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Berlin Has It All - Wunderbar

Creato il 24 novembre 2015 da Redatagli
Berlin Has It All - Wunderbar

Tra le cose che preferisco di Berlino c’è quella rara possibilità di potersi concedere quando si vuole un disinvolto passaggio dalla cultura "alta" alla sottocultura.
Sul primo versante è interessante notare come a passeggio per i musei di Berlino non si incontrino solo turisti, ma soprattutto berlinesi che vanno a vedere quanto hanno a disposizione. D’altronde come fai a far finta di niente quando hai Uruk, Ninive, Babilonia e l’Antico Egitto, quando hai il barocco e il romanticismo, quando hai l’architettura socialista e il rampante nuovo millennio sulla pelle – insomma, quando hai tutto questo?
Sul secondo, chiudere il Tacheles è stata una scelta triste, ma le culture suburbane ancora resistono: intorno allo storico centro sociale c'è ancora movimento, Kreuzberg è sempre popolata da punks e rockers di ogni categoria, Alexanderplatz è un polo di artisti di strada e la zona compresa tra Prenzlaunerberg e Friedrichshain è un pullulare di culture alternative.

Essere "contro", ammesso che voglia dire qualcosa, a Berlino ha un valore. Almeno a me piace pensare che anche il “contro” abbia qui un suo ruolo e un suo peso, che non sia solo un ostacolo. Credo che spesso proprio questo “contro” abbia favorito un sviluppo veramente progressivo della città.

Berlin Has It All - Wunderbar

Si dice spesso che in Germania il pubblico abbia ancora un valore. Trovo che sia vero e la capitale me lo ha dimostrato in uno degli aspetti più semplici, ma in certo modo fondamentali: Berlino non è pulita perché passa il lavaggio strade, è pulita perché i berlinesi ci tengono a tenerla pulita.
La cosa diventa quasi contagiosa e tanti piccoli-grandi valori di vita pubblica sembrano passare anche nei numerosi immigrati che abitano Berlino. Penso soprattutto alla comunità turca di Kreuzberg che, pur mantenendosi viva nelle proprie tradizioni, presta attenzione a cosa vuol dire vivere nella città.

Si potrebbe dire che essere berlinesi non richieda l’omologazione allo stile di vita e alla cultura tedeschi: se altrove di fatto si chiede a chi arriva di dimenticare da dove viene e di aderire a uno standard locale, qui si può trovare una quadratura del cerchio tra la propria cultura e le mai troppo elementari norme pubbliche. Ed essendo Berlino un sistema relativamente aperto, quella quadratura si trova con relativa facilità come dimostrano le diverse etnie che convivono e si inseriscono armonicamente nel quadro.

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Un'altra cosa bella di Berlino è il suo essere così verde, ricca di aiuole, di viali alberati, di parchi pubblici, di giardinetti e così via. Il polmone è importante in una metropoli, il rapporto equilibrato tra cemento e alberi diventa essenziale se non si vuole soffocare nell’insalubre smog e nel desolato grigiore. E guardando Berlino dalla cartina si nota immediatamente che più della metà è verde, ma è soprattutto quel polmone verde a due passi dal centro a far davvero la sua figura.
Il Tiergarter, grande più di un quartiere, accoglie metà della vita della popolazione della parte ovest di Berlino. Un parco in cui, laddove la vegetazione è più fitta, non batte mai il sole e la temperatura cala sempre di un paio di gradi, luogo ideale per trascorrere qualche minuto di relax.

Nel cuore del Tiegarter troneggia la Colonna della Vittoria, un colosso dove i prussiani (all’epoca non è ancora d’uopo parlare di Germania) hanno appeso i cannoni sottratti a francesi, danesi e austriaci nelle guerre che li hanno portati a unificare il suolo tedesco.
Tre nazioni hanno rosicato vedendo emergere lo strapotere prussiano, ma paradossalmente quella stessa volontà di potenza ha finito con l’affondare la Germania più volte, basti l’esempio della Grande Guerra e del Terzo Reich.
A proposito, per ricordarsi meglio della tragedia cui purtroppo hanno contribuito, i tedeschi hanno deciso di porre il monumento all’olocausto proprio a fianco della Brandeburger Tor.

A questo popolo il proprio passato pesa come un macigno e difficilmente noterete per la città un qualche segno di vanagloria, quasi come se si fosse deciso di farne tabula rasa. Eppure la Germania è là che traina l’Europa, forse proprio perché ha sempre avuto la forza di rialzarsi, di ricominciare.
Basterebbe ricordare cosa non era Berlino poco più di sessant’anni fa – prima semidistrutta alla fine della Seconda Guerra Mondiale e quindi lacerata in due da un muro imposto dalla depravazione ideologica della Guerra Fredda – per avere la cifra di tutto questo.

Berlin Has It All - Wunderbar

Mi è sempre piaciuto immaginare Berlino come una ragazza. Una di quelle che tradiscono nello sguardo un certo non so che di creatività e di originalità, che non puoi ridurre a schema, che lasciano trapelare una sorta di contenuta follia anche nella loro più accurata compostezza. 
Una di quelle prospere di sorrisi e non solo, i cui lineamenti parlano di notti brave e doveri assolti, di notti di studio e di regole infrante, di riflessioni ardite e di evasioni distratte, di impegno sociale e di intrattenimenti completamente svagati.
Wunderbar.

Ecco, salutare una ragazza così è come perdere qualcosa di speciale, probabilmente è per questo che l’ultimo pomeriggio ad Alexanderplatz le lacrime hanno iniziato a scapparmi. La mattina presto ha lasciato che la brina investisse i miei pantaloncini corti e che mi trafiggesse fino all’aeroporto, come il magone che non ho potuto occultare.
Abbiamo rischiato di perdere l’aereo e ho voluto interpretare la cosa come un segnale. Poi l’Easy Jet è partito e tutto è svanito, tranne il ricordo.

Pur sapendo che è sempre lì – a meno che non decidano di spostarla e, visto lo stile dei berlinesi, potrebbe anche darsi – lei continua a mancarmi. 
Le ho scritto una canzone sul retro di una busta dell’ostello. Ogni birra che bevo mi fa pensare a lei. 
Ci ho lasciato il cuore ad Alexanderplatz e lì, come ho fatto quest’ultima volta, tornerò sempre a disseppellirlo. Che razza di amore, ma è proprio questo malsano sentimento che può, aggiunto a tutto il resto, farmi sempre riaffermare: «Berlin has it all».    

doc. NEMO      

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(Crediti foto di copertina, matteof72)

      


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