lui dietro questo mondo è diventato difficile”.(1) Perché continuare a bere dalle bottiglie del malgoverno, quando il buon governo non può che nascere e crescere con la buona cultura, ossia con le buone “fonti”, con le buone “radici”? Alla fine del film “LA GRANDE BELLEZZA”, il Cardinale buongustaio e godereccio domanda alla suora ultracentenaria: “Ma lei cosa mangia?”. Risposta: “Mangio radici, perché le radici – si ricordi – sono molto importanti”.

Giovanni Palladino


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